Di Henry “Harry” Gregg se ne potrebbe scrivere per giorni. Perché ci ha lasciato di recente, al termine di un’avventura umana lunga ottantasette anni. Perché è stato un grande portiere, in una stagione in cui la scuola anglosassone dei numeri uno era fiorente e lui ha avuto l’onore di difendere i pali di uno dei Manchester United più forti e vincenti di sempre.
Ma soprattutto perché è stato uno degli angeli della tragedia di Monaco di Baviera, quando l’aereo dei Red Devils si schiantò e andò a fuoco e di quella squadra leggendaria morirono alcuni dei protagonisti più significativi mentre altri si salvarono per miracolo e anche grazie alla passione civile e al coraggiosissimo intervento di Gregg. Tra questi, ricordiamo Bobby Charlton, l’eroe dei Mondiali del ’66, il mito che avrebbe tenuto a battesimo Best e che ancora oggi, oltremanica, gode di un rispetto prossimo alla venerazione.

Del resto, Gregg e compagni hanno incarnato un universo sportivo durato molti anni, come se la storia si fosse data appuntamento un decennio dopo Superga, scegliendo un proscenio assai diverso e un epilogo solo leggermente meno assurdo, visto che del Grande Torino non era rimasto vivo nessuno e che da quello schianto il mitico Toro è uscito, di fatto, per sempre dal novero delle grandi. Lo United no, qualcuno ce l’ha fatta e, se oggi ne celebriamo ancora il mito, è in parte merito di quel campione in tutti i sensi, capace di lottare sia in campo sia, soprattutto, fra le fiamme di un aereo distrutto, strappando alla morte quanti più compagni possibile e stando ben attento a non recitare mai la parte dell’eroe, anche se indubbiamente lo era.
Gregg ha voluto si parlasse di sé per le imprese sportive, per i trofei vinti, per le parate compiute e per l’affetto che la gente ebbe sempre nei suoi confronti. Un affetto più che meritato, se si pensa al valore intrinseco del giocatore e alla portata simbolica del suo gesto, benché, come detto, ne abbia sempre parlato con parsimonia, vivendo con riservatezza la sua condizione di mito vivente.

E ora che non c’è più e che la compagine di Sir Mutt Busby è stata consegnata alla leggenda, possiamo ribadire che, se tutto questo è stato possibile, il merito è anche e soprattutto suo. Gli altri ci hanno messo la classe, il talento e le imprese; Gregg, oltre a questo, ci ha messo la propria solidarietà e il proprio amore per il prossimo. Era il 6 febbraio 1958 quando ebbe luogo la tragedia dei Diavoli rossi. La commozione è ancora tangibile in chiunque ami e creda nello sport. Lo squadrone, lassù, ormai è quasi al completo.

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