I segni di sofferenza e disagio si moltiplicano mostrando come la crisi che stiamo vivendo sia delicata e rischiosa su più fronti. Il primo è naturalmente sanitario, il secondo economico ma subito dietro viene un altro fronte con due facce, psicologica e sociale, alimentate dallo stato di ansia provocato dalla percezione di incertezza che provoca smarrimento e disorientamento. Le conseguenze sono tanto sul piano individuale (violenza domestica) che collettivo (micro-aggressività pronte a sfociare in violenza).
L’aumento delle prescrizioni di ansiolitici (sinonimo di calmanti e tranquillanti) e antidepressivi registrato nelle farmacie è un dato significativo e allarmante da non sottovalutare. Quando si è impreparati e meno forti, la contrazione degli spazi e la riduzione della libertà di movimento genera nervosismo, che serpeggia e scorre sottotraccia cercando uno sfogo, anche perché è venuto a mancare quello dato normalmente dalle attività collettive o da quelle sportive anche individuali.
Di tracce ce n’è più d’una: aumenta il consumo di alcolici, si sono visti casi di violenza nei confronti di presunti untori. Gli atteggiamenti aggressivi sono ancora isolati (sempre più numerosi tra chi sta in fila davanti al supermercato) ma possono dilagare improvvisamente se non vengono contrastati con comportamenti che abbassino i toni e la tensione, sdrammatizzando, spostando l’attenzione dal contrasto individuale, che è un pretesto, al disagio e alla legittima preoccupazione che ci accomuna tutti.

Venerdì 20 in un campo veneziano è accaduto un episodio inquietante. Un amico stava tornando a casa parlando al cellulare, trovando lo spazio in parte ostruito da un gruppo di avventori che si attardavano bevendo “un’ombra” fuori da una vineria. Aveva detto al suo interlocutore: “scusa n’attimo, ché qua i ga fato bar, come al solito” (non era la prima volta). Si lascia dietro l’eco della voce della vinaia che dice “ancora co sto bar ea gavè?”, e si dirige verso il supermercato a fare la spesa per un parente anziano che non può muoversi da casa. Prima di raggiungerlo viene improvvisamente apostrofato da dietro (“ciò, toco de merda, ti ga poco da far el mona e rompere i cojoni”) e giù una scarica di calci da un giovane grande e grosso. Non ha reagito, perché sulle prime non aveva collegato i fatti – non si era neanche fermato a contestare il comportamento poco responsabile – e specialmente perché non ha più l’età per giocare ai ragazzi della via Paal. Si tratta di un componente di Un’Altra Città Possibile (soggetto politico autenticamente civico), che non ha voluto denunciare l’accaduto all’autorità giudiziaria preferendo tornare a parlare di persona con la vinaia di quanto accaduto.
Abbiamo bisogno di stare calmi, di evitare la reazione e di agire per costruire un sentimento solidale di sensibilità, coscienza, auto-responsabilizzazione a partire dalle unità sociali minime come la famiglia e il quartiere. Politica è impegno quotidiano, minuto per minuto, silenzioso e con discrezione, nelle piccole cose di ogni giorno, non solo competizione elettorale.
Proviamo a pensare a cosa può accadere trascurando tutte quelle circostanze che fanno sentire il cittadino oggetto debole perché soggetto a trattamenti disuguali: dovrebbero aumentare solidarietà e pratiche comunitarie (il mio amico stava tornando dall’aver aiutato un parente) e bisognerebbe eliminare qualsiasi situazione di privilegio nella gestione di tamponi e cure (come quelle di cui si è sentito parlare a Milano, dove i vip riescono a sottoporsi regolarmente ai tamponi, a differenza delle centinaia di persone febbricitanti invitate a stare in casa e a chiamare solo se sopraggiungono difficoltà respiratorie).
Si dice che mille morti sono una statistica e un morto una tragedia. In realtà le tragedie vanno moltiplicate per il numero dei loro parenti, amici, conoscenti, in cui la sensazione di vulnerabilità si abbatte come uno tsunami psicologico, lungo e persistente che avrà esiti imprevedibili. Si leggono analisi razionali (di testa), si ricevono tanti messaggi empatici (dal cuore), si vedono video ironici, tragici e cinici… (della pancia). Poi c’è la realtà, la cronaca non è narrazione ma lo potrebbe diventare:
cominciarono a mancare i soldi per comprare i beni di prima necessità e chi non aveva un orto o un giardino in cui piantare patate e ortaggi andò a prendersi il cibo dove ce n’era.
Siamo in una condizione pre-insurrezionale, rischiamo di entrare in un clima di rivolta generalizzata, inevitabile quando comincia a mancare il pane. Tutti siamo penalizzati, chi ha un lavoro stabile godrà di forme di tutela come la Cassa Integrazione Guadagni ma i precari, i tanti che sono costretti a lavorare in nero, le partite IVA, i professionisti, tutti coloro che in questi lunghi anni di crisi economica hanno visto prosciugarsi i risparmi e le riserve che erano riusciti ad accantonare, si troveranno nel baratro. La solitudine, condizione a cui siamo tutti momentaneamente costretti, anche se può mettere a disagio non deve farsi sentimento d’isolamento e senso di abbandono.
Nell’immagine di apertura Campo San Giacomo dell’Orio, Venezia. Foto di Shaun Merritt da flickr.

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