Ci costerà caro, il coronavirus

Le sfide che abbiamo davanti non riguardano tanto le politiche economiche di breve periodo, riguardano piuttosto il rilancio della produttività. La crisi del virus potrebbe svegliare l’Italia dall’assopimento nel suo ventennale declino dovuto anche alla svalutazione delle competenze, un’idea che ha purtroppo dominato in questi vent’anni.
GILBERTO SERAVALLI
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L’economista Larry Hu (Macquarie Group) ha detto qualche giorno fa che in seguito all’epidemia

è perfino possibile che in Cina si debba registrare crescita economica negativa nel trimestre in corso, la prima volta dopo la fine della Rivoluzione culturale. (Nel 1976 la variazione del Pil fu -1,6%; +9,4% in media dal 1978 al 2018).

Negli Usa e nei paesi dell’Europa occidentale le cose potranno andare ancora peggio, secondo la dettagliata analisi del Center for American Progress (6 marzo 2020). L’effetto negativo sull’economia dipenderà molto infatti da quattro elementi che giocano a nostro sfavore:

1) la maggiore incertezza nei mercati finanziari, nelle imprese e tra i consumatori data la maggiore inesperienza;
2) il maggior peso dei servizi e delle attività economiche faccia a faccia che si bloccano;
3) la maggiore dipendenza dalle subforniture le cui catene si interrompono;
4) il maggiore indebitamento degli Stati e degli attori economici che accentua la depressione della spesa e ne ostacola il rilancio, mentre – si può aggiungere – la politica monetaria è poco efficace dato il livello bassissimo già vigente dei tassi di interesse.

Pochi si azzardano a fare previsioni. Mazziero Research prevede però un calo del pil del 3% nell’anno in corso. 

I mercati finanziari le praticano. Prendiamo ad esempio gli andamenti dei tassi di interesse a breve e medio-lunga scadenza. Normalmente i secondi sono superiori ai primi perché investire a più lungo termine comporta rinunciare a liquidità e correre più rischi; se tale differenza fosse esigua o perfino invertita (rendimenti a breve sopra quelli a più lungo termine) vorrebbe dire che si profilano crisi di solvibilità e rischi a breve termine anormalmente alti. Nella seguente figura sono riportate le differenze tra tassi a medio-lunga scadenza e a breve tra febbraio e marzo di quest’anno.


Figura 1. Differenze tra i tassi di interesse Eurirs a dieci anni e Euribor a un mese da febbraio a marzo 2020. Fonte: Nostre elaborazioni su dati https://www.mutuionline.it/

Si vede che dal 6 febbraio al 9 marzo la differenza tra tassi a medio-lungo termine e tassi a breve si è più che dimezzata, e si sta pericolosamente avvicinando a zero. 

Perché pericolosamente?

Per capirlo nella figura 2 si riporta l’andamento della differenza tra prima e dopo la grande recessione del 2007-2008.


Figura 2. Differenze tra i tassi di interesse Eurirs a dieci anni e Euribor a un mese da gennaio 2007 a febbraio 2009. Fonte: Nostre elaborazioni su dati https://www.mutuionline.it/

Come si vede la crisi del 2007-2008 fu caratterizzata proprio da differenze molto basse tra tassi a medio-lunga scadenza e tassi a breve, e in due momenti negative: dicembre 2007 e ottobre 2008. Si nota anche che i mercati finanziari europei già a giugno-luglio 2007 “avevano previsto” la depressione che stava arrivando con una differenza tassi a media-tassi a breve che passò da 0,9 a 0,6 punti. In effetti già nell’aprile 2007 vi era stata la prima richiesta di fallimento di un operatore specializzato nei mutui sub-prime negli Stati Uniti e le preoccupazioni cominciavano a diffondersi anche in Europa. Diversi economisti avevano messo in guardia circa i pericoli dei mutui sub-prime; da ultimo Andrew Redleaf (fondatore dell’hedge fund Whitebox Advisors) aveva scritto ai suoi investitori nel dicembre 2006:

Nei prossimi 12-18 mesi i mercati finanziari cadranno nel panico […] a causa di improvvise e rapide perdite di fiducia nell’alchimia delle strutture finanziarie come sono oggi praticate.

Aveva indovinato. Il 15 settembre 2008 il fallimento della Lehman Brothers diede il via al panico globale.

Naturalmente ogni crisi è differente, e questa che sta arrivando è del tutto particolare. Ma le crisi comportano sempre perdite e da questo punto di vista si assomigliano. Quella della Lehman Brothers provocò in Italia la perdita di 6% del Pil (-1% nel 2008 e -5% nel 2009). 

Il 6% corrisponde a un mese e mezzo di produzione dimezzata. 

Potrebbe essere questo il conto da pagare per il coronavirus. Si tratterebbe di una perdita di 109 miliardi, 4200 euro in media per famiglia.

Il governo si appresta a varare consistente spesa in deficit utilizzando, come è ovvio, le clausole del Trattato sulla moneta unica in materia di condizioni eccezionali. Le stime più recenti del moltiplicatore della spesa pubblica in regime di tassi di interesse molto bassi, come oggi, arrivano al massimo all’1,5 in un anno e fino a 2 se fosse spesa per investimenti. L’effetto poi durerebbe circa cinque anni calando progressivamente. Data l’urgenza è probabile che la spesa sarà per la maggior parte per incentivi, indennizzi e consumi pubblici. Si può prendere perciò un valore ottimistico del moltiplicatore d’impatto pari a 1,6, e 4 in cinque anni. Pertanto, se si volesse recuperare la perdita che si profila nell’arco di cinque anni servirebbe una spesa in deficit di circa 25 miliardi subito (quasi la stessa cifra – 20 miliardi – che il governo ha chiesto al Parlamento di autorizzare pur precisando che tali fondi non verranno “necessariamente” utilizzati tutti e subito). Ma il rapporto debito/Pil andrebbe a 145% contro il 134,8 del 2019, visto che l’aumento del debito ci sarebbe subito e il recupero del Pil in seguito. Se si tiene conto che ogni aumento di un punto di tale rapporto quando è a questi livelli, comporta un aumento di 20 punti dello spread, questo andrebbe a 400 strutturale incoraggiando la speculazione. Non si potrebbe escludere di arrivare allo spread del 9 novembre 2011 (553 punti) che ci portò quasi al collasso finanziario. Non ce lo possiamo permettere, e il governo dovrebbe esercitare molta prudenza.

Lo sa il ministro Gualtieri che ha cercato di rassicurare prevedendo di stare entro il 3% del deficit sul Pil. In tal caso il rapporto debito/Pil andrebbe a 140 e lo spread a 300, ma la spesa in deficit non potrebbe superare i 13 miliardi. C’è dunque parecchia confusione in chi ci governa. Perché allarmare i mercati annunciando una spesa in deficit di 20 miliardi quando si pensa in realtà di spenderne 13? Oppure, perché rassicurare che spenderemo 13 miliardi quando ci apprestiamo a spenderne 20? C’è da blandire l’opposizione e rassicurare un’Italia nel panico. Ma con questi annunci la speculazione va a nozze.

L’ipotesi realistica è che alla fine avremo un profilo del recupero simile a quello che si ebbe dopo la crisi del 2008-2009. Se applichiamo lo stesso ragionamento anche a Germania, Spagna, Francia, Regno Unito e anche per questi paesi immaginiamo che la crisi del virus comporti perdite simili a quelle che si ebbero nel 2008-2209, si avrebbe lo scenario della figura 3. (L’accostamento tra questa crisi e quella del 2008-2009 non è azzardato se lo ha fatto anche Christine Lagarde [Il Fatto Quotidiano 11 marzo 2020].


Figura 3. Reddito pro capite in euro costanti 1960-2025 se la crisi attuale fosse della stessa gravità di quella del 2008-2009 e fosse lo stesso anche il profilo del recupero dopo la crisi. Fonte: Nostre elaborazioni su dati Eurostat.

La condizione dell’Italia peggiorerebbe notevolmente, con un reddito pro capite in potere reale d’acquisto che sarebbe nel 2025 allo stesso livello del 1998, un lustro intero del tutto perduto. 

Le sfide che abbiamo davanti non riguardano dunque tanto le politiche economiche di breve periodo, per le quali contrattare con vigore in Europa, ma stando molto attenti a quello che si dice e si fa. Esse riguardano piuttosto il rilancio della produttività, compito ben più difficile e di lunga prospettiva. La crisi del virus potrebbe servire, come tanti auspicano, proprio in questa direzione, svegliando l’Italia dall’assopimento nel suo ventennale declino dovuto anche alla svalutazione delle competenze, un’idea che ha purtroppo dominato in questi vent’anni.

Ci costerà caro, il coronavirus ultima modifica: 2020-03-12T12:46:49+01:00 da GILBERTO SERAVALLI
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