Oh Dio mio! l’economia

“Emergenza per pandemia”: a chiamarla così è la stessa Banca centrale europea (BCE). Roba grossa, insomma; tant’è che vi vede una minaccia alla stabilità dell’euro, conseguentemente alla sua stessa continuità, tale da giustificare decisioni radicali, probabilmente difficili da mandar giù a parte il suo vertice.
FRANCESCO MOROSINI
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“Emergenza per pandemia”: a chiamarla così è la stessa Banca centrale europea (BCE). Roba grossa, insomma; tant’è che vi vede una minaccia alla stabilità dell’euro, conseguentemente alla sua stessa continuità, tale da giustificare decisioni radicali, probabilmente difficili da mandar giù a parte il suo vertice. Così Francoforte, ripreso il bazooka monetario di Draghi, suo presidente prima della francese Lagarde, lo potenzia per mettere a disposizione dell’Eurozona una rete di sicurezza dinnanzi all’ampio blocco dell’attività economica generato dall’emergenza sanitaria.

La BCE ha dinanzi il Moloch di violenti shock fiscali da Covid-19 sui paesi membri dell’Eurozona. Deve evitare che questi destabilizzino, anche per l’impatto asimmetrico che gli shock avranno al suo interno, la moneta (l’euro) che istituzionalmente è chiamata a tutelare. Conseguentemente, deve scongiurare che le tensioni (lo spread è il segnale) si scarichino sulla tenuta dei debiti sovrani dei paesi membri balcanizzando i loro mercati finanziari e monetari. Diversamente, la trasmissione della politica monetaria, compito precipuo dell’Istituto di Francoforte, verrebbe meno. L’ha già fatto per il passato; ma ora la situazione è nuova e atipica.

Per questo Francoforte ha già dovuto prendere atto che il Covid-19 è un agente economico di peso. Finora si è mossa di conseguenza utilizzando “strumenti” già in armeria; ciò nondimeno, come vedremo, forse dovrà cercare nuove e impreviste strade di politica monetaria. Al momento, però, pure dinanzi alla Covid-19 economy la BCE resta sul sentiero aperto da Draghi, cioè rifacendosi a stili di azione già sperimentati – sebbene “non convenzionali” – e agendo in consonanza con le altre banche centrali, quantomeno con quelle emittenti valute “strategiche”.

In primis la Federal Reserve (FED) – sostanzialmente l’Autorità monetaria espressione della valuta di riserva del Pianeta – che, preso atto che la tempesta tira forte ovunque, ha deciso di mettercela tutta abbandonando ogni idea di progressivo assorbimento delle conseguenze delle scelte attuate per la sfida della crisi dei subprime. Anzi, ha rinunciato a ogni ipotesi di riduzione del proprio bilancio (la “spugna” per dragare la molta liquidità creata a partire dal 2007) per puntare a contenere, con le consorelle, i danni, che si annunciano pesantissimi, dell’urto pandemico sia sui mercati finanziari che sulla cosiddetta economia reale.

Merita notare che le banche centrali (BC) hanno di fronte qualcosa di assolutamente diverso dalla crisi del 2007-08, dopo circa un biennio poi trasferitasi nel Vecchio continente quasi riuscendo a fare implodere l’Eurozona. Ma basteranno le BC da sole a salvarci? Difficile possano farlo da sole, e in tali condizioni estreme, tenendo separata la politica monetaria dalla fiscale (in realtà una soluzione di continuità netta tra esse è impossibile; piuttosto, la separazione ne definisce un’altra modalità politica di rapporto). D’altra parte lo tsunami della Covid-19 economy è una sorta di Big One difficile da trattare quantomeno per le dimensioni che si teme possa assumere, a parte il suo impatto sanitario. La ragione è che la politica monetaria ha i suoi limiti. Nondimeno le BC possono porre un argine al precipitare delle cose. Ed è meglio di nulla.

Così la BCE, per evitare che l’Eurozona faccia naufragio, ha deciso di giocare una carta pesante (almeno se si ragiona con i parametri dei tempi della normalità): si chiama Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp). La cifra messa in campo rappresenta una “capacità di fuoco” ragguardevole: 750 miliardi di acquisti di titoli, sia pubblici sia privati, allargando rispetto al passato la “carta” acquistabile dall’Istituto di Francoforte. Infatti, tra i titoli sovrani che l’istituto di Francoforte potrà accettare ora ci sono, sebbene finora fossero esclusi dal suo Programma di acquisto di bond del settore pubblico, le emissioni del governo greco. Inoltre, tra gli acquisti della BCE è compresa la carta commerciale emessa da imprese non finanziarie.

Così la BCE ha gettato un’àncora per trattenere, almeno nell’immediato, l’Eurozona dallo sfasciarsi sugli “scogli” dei mercati. Per quanto tempo? Il Pepp durerà fino a fine anno; poi saranno i fatti a decidere. E vale il detto che i fatti “hanno la testa dura”. Forse temendolo, da parte sua l’Istituto di Francoforte già d’ora si dichiara pronto a estendere gli interventi per “emergenza pandemica” per tutto il tempo necessario. Finora dichiara di farlo rispettando, almeno formalmente, quanto previsto dai Trattati rispetto ai limiti del suo mandato di garante dell’euro. Eppure, in condizioni estreme può essere richiesta, come già si è accennato, la sospensione, di fatto se non di diritto, dell’ordinamento.

Fino ad arrivare all’acquisto sul mercato primario. La ragione è che, appunto, la BCE è l’istituzione che deve garantire la sopravvivenza della valuta a essa affidata anche oltre il mandato e i limiti in esso previsto. Questo politicamente potrebbe essere il punto di dissolvenza dell’Unione monetaria (UME). Il problema è che di per sé la forma giuridica costitutiva della BCE esprime e media esigenze nazionali di soggetti sovrani e potenzialmente in conflitto. Di conseguenza le decisioni del vertice della BCE sono l’esito di una “contrattazione politica” che hanno nel patto fondativo (in specie l’art.123 del TFUE) un punto difficilmente aggirabile.

OMG, Oh my God (Oh Dio mio!)

Anche se ciò, paradossalmente, potrebbe portare al collasso dell’euro. Certo, esistono margini di discrezionalità interpretativa; cioè di discrezionalità operativa. Lo dimostra ciò che fece la BCE guidata da Draghi quando la crisi originatasi negli Usa nel 2007 varcò l’Atlantico e mise in tensione la stessa tenuta dell’Eurozona. Fu il tempo delle “politiche monetarie non convenzionali” che, salva la forma, di fatto modificarono il confine tra politica monetaria e fiscale (la “separazione giuridica” tra esse ne definisce un assetto politico piuttosto che l’impossibile separazione “reale”) con un’interpretazione estensiva delle regole che consentì all’Istituto di Francoforte di garantire la continuità dell’Eurozona evitando che qualche membro fosse travolto dai mercati (spread).

Il Pepp della BCE guidata dalla Lagarde, il piano straordinario di acquisti di bond sul mercato per emergenza pandemica, riprende e amplia quella filosofia. Tuttavia potrebbe essere poco dinanzi a un evento, la Covid-19 economy, di magnitudine tuttora difficile da calcolare. È il tema della monetizzazione dei debiti pubblici: comunque vada, qualora una decisione simile fossa presa, si tratterebbe di una bomba a tempo, carica di conseguenze.

In tempi normali, l’art. 123 del TFUE, al di là degli eventuali “scostamenti” pragmatici, definisce la stessa condizione di possibilità dell’UME evitando si affronti in un patto monetario tra stati sovrani la materia politicamente esplosiva del “chi paga” gli oneri dei reciproci debiti sovrani, lasciandone viceversa la responsabilità ai singoli emittenti.

Tuttavia, se gli anelli deboli dell’UME vacillano, ma soprattutto se il costo politico di un suo crash è percepito come troppo elevato anche dai suoi membri più forti (seppure con mugugni), allora l’ingegneria monetaria si acconcia alla straordinarietà della situazione. Difatti, come accadde con Draghi, e ora con Lagarde, se si evitano acquisti di debito sovrano dei paesi dell’Eurozona sul mercato primario, lo fa massicciamente sul mercato secondario. La forma resta, ma nella sostanza si segue un’altra direttrice d’azione che tra l’altro molti, pure con più che legittime preoccupazioni, hanno faticato ad accettare.

E ora potrebbe essere necessario il passo successivo per evitare la balcanizzazione dell’UME. Vale per l’euro, come per il suo nume tutelare, la BCE, il primum vivere deinde philosophari? Oppure entro la “moneta senza Stato” – è un fatto di eccezionalità della storia europea – l’emergenza pandemica radicalizzerà le latenze conflittuali insite in essa? Sarebbe la tradizionale divisione tra falchi dell’austerità e colombe? Sì, se proprio si vuole. Ma è anche conflitto di visioni sulla moneta e di interessi che dagli stati nazionali poi si riverberano nella BCE. Probabilmente lo vedremo a breve.

La Covid-19 economy è un Moloch che potrebbe pretendere perfino il finanziamento monetario diretto, sul mercato primario, dei bond pubblici dei membri dell’Eurozona. Insomma, potrebbe essere che lo tsunami virale, impattando sugli stati d’origine dei falchi, faccia digerire loro – ma lo faranno solo se i guai saranno veramente comuni – di voltare le spalle all’art.123 del TFUE. 

Ancora fantapolitica, ma il tempo corre e le ore sono ere geologiche. Attenzione però: se il finanziamento monetario diretto dei debiti sovrani accadesse, resterebbe tutt’altra cosa dalla loro mutualizzazione. E dopo la crisi, sempre che i “paesi forti” non pensino di potersela cavare da soli, comunque resterebbe da smaltire il debito accumulato. In specie, merita sottolinearlo, se la denominazione del debito sovrano rimanesse nazionale.

Attenzione: vorrebbe dire che il Belpaese, già prima della pandemia con la finanza pubblica malandata, si troverebbe a gestire un dopo crisi assai difficile. Non è un caso, al riguardo, che si levino voci dall’Italia pro eurobond. È la speranza di avere il paracadute della mutualizzazione dei debiti sovrani onde avere un post crisi Covid-19 meno rischioso. Anche perché se da Bruxelles dicono che i vincoli finanziari debbono cedere il passo all’emergenza, allo stato dei fatti dicono pure che i debiti fatti alla bisogna sono di quelli che li fanno. E questo varrebbe, finora, pure nel caso del “salto” oltre l’art. 123 del TFUE.

È un ipotesi questa tuttora fuori dall’agenda pubblica. Ma la forza dei fatti generati dal Covid-19 facilmente la porrà. Così come, per le osservazioni fatte, ci sarà sul campo la tenuta della moneta comune. Questa è la più grande sfida da essa incontrata. Già malandata, rischia un dopo crisi pesante.

In guerra, e questa crisi del Covid-19 le assomiglia molto per gli esiti, cadono gli orpelli e si va all’essenziale: qual è il prezzo che i partner sono disposti a pagare per “giocare assieme” al gioco dell’Eurozona? La politica monetaria-fiscale dipenderà dalle prossime scelte. E il quadro geopolitico ne risentirà fortemente.

Oh Dio mio! l’economia ultima modifica: 2020-03-22T19:27:46+01:00 da FRANCESCO MOROSINI
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