Le confessioni di un quasi renziano pentito

Forse mi sono sempre sbagliato, anche nel 2013 quando ritenevo Renzi un leader in grado di far uscire il centrosinistra dalla diarchia infinita D’Alema-Veltroni. Adesso non lo capisco. Non capisco la razionalità dell’ultimo anno.
ALDO GARZIA
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Non capisco più Matteo Renzi. Forse mi sono sempre sbagliato, anche nel 2013 quando lo ritenevo un leader in grado di far uscire il centrosinistra dalla diarchia infinita D’Alema-Veltroni. Adesso mi considero un (quasi) renziano “pentito”. Non capisco la razionalità dell’ultimo anno: prima l’Aventino nel Pd dopo le dimissioni da segretario, poi l’aspra polemica contro chi cercava il dialogo con i 5 Stelle, poi ancora il colpo di reni per far nascere il governo Conte 2, infine l’uscita dal Pd, la costituzione successiva d’Italia Viva e ora l’aut aut al governo su giustizia, politica economica ed elezione diretta del presidente del Consiglio. Non ho mai avuto grandi affinità con Renzi, ma non lo consideravo una iattura come invece riteneva la maggior parte della sinistra fin da quando ha sostituito Pier Luigi Bersani alla guida del Pd. All’inizio della sua ascesa a segretario e poi a premier, anzi l’ho seguito da cronista con simpatia e attenzione. Non ero prevenuto.

Ricordo la prima volta che l’ho ascoltato. Era il 24 settembre 2012, Auditorium di via della Conciliazione: l’esordio di Renzi a Roma come candidato alle primarie piddine. Ero stato inviato dall’agenzia Asca. C’era grande attesa, soprattutto tra noi cronisti, per conoscere da vicino il giovane sindaco di Firenze che aspirava alla conquista del suo partito. Il clima che aveva preparato l’assemblea era stato bizzarro. Nei Circoli del Pd di Roma aveva circolato una parola d’ordine, soprattutto tra gli ex Ds: “Non andate all’Auditorium”. Pure gli ex Margherita diffidavano. Nonostante il boicottaggio, il teatro si era riempito in ogni ordine di posti. Mentre lo aspettavamo fuori dall’Auditorium, apparve il camper di Renzi. Con lui, Simona Bonafè (oggi parlamentare europea). l’ideologo renziano Giuliano Da Empoli, Maria Elena Boschi, in quei giorni coordinatrice delle primarie renziane. 

Nonostante fossimo a fine settembre, il sindaco si presentò in maniche di camicia. Salutò la folla, sorrise, si fece fotografare come un divo all’esordio cinematografico. Lo sguardo dei giornalisti cercava di indagare sulla presenza di esponenti di rilievo del Pd in sala. Ricordo di averne chiesto conto a Roberto Roscani, portavoce di Walter Veltroni, che era con me nell’Auditorium. “Io non vedo nessuno”, disse sorridendo il mio interlocutore. Girovagando in sala, mi resi conto che erano presenti molti anonimi funzionari in rappresentanza delle varie correnti: prendevano appunti sui loro taccuini. Non c’era neppure lo zoccolo duro della Margherita d’allora dalla quale proveniva Renzi: Dario Franceschini e Paolo Gentiloni non s’erano visti. Mi pare di ricordare che c’erano solo i deputati Ermete Realacci e Andrea Sarubbi.

Renzi mi stupì come oratore e showmen. Sul palco ne ebbe per tutti:

Rosy Bindi? Incoerente. Veltroni e D’Alema? Dei sussurratori, degli inciuciatori. Sono imbullonati da venticinque anni alle sedie del Parlamento.

Polemizzò con gli ex Ds, con gli ex Popolari, con quanti rischiavano di fare del Pd “un partito tradizionale, già nato vecchio”. I suoi refrain facevano simpatia:

Bisogna cambiare, rinnovare, rottamare. Io mi candido per portare idee nuove nel contenitore che abbiamo creato. 

M’impressionò la coreografia di quel comizio. Le scritte “Adesso!”, “Matteo 2012” spiccavano a caratteri cubitali sul palco composte da mattoni in polistirolo a colori rosso-azzurro. Renzi parlava camminando da una parte all’altra del palco. Lo stile era kennediano: camicia bianca, maniche rivoltate, cravatta blu, battute, ironia, sorrisi. A un certo punto s’interruppe per la messa in onda di un primo filmato: Massimo Troisi in “Non mi resta che piangere”. Poi ne arrivarono altri. Ne ricordo uno – se la memoria non mi inganna – di Crozza che faceva il verso a Renzi alle prime armi come candidato outsider. Applausi e risate si alternarono per un’oretta.

Campagna elettorale 2014

L’innovativa tecnica comunicativa – un salto mortale carpiato rispetto a Bersani, D’Alema, Veltroni – incantò la platea e conquistò noi cronisti che avemmo la netta sensazione di essere di fronte al personaggio nuovo della politica italiana. Renzi diventò infatti segretario del Pd nel dicembre 2013 e premier nel 2014. Nei primi tempi della sua segreteria, riuscì perfino a far aderire il Pd all’Internazionale socialista e al Partito del socialismo europeo, impresa che non era riuscita né a Veltroni e né a Bersani. Ho gioito in seguito per il 40,8 per cento avuto dal Pd nelle elezioni europee del giugno 2004, pur non votandolo perché ero ricoverato in ospedale.

Quando sono uscito dall’ospedale un anno dopo, sembravo un personaggio del film Goodbye Lenin: non riconoscevo i personaggi che avevo in mente. E tantomeno Renzi. iniziò a deludermi mossa dopo mossa: metodi di gestione personalistici, nemmeno una piega per evitare la scissione di D’Alema e Bersani, voglia di andare a Palazzo Chigi senza usare pazienza e consenso, troppo sicuro delle sue virtù taumaturgiche quando arrivò al ruolo di presidente del Consiglio, referendum costituzionale come carta da poker con cui giocarsi tutto. Certo, nel Pd gli ex Ds lo hanno mal tollerato fin dall’inizio. Tuttavia un leader si misura pure dalla sua capacità di costruire consenso e di non portare ogni scelta al limite della rottura. Deve darsi tempo.

Ora qualcuno dirà che mi ero fatto illusioni su Renzi e che Renzi è stato sempre un guastatore e che con la sinistra non ha mai avuto niente a che fare. Qualcun altro dirà che il Renzi di oggi è uguale a quello che ho visto per la prima volta nel 2012. Mi limito a scrivere semplicemente che sono stato un simpatizzante renziano agli inizi e che – complice un ricovero ospedaliero – non ho vissuto la sua successiva scalata al successo. Oggi non lo capisco e quando lo capisco non ne condivido le scelte. Faccio fatica a seguirne la logica perfino come semplice cronista del dibattito politico. 

Le confessioni di un quasi renziano pentito ultima modifica: 2020-02-20T17:44:40+01:00 da ALDO GARZIA
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