Sono giorni straordinari, con angosce straordinarie, in un paese straordinario: Italia, marzo 2020, momento di riflessione sui fatti che coinvolgono ognuno di noi a ogni latitudine.
Cerchiamo un evento speciale per festeggiare il fatto che siamo ancora salvi… per capire quali segnali il presente ci offre per l’avvenire.
Mai parole suonarono così profetiche come queste scritte da Roberto Rossini nel suo saggio Più giusto. Cattolici e nuove questioni sociali, edito da Morcelliana.
Rossini, dal 2016 presidente nazionale delle Acli, le Associazioni cristiane lavoratori italiani, analizza il momento storico attuale alla luce dell’ottica della dottrina sociale della Chiesa e su come l’uomo si ponga di fronte allo stato, al lavoro, alle attualità, come in questi giorni, drammatiche.
Rossini da cristiano spiega la complessa realtà sociale con proposte di ricerca di una nuova linea d’urto che porti a un rinnovamento in una società molto malata, materialmente, economicamente, moralmente e spiritualmente.
Lo vediamo soprattutto in questi difficili momenti nei quali paura e angoscia per l’epidemia da Covid19 rendono molto fragili gli equilibri sociali già minati da difficoltà economiche pluriennali.
Lungo è l’elenco che l’autore esamina con l’aiuto di sociologi e filosofi di fama internazionale. Potere in mano a pochi, ascensore sociale bloccato, crisi economica, finanza dominante, povertà, emigrazione, tecnologia imperante, disuguaglianze sociali esasperate: sono solo alcune delle problematiche che permeano la vita delle persone e che portano a insofferenza, insoddisfazione e contestazione verso il potere.
Afferma Rossini che
il principale soggetto di questa storia assume diversi volti: del povero, del proletario, del lavoratore, fino ad arrivare a quei volti che Papa Francesco chiama “gli scarti”.
In una società dove il pulsante dell’ascensore sociale, che dal secondo dopoguerra in poi ha permesso al ceto medio-basso di aumentare il proprio livello socio-economico, è bloccato al piano zero, l’istruzione e il welfare non servono più a migliorare la vita delle persone ed è palese nel pensiero comune che “il futuro non sarà migliore del passato”.
Gioco d’azzardo e successo nei talent show sono le sole aspettative di benessere per chi non riesce a migliorare la propria condizione sociale: triste e limitante prospettiva per molti, che vivono le forti disuguaglianze di opportunità dando luogo a cinque “fratture sociali” che l’economista Gianfranco Viesti identifica tra giovani e meno giovani, tra maschi e femmine, tra chi ha e chi non ha, tra nord e sud, tra chi sa e chi non sa.

Solo leggendo queste parole la nostra mente si apre alla realtà che ci circonda; ed ecco balzare sul tavolo tutte le contraddizioni di una società dove manca la spinta propulsiva e la fiducia, sia nel futuro sia nella giustizia sociale. È allora che rancore e tristezza prevalgono, anche grazie alla tecnologia esasperata dai cosiddetti “social”. Scoppia la rabbia contro le élite, che non mantengono le promesse, e la finanza che domina una politica debole, confermando che “il meglio è passato”, come diceva Ennio Flaiano.
Poca coesione sociale, forbice sempre più larga tra poveri e ricchi, società immobile, risentimento, paura di cadere nella povertà, rivendicazioni razziali e xenofobe, affidamento all’uomo forte, nostalgia del passato, alimentano speculazioni politiche e pessimismo sociale, insomma il famoso populismo.
“Ingegneri del caos” che soffiano sulle braci delle domande inascoltate delle classi più impoverite, aumentando insofferenza quando non ferocia verso i più deboli, siano essi immigrati o più poveri.
“Aporafobia” è il termine che indica questa paura che si inserisce anche in un panorama urbano degradato, dove le periferie giacciono loro malgrado su un terreno scivoloso denso di mancanza di servizi, emarginazione, ingiustizie, considerate vere “strutture di peccato”, male generatore di male, come afferma Giovanni Paolo II nell’epistola Sollicitudo rei socialis.
Accanto a tutto il risentimento inascoltato, si genera il pericolo di cadere nella metafora della rana nel pentolone del filosofo Noam Chomsky: quando l’ingiustizia non fa più scandalo e l’assuefazione al peggio prevale, s’arriva allo stato della rana che rimane nell’acqua sempre più calda adattandosi fino a finire bollita.
Ma no, non si può sempre e solamente considerare i fattori negativi della società italiana. Roberto Rossini elenca una serie di primati positivi del nostro paese, poco o per niente conosciuti: dei veri e propri record, come quello di possedere il maggior numero di siti Unesco al mondo, cosa che solo trentotto italiani su cento sanno; o quello che ci vede leader mondiali nelle produzioni di agricoltura biologica, solo diciannove italiani su cento ne sono al corrente.
Per non parlare dei differenti settori strategici di mercato legati al settore manifatturiero, tessile, alimentare, del design, della moda, dell’automazione… questione di conoscenza ma anche di fiducia e di impegno a valorizzare quanto abbiamo, anche di immateriale, come caratteristica del popolo, umanità, ingegno, capacità di impresa.
Con l’ottimismo della volontà per quel che riguarda impegno civico e volontariato, Roberto Rossini invita a cogliere quei fattori positivi che hanno come centro e motore l’uomo: con le sue civitas, con i centri di incontro, luoghi dove anche i più deboli abbiano un ruolo e una mansione, gruppi di acquisto solidale o recupero delle eccedenze alimentari, l’impegno ambientale, il recupero di luoghi abbandonati, i percorsi educativi nella natura, la conoscenza della propria storia, il riappropriarsi di ciò che è comune… ecco che l’impegno per le periferie si inserisce in questo discorso che parla di “luoghi centrali” della città dove si potrebbe vivere una nuova libertà.
Quando anche la politica non parlerà solamente di “ripartire dai territori” ma applicherà queste tre parole in concreto, la chiave di lettura del futuro potrà essere positiva.
Fiducia e relazioni, bene comune e non solo Pil, potranno dare vita a un’economia civile che non è certo idea di questi tempi: la prima cattedra di economia civile basata su fiducia e relazioni risale a fine Settecento, a Napoli.
E dopo le esperienze mondiali drammatiche della crisi del 2008 molte sono le imprese che non guardano solo al profitto ma inseriscono misure sociali a misura d’uomo e di donna, finalmente, e di ambiente assieme.
Lungo e attuale il discorso sul lavoro femminile, che soprattutto in questi giorni di allerta sanitaria rappresenta un aspetto importante della gestione della crisi. Gli aiuti alle famiglie non si improvvisano, l’organizzazione del lavoro nemmeno. Occorre avere idee. Idee che colleghino sociale a realtà.
In questo discorso articolato non può non inserirsi la questione ambientale e le iniziative ecosostenibili, nonché la pulizia e il decoro delle nostre città. Un richiamo alla responsabilità individuale e non solo collettiva, che proprio in questi giorni di clausura forzata da coronavirus si manifesta almeno nelle coscienze speriamo dei più.

Se il viaggio di Paolo di Tarso è preso ad esempio come metafora di vita e raggiungimento degli obiettivi guidati dalla fede, il richiamo dell’autore all’Apostolo delle Genti è quanto mai attuale: ci riporta in quella parte del mondo dove infuriano guerre e ingiustizie, quel confine turco-siriano che Paolo cittadino romano attraversò molte volte, quando tutto il territorio era sotto l’Impero romano.
Lui veniva da Tarso, piccolo centro sulla costa dell’odierna Turchia meridionale, poco dopo il confine con l’odierna Siria: arrestato e portato in nave a Roma, naufragò, le vite furono salvate nonostante la perdita della nave, e “la prima cosa da salvare è la persona”.
La visione cattolica dell’autore spinge verso la visione universale del mondo, che sorpassi conflitti e interessi per un’alleanza, un nuovo patto. Parole che richiamano l’Antico Testamento. Chissà mai, in tempi così difficili, un’antichissima lettura del mondo non farebbe male.


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