Covid-19. Cinema d’essai fai da te. Lars von Trier [1]

“La casa di Jack”, ultimo film del regista danese, non convince: troppa violenza salvifica. Nel suo curriculum ci sono però tante opere geniali.
ALDO GARZIA
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In questi giorni di clausura forzata, una delle attività serali di molti è farsi dei cineforum personalizzati. L’altra sera ho visto La casa di Jack del regista danese Lars von Trier,  dopo aver rivisto – dati i tempi – Epidemic (1987), il racconto di una sceneggiatura immaginaria su una pandemia che poi per fortuna si blocca. Nutro grande stima per von Trier. Il suo curriculum filmico e le sue qualità tecniche di ripresa sono notevoli. Non avevo visto quest’ultimo film al cinema, influenzato dalla violenza del tema (il protagonista è emulo di Jack lo squartatore) e dalle critiche poco benevole. In effetti, è tra i pochi suoi film che non mi hanno convinto. Non condivido l’idea che a muovere un criminale e questo film, nello specifico caso un ingegnere psicopatico che filosofeggia con i suoi delitti, sia la ricerca della perfezione del mondo da ottenere eliminandone contraddizioni e brutture con disinvolti omicidi. La molla psichica spiega gli atti del protagonista, ma è assai pericolosa utilizzarla per dirci che il mondo così com’è non va e che ci vuole violenza. Ce n’è già troppa intorno a noi. 

In questa pellicola del 2018 di von Trier – Matt Dillon, ottimo interprete, e ultima apparizione del tedesco Bruno Ganz sugli schermi – ci sono inoltre fotogrammi di hitleriana memoria che celano la stessa logica di Jack lo squartatore: il mondo va perfezionato con la violenza, perfino usando le tecniche dello sterminio. “È il mio film più brutale, la vita è spietata e crudele”, ho letto in una intervista a von Trier che tenta di giustificarsi. Il film è comunque girato con elegante maestria, pur restando ossessivo e prolisso.  

Dogville (2003) e Manderlay (2005) erano invece tra le regie più sperimentali degli ultimi anni. Rompendo ogni regola scenica e cinematografica, conducevano per mano lo spettatore in una indagine sui sentimenti umani più reconditi: dominio, doppia morale, incapacità di ribellione, schiavitù, vendetta, amore, sottomissione. Quando von Trier ha poi voluto alleggerire la propria cifra stilistica, ci ha proposto nel 2006 Il grande capo: una allegoria sul capitalismo finanziario della nostra epoca e sulle virtù di internet, dove chi comanda può davvero o non esistere o non avere un volto per i suoi dipendenti sparsi qui e là nel mondo. Prima ancora c’erano stati altri film imperdibili. Per citarne solo tre: Europa (1991), Le onde del destino (1996), Dancer in the Dark (vincitore a Cannes nel 2000). 

Lars von Trier ha detto una volta:

Un film dev’essere come un sassolino, dopo la sua visione deve punzecchiare fino a quando lo spettatore non se ne libera per sua volontà.

Per ritrovare se stessi bisogna raggiungere gli inferi, ci aveva ammonito in Nymphomaniac (2013), film dal sesso estremo, e lo ripete in La stanza di Jack.


Lars von Trier

Qualche dato biografico aiuta a capire la singolarità di questo erede del cinema scandinavo di Carl Theodor Dreyer e Ingmar Bergman. Lars von Trier è nato a Copenaghen il 13 aprile 1956. È cresciuto in una famiglia borghese di alti funzionari statali di fede politica socialdemocratica. Ulf  Trier era in realtà il suo padre adottivo, come gli ha rivelato la madre in punto di morte. Quest’ultima era sostenitrice dell’educazione senza imposizione di regole. L’infanzia di Lars fu perciò libera ma pure inquieta per l’assenza di autorità. Abbandonò presto la scuola, senza terminare quella dell’obbligo, per poi riprendere gli studi a due anni di distanza. Nel 1977, ha inserito da solo un nobile “von” nel cognome, 

Fin dal 1995 Lars von Trier ha redatto, con il regista Thomas Vinterberg, il manifesto Dogma 95: una dichiarazione di intenti che stabiliva ferree regole formali per la realizzazione di film. L’obiettivo era quello di “purificare il cinema dalla cancrena degli effetti speciali e dagli investimenti miliardari: niente luci, nessuna scenografia, assenza di colonna sonora, rifiuto di ogni espediente al di fuori di quello della camera a mano”. 

Tra i progetti futuri più geniali e pazzi di Lar von Trier ce n’è uno da segnalare. Da alcuni anni sta realizzando Dimension: filma pochi minuti ogni anno e lo farà fino al 2024, possibile data di uscita del film (la sceneggiatura cambia di anno in anno). Vive intanto nella sua “città del cinema” alle porte di Copenaghen, dove filma, monta, produce per sé e per altri. Il suo talento visionario è indiscutibile, seppure non sempre politicamente corretto.   

Covid-19. Cinema d’essai fai da te. Lars von Trier [1] ultima modifica: 2020-03-19T20:32:08+01:00 da ALDO GARZIA
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