La Lombardia chiede aiuto anche a Cuba, e ci sono buone ragioni

L’ha dichiarato l’assessore al welfare della Regione. Medicina e ricerca cubane godono infatti di ottima fama. Un libro lo racconta.
ALDO GARZIA
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La Lombardia vuol fare da sola sul coronavirus. Da una parte la ricerca dell’autonomia dalle direttive del governo, sancita dalla nomina di consulente per Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile, e dall’altra una dichiarazione di Giulio Gallera, assessore al Welfare della Regione: “Recluteremo personale sanitario anche dall’estero, chiedendo solo che siano iscritti all’albo nel paese di provenienza. Avremo personale dal Venezuela, dalla Cina, da Cuba, sono medici a cui daremo ovviamente un luogo dove andare a vivere ma abbiamo bisogno delle competenze di tutti”. 

Di Cuba si è tornati a parlare a proposito di Coronavirus nei giorni scorsi per via della notizia che un medicamento di fabbricazione cubana è stato usato con buoni risultati in Cina. Si è pure appreso che la Cina ha iniziato a produrre in proprio lo stesso medicamento grazie alla collaborazione con medici cubani. Non è una sorpresa.

La medicina cubana gode infatti di ottima fama, nonostante l’embargo statunitense e delle grandi multinazionali del farmaco che ne penalizza potenzialità e commercio. Infatti esporta medici, infermieri, ingegneri, architetti, tecnici in genere con appositi contratti di cooperazione con i singoli paesi – soprattutto nel terzo mondo – insieme ai propri prodotti farmaceutici. Cuba si è sempre pensata negli ultimi decenni come luogo di produzione di “cervelli” e professionalità utili alla causa di emancipazione dei paesi arretrati.

Era proprio questo uno dei pallini di Fidel Castro. Chi vuole saperne di più a questo riguardo, può leggere l’utilissimo libro di Angelo Baracca, fisico di chiara fama, e Rosella Franconi, ricercatrice presso l’Enea: Cuba: medicina, scienza e rivoluzione 1959-2014 (edizioni Zambon). Il testo è frutto di una ricerca sul campo durata anni e dello scambio proficuo con colleghi e ricercatori cubani, più la consulenza dell’italoargentino Pablo Amati, luminare della genetica recentemente scomparso che ha operato per decenni pure all’Avana. 

Numeri e statistiche a volte valgono più di tanti discorsi. L’isola ha primati di cui fregiarsi in campo sanitario pur dovendo fare a pugni con la carenza di medicinali a disposizione degli ospedali. Il sistema sanitario pubblico colloca Cuba ai primi posti nella classifica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Diamo un’occhiata alle statistiche: oltre sessantamila medici, Policlinici presenti in ogni municipio cubano, speranza di vita attestatasi oltre i 75 anni. Mortalità infantile con percentuali di tipo europeo (cinque casi su mille), interventi chirurgici di tutti i tipi (compresi i trapianti).

In via di sviluppo costante è pure l’industria farmaceutica che produce l’interferone usato in Cina, melagenina, vaccini contro la meningite B che vengono usati in molti paesi latinoamericani, sistemi di rapida diagnosi del virus Hiv, un farmaco denominato Ppg che tiene sotto controllo il colesterolo e un altro che combatte la meningite da meningococco, protesi meccaniche, vaccini.

Anche la ricerca è all’avanguardia con il polo scientifico, di cui fanno parte l’Istituto Finlay che indaga sulle malattie infettive, il Centro d’ingegneria genetica e biotecnologia, il Centro di Immunotest, il Centro nazionale di ricerche scientifiche. Nel 1999 è stata inaugurata la Scuola di medicina latinoamericana dove studiano centinaia di giovani dei paesi latinoamericani. 

Tutti questi dati fanno parte delle contraddizioni cubane: alti livelli tecnici e scientifici fanno pendant con la fatica quotidiana negli ospedali dell’isola. Sono le due facce di Cuba.

La Lombardia chiede aiuto anche a Cuba, e ci sono buone ragioni ultima modifica: 2020-03-15T17:14:09+01:00 da ALDO GARZIA
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