La farfalla e il cigno nero

Epidemie ed economia: sembrano mondi lontani, eppure s’incontrano. Specie se le notizie dalla Cina, ma anche dall’Africa dove Pechino è presente, fossero negative, il coronavirus potrebbe produrre l’effetto “colpo d’ala” di una farfalla capace di generare uno tsunami.
FRANCESCO MOROSINI
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Epidemie ed economia: sembrano mondi lontani, eppure s’incontrano. Non da oggi, ma da sempre. Anche quando nessuno sapeva dell’esistenza dei batteri e dei virus, la loro azione sulla vita delle società umane era ben presente: ad esempio, la peste del 1348 portò inflazione e cambiò la società del tempo (Wilhelm Abel in Ruggiero Romano, I prezzi in Europa dal XII° secolo a oggi, 1967).

Ma anche altre emergenze sanitarie come l’esaurirsi dell’efficacia di strumenti terapeutici (antibiotici) possono interferire con l’economia. È la stessa Banca mondiale nel rapporto Drug-resistant infections: a threat to our economic future del 2017, a richiamare il costo economico di una loro eventuale crisi su vari settori dell’economia: a partire dagli oneri dell’assistenza ai malati.

Il mestiere degli agenti patogeni è di riprodursi nei corpi degli ospiti; tutt’altro dal fare economia. Ma è evidente che interferiscono con questa quantomeno perché producono paura e così rallentano di fatto le interazioni umane, cioè la premessa dello scambio economico. A riprova la memoria va, ma siamo lontani per gravità da allora, alla pandemia del 1918 passata alle cronache come la Spagnola, quando in Italia si pose sotto controllo perfino quel rito sociale (è anche un business) che sono i funerali. L’economia teme la malattia. Sarà anche detta la scienza triste perché nega il sogno dell’esistenza del Campo dei miracoli di Pinocchio e di “alberi della cuccagna” carichi di monete d’oro; però ci vuole sani, altrimenti i mercati s’inceppano.

Oggi il protagonista è l’epidemia da coronavirus (Covid 19) iniziata a Wuhan in Cina. È paragonabile per effetti economici alla SARS, la Sindrome respiratoria acuta del 2003 (è anche la speranza di esiti delimitati)? Allora la International Air Transport Association rilevò che

il recente scoppio della Sindrome respiratoria acuta ha avuto un violento impatto sui paesi e sulle economie del Sud-Est Asia. L’industria del trasporto aereo è stato uno dei settori più duramente colpiti (10 aprile).

Ma rispetto al 2003 il peso della Repubblica Popolare sull’economia mondiale è ben maggiore, soprattutto andando male le cose.

Il Regno di Mezzo – nota il prof. Penati su A&F La Repubblica – è il più grande mercato di auto, cellulari e beni di lusso; primeggia come importatore di materie prime e per la spesa per turismo all’estero dei suoi cittadini. Considerando questi aspetti, ragionare sulle possibili conseguenze del Covid 19 relazionandoli agli effetti della SARS nel 2003 può portare ad essere ottimisti per difetto. Certo, comparare con gli esiti della Sindrome polmonare del precedente decennio serve, grazie ai diversi modelli epidemiologici (una riflessione critica in Paolo Vineis, Modelli di rischio), a capire i possibili danni e prevedere misure opportune; però le differenze ci sono. 

Ma sul prevalere di ottimismo o pessimismo molto dipenderà dal tempo in cui l’epidemia raggiungerà il picco della sua diffusione; perché questo sarà il segnale del rallentare della diffusione del Covid 19 fino al suo esaurirsi. Se, a partire dalla Cina, l’apice della propagazione del coronavirus giungerà in tempi ragionevoli (settimane), allora gli effetti socio-economici della pandemia, per quanto negativi, saranno accettabili (altro discorso per le perdite di vite umane). E si eviteranno gli incubi peggiori. Meglio lasciare alla fantasia distopica del cinema collassi per virus da fanta-economia.

Un’analogia con la SARS del 2003 è che il coronavirus è un’incognita per tutta la regione dell’Asia-Pacifico, ora più di allora l’asse emergente della “fabbrica-mondo”. Se la Cina frena tutta l’area ne è coinvolta. Ad esempio, l’economia turistica del Giappone è prossima alla celebrazione di Tokyo 2020 (le Olimpiadi estive) e attende molti visitatori. Prevalendo uno scenario negativo, l’impatto sarà durissimo. Il Covid 19 è capace d’incidere sul business; ma è pure un agente politologico perché interroga sulle qualità del modello politico di Pechino, che ha da temo molti estimatori (Daniel Bell, Il modello Cina, 2019). 

Lo studioso mette in discussione la superiorità della democrazia liberale (i sistemi politici prevalenti in Occidente) dinnanzi alle sfide del XXI° secolo. Per Bell il Regno di Mezzo, un sistema politico autoritario guidato dal Partito comunista cinese (Pcc) e un sistema economico operante su di un esperimento di “comunismo di (relativo) mercato”, ha il pregio di puntare sulla meritocrazia politica. Ossia sulla qualità della macchina amministrativa capace di gestire efficientemente crescita economica, selezione di quadri e credibilità internazionale. Comparando con le democrazie liberali occidentali, Bell afferma che l’approccio cinese alla politica fa emergere i lati deboli di queste: in particolare, la loro scadente capacità di selezionare il personale politico (spesso meritocrazia al contrario). Bell sostiene che le democrazie liberali dovrebbero correggersi interrogandosi sui pregi del modello politico della Repubblica popolare cinese e del suo “mandarinato tecnocratico”.

Però la vicenda del coronavirus altera le carte. Se è evidente in emergenza la capacità di Pechino di controllare enormi territori per provare a bloccare la diffusione del virus, tuttavia la catena di comando burocratico-meritocratica ha però anche difetti che ne limitano la prontezza di reazione. Suo limite, se paragonata alle democrazie liberali dell’Occidente, sono gli ostacoli posti alla circolazione delle informazioni, fattore strategico per la rapidità di risposta. Il tema è quello del “silenzio burocratico”: l’illusione è di evitare che un’emergenza alteri la tranquillità pubblica e il buon funzionamento dell’economia. Così si fa peggio.

Lo dimostra il caso del dottor Li Wenliang, infettato e ora ucciso dal virus, che ebbe il merito di individuare rapidamente il rischio epidemico e dare l’allarme. Per questo, invece che premiato, fu accusato (un riflesso comune alla politica però ampliato nei sistemi autoritari) di fomentare allarme e costretto a ritrattare. Inoltre, la catena del potere burocratico in un sistema autoritario dissuade le autorità periferiche ad intervenire assumendosene la responsabilità. Così l’allarme prima di scattare deve risalire la verticale del potere: cioè, si perde tempo. E l’emergenza scatta a epidemia già in atto. Forse il Covid 19 reincarna la “vecchia talpa” di Marx? Però, paradossi della storia, ora scava sotto la Città proibita, come fece anche sotto il Cremlino rosso al tempo di Chernobyl, mettendo in luce la disfunzionalità della riservatezza “autoritaria” dinnanzi alla sfida epidemica. 

Il mandarinato meritocratico, già apprezzato dall’illuminista Voltaire per i suoi meriti di capacità di selezione del personale, qui mostra i suoi limiti. Che potranno avere, persistendo la minaccia (forse comunque) conseguenze politiche: auto-correttive interne, se il sistema politico cinese è tuttora vitale; più radicali, se la crisi del Covid 19 facesse emergere che il connubio Pcc/modernizzazione economica ha ormai crepe profonde. 

Resta il fatto che il “silenzio burocratico” ha consentito al coronavirus di avere più tempo per dispiegare i suoi effetti anche come agente, oltreché virale, macroeconomico. Pesanti perché il focolaio dell’epidemia cade nella città di Wuhan, provincia di Hubei nella Cina Centrale, area strategica nella geoeconomia del Celeste Impero. Infatti Wuhan, la metropoli ora posta “sotto chiave” da Pechino, situata nel bacino del Fiume Azzurro (Yangtse), è al cuore della logistica del Celeste Impero. La pericolosità socio-economica del diffondersi dell’epidemia lungo il Fiume Azzurro è connessa al fatto che, dato il suo ruolo nelle rete di comunicazione cinese, può contagiare, non solo virologicamente, le regioni di Hubei in primis, Shangai, Pechino, Guandong (si affaccia sul Mare Cinese Meridionale).

Ed è inevitabile, dato il ruolo di Wuhan e della sua area circostante come hub industriale e di trasporto, che la quarantena impostagli pesi sul Pil sia della Cina sia, data la sua influenza sui commerci e le catene del valore globali, sull’economia mondo. A riprova, Hyundai, big player automobilistico della Corea del Sud, ha interrotto una linea di assemblaggio per carenza di componenti (la quarantena da virale diviene economica). Timori confermati dalla Banca popolare cinese (la banca centrale del celeste Impero) che ha immesso nel sistema bancario liquidità per 400 miliardi di yuan all’indomani di un altro intervento da 1.200 miliardi. La volontà è di dare liquidità ai mercati sotto stress per il Covid 19 per evitare loro una depressione, anche psicologica, che colpisca la stabilità del modello cinese. La moneta come antivirale economico.

Gli effetti economici di un’epidemia assomigliano a un sasso gettato in uno stagno: progressivamente, le onde generatesi si espandono ovunque. Quanto e quanto a lungo? Dipende, come detto, dal tempo necessario a raggiungere l’apice dell’infezione. Il coronavirus pare poco letale sui pazienti colpiti (se le informazioni saranno confermate dalla ricerca); ma ha riflessi sulla moneta e la finanza, entrambe termometri sensibili dei movimenti socio-economici. Questo significa che sono i mutamenti della

fisiologia sociale e economica che, influenzando il gioco della domanda e dell’offerta di beni e servizi, si riverberano sulla dinamica dei valori di mercato, per poi ripercuotersi sull’organizzazione istituzionale della società e sulle sue strutture (Christian Marazzi, E il denaro va).

A ricordare che una spiegazione solo economico/monetaria degli effetti della pandemia è incompleta. Il Covid 19 è anche un agente socio-economico che pone questioni sociali, geoeconomiche e geopolitiche.

Infatti, l’eziologia del virus lo vede, in politica, causare instabilità e perdita di fiducia nelle classi dirigenti (tardando troppo l’apice dell’epidemia questi esiti potrebbero pure travalicare gli oceani) ed in economia agire sui mercati finanziari e sull’economia “reale” anche producendo shock d’offerta (o suoi eccessi come nel caso del petrolio). Ciò anche scontando, come tuttora pare, un’evoluzione relativamente “tranquilla” dell’epidemia.

La situazione la espone la professoressa Capua che dà il senso dell’emergenza ricordando la necessità di

essere consapevoli di quali sono i rischi. Il rischio, ad esempio, è che si fermino i servizi essenziali. Se si fermano i medici, o i ferrovieri, o la catena di distribuzione alimentare è comunque un problema enorme per le nostre società. La comunità internazionale si sta muovendo e dando direttive non perché prevede che le persone moriranno in massa, ma perché è possibile che in presenza di un virus ad alta contagiosità, debba imporre una quarantena forzata a gran parte della popolazione. Una quarantena che impedirà loro di andare a lavorare. Il pericolo è che si rallentino o si blocchino i servizi essenziali (Ilaria Capua, Fanpage).

Il coronavirus, sotto questo profilo, potrebbe assumere le vesti di altri animali che popolano la simbologia del mondo dell’economia. Guardando ai mercati finanziari, essi sono rappresentati da una loro particolare zoologia: il Toro, rialzista, andando verso l’alto il suo colpo di corna; l’orso, ribassista, che con la sua zampata dall’alto verso il basso è la metafora dei momenti ribassisti. Il Covid 19 assume la maschera dell’orso quando la sua ombra appare nei mercati finanziari? In prima istanza sì: il panico, quando si diffonde, è ribassista. Lo si è visto in Asia e in misura minore in Occidente.

Oltre al panico, c’è anche l’idea di cavalcarlo. Perché ad “andare corto”, cioè puntare a guadagnare sulla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di riacquisto di un titolo, sono anche quegli operatori che, più che prede della paura, con essa vogliono guadagnarci. Il fatto epidemico produce loro la materia prima necessaria (l’ansia da panico ribassista) per vendere titoli presi a prestito per poi ricomprarli a prezzi ancora minori. Però è un business tuttora condizionato dal fatto che di panico vero e proprio finora ci sono rare tracce. Il toro è tornato sul palcoscenico dei mercati che hanno mostrato segni di rimbalzo.

Nonostante il Covid 19, a oggi nella comunità finanziaria sembra prevalere l’opinione che, certo, il virus agisce come sabbia sui meccanismi della crescita economica. Tuttavia, la visione prevalente dubita, salvo notizie drammatiche, che l’epidemia basti a bloccarla completamente. Per di più, da tempo “circola” nei mercati un “vaccino finanziario” antagonista agli impulsi ribassisti dell’orso-coronavirus: si tratta della liquidità creata dalle Banche centrali, sebbene per scopi diversi dal frenare l’epidemia, ovvero per sostenere fino a “drogare” i mercati finanziari nel lungo post 2008. Ed è altamente probabile che per evitare uno shock da Covid 19 le banche centrali siano disposte a ulteriori iniezioni di liquidità. Casomai queste ultime, sommandosi alle precedenti, potrebbero a loro volta generare un’altra epidemia, ma specificamente finanziaria. I mercati già poggiano su incerte palafitte per la liquidità precedentemente ricevuta (stati di “bolla” perché il rapporto prezzo di un’azione/quota di profitti aziendali è fuori norma per eccesso). Bastano pochi segni di panico – e le epidemie e le voci su di esse ben vi si prestano – per rompere le dighe.

Forse nei mercati i timori del Covid 19, certo reali, sono il sintomo di un disagio più ampio e condizionato da altri fattori. Quasi che l’epidemia possa fare da “ago nel palloncino” di una bolla in cui già sono, facendola esplodere. È un rischio insito nelle spirali debitorie da cheap money ben fotografato da Mario Seminerio (phastidio.net):

quando un sistema economico si nutre di debito che alimenta altro debito, è difficile essere ottimisti sulla prognosi, in assenza di un miracoloso colpo di reni della crescita che non è chiaro da dove dovrebbe provenire.

Il coronavirus, specie se le notizie dalla Cina, ma anche dall’Africa dove Pechino è presente, fossero negative, potrebbe produrre l’effetto “colpo d’ala” di una farfalla capace di generare uno tsunami. Anche se probabilmente nell’attuale contesto sarebbe un azzardo per le banche centrali assumere decisioni diverse.

Sotto questo profilo, permane un certo ottimismo. Ma la prudenza è d’obbligo. Nessuno nega i costi dell’epidemia. Quello che conta, come già detto, è che abbia una dinamica controllabile e prevedibile; cui aggiungere i tempi (sperabilmente rapidi) per disporre del vaccino. Guai, però, se si trasformasse in una pandemia fuori controllo: allora, lo stato psicologico dei mercati cambierebbe al brutto. Quindi, se il coronavirus giocherà contro lo sviluppo, o solo modificherà le aspettative orientandole al pessimismo, in borsa sarà allarme rosso. Altrimenti, pensando al meglio, il danno economico potrà limitarsi ai prossimi due trimestri, soprattutto in Cina. Non poca cosa, ma sopportabile.

Resta però l’ombra di imprevedibilità dell’epidemia rispetto al suo impatto economico. L’ha ricordato il presidente della Federal Reserve (FED) Jay Powell quando a gennaio ha descritto l’epidemia come una questione molto seria, ma al contempo ancora allo stadio iniziale e rimanendo incerto quanto si diffonderà e che macroeconomici effetti avrà. Tuttavia, salvo sue impennate, per Powell vi può essere un contrappeso ad essa via allentamento delle tensioni commerciali. Resta comunque un cauto ottimismo sia da parte del presidente della FED Powell condiviso anche dal presidente della BCE Christine Lagarde che, dinnanzi al Parlamento europeo, pur richiamando i possibili guasti economici dell’epidemia per l’Eurozona, ritiene che questi siano temporalmente limitati. Aggiungendo anche che, all’esaurirsi della spinta epidemia, l’economica potrebbe avere un rimbalzo positivo. Come del resto avvenne con la SARS del 2002/2003.

Ciò che conta è che il Covid 19 eviti di prendere le vesti di un altro protagonista della zoologia economica: il cigno nero, simbolo di eventi imprevisti di grande impatto negativo. Comunque, anche ad essere ottimisti, l’emergenza continuerà almeno fino all’estate, in attesa del picco e del vaccino (le stime sulla sua produzione/disponibilità annunciano ancora mesi d’attesa).

Vuol dire che i tempi per il contenimento dell’epidemia sono ancora lunghi e che, lo ricorda la direttrice del Fondo monetario internazionale (FMI) Georgieva, anche senza il manifestarsi del cigno nero, ci sarà un conto da pagare. Poi c’è la geopolitica, dove le difficoltà economiche indotte dal Covid 19 potrebbero far pagare pegno alla Cina. 

Fino a oggi lo scenario mostrava un relativo declino dell’Occidente accompagnato dall’avanzamento di nuovi player strategici sempre più influenti negli equilibri globali. L’Asia ha espresso questo mutamento a sua volta interpretato con forza dai due colossi dell’area: India e Cina, diventata il grande competitor degli USA. Grandi sono le ambizioni di Pechino tant’è che si è cominciato a vedere il crearsi di una sorta di Beijing Consensus sfidare in molte parti del pianeta il più usuale Washington Consensus. Tanto da far sottolineare al politologo statunitense Allison (Graham Allison, Destinati alla guerra) che la sfida tra una potenza dominante e una emergente veniva a configurare il grande confronto all’ordine mondiale del XXI° secolo.

Il Covid 19 opera come attore geopolitico orientato a contrastare questa dinamica sia provando a togliere credibilità politica e stabilità a Pechino (qui la partita è sui tempi e modi necessari per bloccare il virus) che minacciandone il ruolo come “fabbrica del mondo”. Infatti, continuando l’epidemia o apparendo la Cina meno sicura dinnanzi ad imprevisti sempre possibili, altri paesi potrebbero candidarsi a prenderne il posto. Inoltre, il Covid 19 ha fatto emergere pubblicamente dipendenze dall’offerta cinese (ora potenzialmente sotto shock) in settori che facilmente da economici possono divenire politico/strategici. La conseguenza sarà di correzioni a tale tendenza, per il vero già iniziati prima dello scoppio dell’epidemia (i dazi di Trump).

Per la Città Proibita politicamente il coronavirus è il cigno nero, l’evento raro che mette in discussione all’interno e all’esterno quello che appariva un percorso certo del potere sorto dalla Grande Marcia maoista. Di certo, il presidente della Repubblica Popolare di Cina Xi Jinping si gioca parte del proprio futuro con i risultati della guerra contro il Covid 19.

La farfalla e il cigno nero ultima modifica: 2020-02-12T19:56:03+01:00 da FRANCESCO MOROSINI
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