Il sistema giudiziario turco ha fatto di nuovo parlare di sé in un controverso caso risalente alle proteste di Gezi Parkı del 2013. Il 18 febbraio scorso il Tribunale penale di Silivri (Istanbul) ha assolto nove imputati per mancanza di prove, ordinando inoltre la scarcerazione di Osman Kavala, imprenditore e filantropo, unico del gruppo dietro le sbarre (per più di due anni). L’accusa era di aver tentato di rovesciare il governo tramite le manifestazioni di Gezi Parkı. Per Kavala era stato chiesto l’ergastolo aggravato, per altri due imputati l’ergastolo, e pene da quindici a vent’anni per i restanti sei.
La detenzione in attesa di giudizio a cui Kavala era stato sottoposto aveva suscitato aspre critiche da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ne aveva ordinato più volte il rilascio, più recentemente a dicembre 2019. Il tribunale di Silivri ha anche deliberato di revocare il mandato di arresto per altri sette imputati fuggiti all’estero – tra cui il giornalista Can Dündar – e di costituire per essi un processo separato. Secondo uno degli avvocati presenti anche loro saranno assolti.
Questo insolito risultato, in una Turchia dove i processi farsa di avversari politici si concludono con condanne molto pesanti basate su prove scarse e a volte sospette, ha fatto sperare alcuni nella ritrovata indipendenza del sistema giudiziario turco. Tuttavia, poche ore dopo il rilascio, Osman Kavala è stato nuovamente preso in custodia dalle forze dell’ordine. Ora dovrà comparire davanti al giudice per il suo presunto coinvolgimento nel tentativo di colpo di stato del 15 luglio 2016 con l’accusa di aver cercato di sovvertire l’ordine costituzionale.

Non è la prima volta che sono impiegati tali stratagemmi, in particolare quando il presidente Recep Tayyip Erdoğan si sente coinvolto personalmente nella vicenda. Il leader turco non ha dimenticato né perdonato gli eventi di Gezi Parkı, che rappresentarono una seria minaccia al suo governo – ai tempi era infatti ancora primo ministro. Ora come allora, esponenti del suo partito AKP hanno definito i manifestanti come vandali, saccheggiatori e violenti, facendo riferimento ai danni inflitti ad automobili e attività commerciali. Rappresentanti dei partiti d’opposizione CHP e HDP – alcuni dei quali erano tra coloro che aspettavano Kavala all’uscita del carcere di Silivri – hanno puntato il dito contro la brutalità della polizia nei confronti dei manifestanti. Le manifestazioni del 2013 erano cominciate nel centro di Istanbul per impedire la demolizione di un piccolo parco (Gezi Parkı appunto) e s’erano poi espanse in molte altre città in un’ondata di protesta contro Erdoğan e il suo partito. A causa di un utilizzo sproporzionato delle forze di polizia, il bilancio finale fu di 8 morti e oltre cinquemila feriti.

Kavala è stato additato da Erdoğan come la mente principale della protesta e accusato di ricevere sostegno dal finanziere americano-ungherese George Soros. La sua vicenda giudiziaria è stata seguita con attenzione e diretta partecipazione da molte delle rappresentanze straniere in Turchia, tra cui Stati Uniti, Canada, Germania e Svezia. Nonostante l’interesse internazionale e la prima assoluzione, Osman Kavala dovrà ora difendersi dall’accusa – inverosimile – di essere coinvolto nel fallito golpe del 2016. Proprio quest’ultimo avvenimento è stato ed è tuttora utilizzato in maniera strumentale da Erdoğan per sbarazzarsi di critici e oppositori al regime, anche coloro totalmente estranei alla faccenda.

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