Di fronte all’emergenza epidemica, diverse grandi aziende e adesso anche la pubblica amministrazione adottano misure per aumentare il telelavoro. Potrebbe essere l’occasione di imparare e rendere poi permanente la diffusione del lavoro a casa, “quando vuoi, come vuoi”, che è da tempo negli auspici di chi vi annette decisi “benefici sia per le imprese che per i lavoratori” (Harvard Business Review, 14/8/2019).
E potrebbe essere l’occasione in Italia di ridurre la forte distanza che sul telelavoro ci separa dalla media europea. Nel 2008 eravamo all’ottavo posto su ventinove paesi per quota di lavoratori da quindici a sessantaquattro anni che non avevano avuto esperienze consistenti di telelavoro: il 94 per cento, dietro solo a Romania, Cipro, Bulgaria, Lettonia, Croazia, Grecia, Portogallo. Nel 2018 siamo passati al quarto posto con il 95 per cento, una percentuale addirittura aumentata in dieci anni, mentre per esempio l’Olanda passava dall’89 per cento al 64 per cento.
Una svolta potrebbe avvenire? Sarebbe un bene? Vediamo. Con molte differenze, alti e bassi, il telelavoro è cresciuto in generale negli ultimi dieci anni e non mancano le ricerche che ne hanno esplorato ragioni, ostacoli e risultati.
Un primo dato emerge spesso: se benefici ve ne sono al netto dei costi, si vedono soprattutto nel medio-lungo periodo, mentre nell’immediato la percezione resta incerta per cui sono forti le resistenze alla sua adozione, non tanto da parte dei sindacati e neppure dei lavoratori individualmente, ma da parte degli stessi dirigenti e capi delle imprese.
Nell’immediato, cioè, non è per nulla chiaro se convenga o meno introdurre o allargare il telelavoro al di là di impieghi ristretti ovvero occasionali. Per questo in qualche rapporto di ricerca si riconosce utile uno shock esterno in modo da superare questa barriera. In altri contributi, poi, si mostra che il telelavoro si auto-alimenta nelle imprese che lo hanno già introdotto. Su tali basi si potrebbe quindi dire che effettivamente l’occasione dell’epidemia potrebbe servire.

Eppure altre considerazioni vanno aggiunte, e la principale è suggerita dalle stesse statistiche. Risulta infatti che negli ultimi dieci anni il “progresso” verso il telelavoro è stato tutt’altro che lineare. Guardando i paesi europei nei quali il telelavoro è più diffuso, si vede che – esattamente in cinque su dieci – la quota di telelavoro abituale è diminuita dal 2008 al 2018 (Austria, Danimarca, Belgio, Francia, Irlanda), mentre aumentava negli altri cinque (Olanda, Finlandia Lussemburgo, Estonia, Slovenia). Si vede inoltre che in paesi importanti come Germania, Regno Unito e Spagna, il telelavoro sistematico è più diffuso che da noi ma non di molto.
Diverse sono le circostanze che possono spiegare questi “strani” andamenti, ma non si deve escludere che l’esperienza possa essere stata anche deludente. Se fosse così, sarebbe necessaria molta prudenza, per evitare – magari – che l’introduzione forzata di telelavoro in Italia finisca per aggiungere costi a costi (saranno salatissimi) della “follia collettiva” che ci ha preso, come la chiama Cacciari (“Chi ci governa è in confusione totale il risultato è la follia: la pagheremo cara”, Il Mattino, 27 febbraio 2020, p. 8)

Ma potrebbero aver anche giocato in modo complesso: costi per implementazione e sviluppo, vantaggi e svantaggi differenziati per contesti sociali, tecnici, culturali, per dimensioni delle imprese, per età genere, istruzione e qualificazione dei lavoratori coinvolti.
Posto che l’ostacolo dovuto all’incertezza nella prima introduzione del telelavoro sia superato, le difficoltà non sono per questo finite. In una rassegna che ha esaminato quaranta ricerche empiriche, sono stati individuati undici tipi di vantaggi e tredici di svantaggi del telelavoro (per lavoratori e imprese) che si sono dimostrati rilevanti nella pratica, per cui il bilancio tra gli uni e gli altri dipende molto dal contesto, come queste e altre ricerche hanno puntualmente dimostrato.
Per le imprese si ha una riduzione di costi vivi (spazi, attrezzature), aumento della produttività del lavoro, della sua flessibilità, spesso riduzione dei salari unitari, ma non gratuitamente. Sono vantaggi superati da inefficienze se non si spende per un mutamento organizzativo piuttosto profondo e per la formazione dei lavoratori e dei capi.
Si pongono infatti particolari sfide sul lato delle nuove tecnologie e sul lato dello spirito collaborativo; a meno che il telelavoro non venga confinato – come spesso avviene – nell’ambito di attività routinarie poco valorizzate.
Anzi viene proprio da qui un pericolo, evidente per i lavoratori, ma sensibile anche per le imprese: dividere nettamente il lavoro “dentro” da valorizzare e il lavoro “fuori” da de-valorizzare. In tutte le organizzazioni una simile divisione, forse conveniente nell’immediato, si paga alla lunga, un poco in termini di ingovernabilità, molto in termini di resistenza all’innovazione.
Per i lavoratori si hanno possibili guadagni per orari e modalità di lavoro più autonomi, maggiore mobilità, potenziale maggiore soddisfazione nel lavoro, ma al prezzo di isolamento, rischi per la carriera, minori supporti tecnici e organizzativi, autosfruttamento dovuto a scivolamenti verso nuove forme di salari in sostanza a cottimo.

La lista di vantaggi e svantaggi di un’altra più completa rassegna di ricerche corrisponde; con l’aggiunta, tra i vantaggi per le imprese della più facile organizzazione per obiettivi e del minore assenteismo; tra gli svantaggi problemi di motivazione dei lavoratori e maggiori rischi di errata selezione nelle assunzioni e carriere.
E per i lavoratori: vantaggi come minori problemi relazionali nel luogo di lavoro e maggiori opportunità di assunzione, svantaggi come percepite perdite di status e problemi psicologici: stress e depressione, come mostra una terza rassegna di ricerche che hanno esplorato gli specifici problemi del telelavoro sul piano della salute dei lavoratori coinvolti.
In queste ricerche emergono anche le circostanze che danno luogo a diversi bilanci tra vantaggi e svantaggi. Sono in evidenza maggiori difficoltà nelle piccole imprese, che però hanno anche la maggiore disponibilità a introdurre il telelavoro; con il risultato che i maggiori rischi si hanno proprio in questa fascia dimensionale.
Una simile singolare “dialettica” funziona nello stesso modo considerando ulteriori differenze. L’introduzione e sviluppo del telelavoro fornisce migliori risultati dove i lavoratori sono più coinvolti nelle scelte organizzative, ma qui si rivela più difficile perché essi sono meglio in grado di vedere anche gli svantaggi.
Qualcosa dello stesse genere si ha distinguendo le imprese tra più e meno innovative, più o meno recenti, con più o meno donne nei ruoli dirigenti, con lavoro più o meno mediamente istruito e qualificato. Nelle più innovative, più giovani, con maggiore presenza di donne tra i capi, con maggiore istruzione e qualificazione dei dipendenti si possono trarre maggiori vantaggi e ridurre i costi, ma si hanno anche più resistenze data la maggiore consapevolezza dei rischi.
Serve infine considerare la condizione dei lavoratori come emerge nel ponderoso Rapporto Eurofound del 2017.
Le conclusioni più significative del Rapporto sottolineano che il “sapere tacito”, molto importante in tutte le organizzazioni e particolarmente nelle più innovative, è reso difficile con il telelavoro perché esso si apprende soprattutto nelle relazioni faccia a faccia.
È pertanto preferibile l’alternanza nel telelavoro piuttosto di una separazione tra chi lo svolge tendenzialmente sempre e chi mai. Dato che il telelavoro può spingere ad aumentare le ore lavorative e l’impegno, aumentano le possibilità di carriera, tuttavia soltanto per i lavoratori più qualificati e se sostenuti attivamente dai dirigenti.
Per gli altri sono elevati i rischi di “stigma” che attribuisce loro minore importanza e li rende meno visibili riducendone drasticamente le possibilità di avanzamento.
Dove il telelavoro è diffuso si ha tipicamente che un quarto dei lavoratori coinvolti sono marginalizzati, e questo quarto comprende anche persone molto istruite e qualificate, che però sono lasciate a se stesse.

Infine la condizione delle donne coinvolte nel telelavoro appare molto delicata dal momento che le discriminazioni di genere che ancora pesano rendono per loro maggiori i rischi dovuti al minore apprendimento tacito e alla minore visibilità, con il risultato di spingerle ad aumentare le ore di lavoro e l’impegno.
Possono così determinarsi forti tensioni negli equilibri familiari. In definitiva, vantaggi e rischi del telelavoro dipendono anche dalle norme e istituti contrattuali in materia di orari di lavoro, salute e sicurezza; dai quadri organizzativi in materia di assegnazione e verifica delle responsabilità dei non presenti nel luogo di lavoro e di chi li organizza; del contesto sociale e culturale.
Ciascuno tiri le proprie conclusioni e veda se dar ragione all’ottimista di professione e disinvolto Domenico De Masi (su Il Fatto quotidiano), il quale ha detto che
col telelavoro la produttività aumenta. [Ma in Italia] il capo vuole i suoi dipendenti a portata di mano. Io la chiamo sindrome di Clinton che voleva la stagista nella stanza accanto. Siamo in balia di manager impreparati ai quali fanno spesso da pendant […] sindacalisti impreparati. È comico che le aziende si stiano accorgendo adesso che esiste il telelavoro.
La mia impressione è che il telelavoro “buono” sia utile ma anche un lusso che ci si può permettere in contesti avanzati. Il declino italiano e la sua “via bassa” alla crescita (in realtà a tentativi di crescita andati male ma ormai irrimediabili), specie delle condizioni di lavoro, con molta probabilità accentua i rischi e riduce le speranze di vantaggi di una ipotetica diffusione sistematica del telelavoro.

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