Non solo mascherine, guanti e amuchina. Anche un profumo. Uno dei prodotti iconici della Turchia: la kolonya, acqua di colonia al limone altamente alcolica (ottanta per cento), abitualmente servita in segno di ospitalità in molte case, ristoranti, bar, e ora presente anche in molti mezzi pubblici. Disinfettante a base di etanolo, era un po’ passato in disuso ma oggi è talmente richiesto che, nonostante i prezzi siano schizzati alle stelle, è comunque introvabile, mentre sono state anche prese misure per limitarne l’esportazione. I medici hanno pareri contrastanti sulla reale efficacia della kolonya, ma altre due abitudini turche si rivelano misure igieniche standard durante l’epidemia: lavarsi frequentemente le mani (in particolare prima di ognuna delle cinque preghiere giornaliere) e togliersi le scarpe prima di entrare a casa (spesso lasciandole fuori dalla soglia). Contro il diffondersi del virus, ogni forma di prevenzione è dunque ben accetta.
Il ministro della Sanità Fahrettin Koca ha reso noto il primo caso il 10 marzo, un uomo contagiato mentre si trovava in Europa. Da allora i casi accertati sono saliti a 359 e quattro sono le vittime, la prima registrata il 17 marzo. La terza vittima risulterebbe essere Aytaç Yalman, ex generale dell’esercito. Ma l’Associazione turca dei medici (TTB) è concorde nel sostenere che il numero di contagi è molto più elevato di quanto finora stimato, a causa dello scarso numero di test condotti (circa settemila). Nel frattempo, il ministro della Sanità ha reso noto che intende portare il numero di test a quindicimila al giorno.

Il governo turco ha iniziato ad adottare misure preventive ben prima del primo contagio, quali la sospensione di voli con i paesi più colpiti come Cina, Italia, Giappone e Corea del Sud, e la chiusura dei confini con Iran e Iraq. Il 13 e 17 marzo altri quindici paesi sono stati complessivamente aggiunti alla lista nera, mentre il 18 marzo è stato chiuso il confine con Grecia e Bulgaria. In concomitanza con il ritorno di cittadini turchi con gli ultimi voli dai paesi soggetti al “blocco” (tra cui i principali paesi europei e l’Arabia Saudita), il governo ha approntato dormitori studenteschi in varie città per mettere questi viaggiatori in quarantena per due settimane. Tra essi vi sono circa tremila passeggeri di ritorno dall’Europa e circa diecimila pellegrini rientrati dall’Arabia Saudita, a seguito della chiusura dei luoghi sacri da parte delle autorità del Regno. Tre episodi hanno destato particolare preoccupazione. Nel primo alcuni pellegrini nella città di Konya, nell’Anatolia centrale, hanno cercato di scappare dal dormitorio in cui erano in quarantena, scatenando un tafferuglio con le forze di polizia che sorvegliavano l’ingresso. Il secondo riguarda una situazione analoga in cui 28 pellegrini sono scappati dal luogo di quarantena verso il villaggio di origine e sono stati fermati dalle autorità solo dopo diverse centinaia di chilometri. L’ultimo è accaduto nella città di Rize, sul Mar Nero, dove nessuna misura è stata presa nei confronti di circa cinquecento pellegrini.
Anlık ülke durumumuz #kolonya pic.twitter.com/lHAJLbJwrI
— Eyüp Efekan Yeşil (@eyupyesiil) March 13, 2020
Dal 16 marzo sono nel frattempo entrate in vigore misure più restrittive, quali la chiusura di scuole e università, rispettivamente, per due e tre settimane, con l’avvio di lezioni “a distanza” a partire dalla settimana successiva. Assembramenti e cerimonie religiose, incluse veglie funebri e preghiere comunitarie, sono stati vietati, anche se le moschee rimangono aperte per i fedeli in preghiera individuale. A partire dalla mattina del 16 marzo devono rimanere chiusi i locali che servono alcolici, come bar, discoteche e ristoranti, mentre dal giorno successivo sono stati aggiunti alla lista anche cinema, teatri, piscine, bagni turchi e molte altre attività. Il 19 marzo gli eventi sportivi, che inizialmente si sarebbero dovuti disputare a porte chiuse fino a fine aprile, sono stati rinviati a data da destinarsi.

Oltre all’emergenza sanitaria, a preoccupare sono anche le possibili ricadute dell’epidemia sulla traballante situazione economica turca. La lira ha già perso circa il sette per cento del suo valore rispetto al dollaro, raggiungendo il livello peggiore da settembre 2018. La crisi che ha colpito il settore turistico e la pausa forzata di molti esercizi commerciali portano incertezza nella vita di molti, inclusi i tassisti, ora che le strade sono quasi deserte. Anche senza quarantena obbligatoria infatti, la gente preferisce uscire il meno possibile. Peraltro, recenti statistiche rivelano che, nonostante l’85 per cento della popolazione sia a conoscenza delle misure per proteggersi dal virus, sono solo poco più della metà quelli che le applicano nella vita quotidiana.
Il governo sta comunque prendendo provvedimenti per limitare anche gli effetti collaterali dell’epidemia. Il 18 marzo, dopo una settimana di silenzio, il presidente Erdoğan ha annunciato, nel suo primo discorso riguardo al virus, l’attivazione di misure per cento miliardi di lire (15,4 miliardi di dollari) per proteggere l’economia dalle conseguenze della pandemia, tra cui la riduzione della pressione fiscale e il rinvio del pagamento di debiti per almeno tre mesi per diversi settori dell’economia. Con i contagi in aumento ogni giorno e la crescente incertezza, secondo alcuni esperti questi provvedimenti non saranno sufficienti, ma nel frattempo la nazione, solitamente polarizzata in opposti campi politici, resta unita e dimostra un’insolita fiducia nelle istituzioni in questo periodo difficile.

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