Covid-19, la confusione regna nell’Asia meridionale

India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Afghanistan. Se v’erano dubbi sulle capacità di governo delle classi dirigenti di questi paesi, l’epidemia di coronavirus ne sta dando una triste conferma.
BENIAMINO NATALE
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Il lockdown c’è ma non è un coprifuoco (Imran Khan, primo ministro del Pakistan). Il lockdown non c’è e chissà se sarà necessario (Sheik Hasina Wajed, primo ministro del Bangladesh). Il lockdown c’è, ma solo per otto giorni (Gotabaya Rajapaksa, presidente dello Sri Lanka). Prima di dichiarare la quarantena, Rajapaksa ha anche lasciato che si giocasse dal 12 al 15 marzo il Big Match, la sfida annuale tra le due squadre di cricket più popolari del paese, alla quale assistono migliaia di persone. Stessa storia nel Nepal, dove la quarantena è stata imposta per una settimana.

In molte aree del Pakistan il lockdown non viene seguito

Il più deciso è sorprendentemente stato l’integralista hindu Narendra Modi, primo ministro indiano, che ha resistito alla tentazione di lodare i sadhu che hanno invitato il popolo a bere urina di vacca e a cospargersi di escrementi dell’animale sacro (cosa che, secondo i medici, potrebbe invece aumentare le possibilità di contrarre il virus). Non dev’essere stato facile ed è fortemente dubbio che nelle roccaforti integraliste, soprattutto in quelle del nord come l’Uttar Pradesh e il Bihar, i suoi sostenitori siano convinti che si debbano seguire le indicazioni degli scienziati e non quelle degli pseudo-santoni che infestano il paese. 

Modi ha proclamato una quarantena generalizzata, in tutto il vastissimo paese, di ventuno giorni a partire dal 24 marzo. Il primo ministro è stato criticato per non aver specificato quali sono le attività che possono continuare per assicurare i rifornimenti ai negozi di generi alimentari, agli ospedali e alle farmacie. Il problema esiste, ed è grave soprattutto nei centri più piccoli e nei villaggi dove ancora vive una larga parte della popolazione. 

Mantenere le distanze sociali in paesi come il Bangladesh è molto difficile

Intanto in Afghanistan – paese che confina con due degli epicentri dell’epidemia, l’Iran e la Cina – i dirigenti politici Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah sono più impegnati a contendersi la poltrona di presidente che a badare alle disastrose conseguenze che avrebbe l’ormai praticamente certa diffusione dell’epidemia di coronavirus in un paese nel quale le strutture sanitarie sono quasi inesistenti. I loro avversari, i Taliban, chiaramente si limitano a confidare nell’aiuto di Dio, dato che non hanno trovato di meglio da fare che attaccare un tempio dei sikh a Kabul, uccidendo decine di persone colpevoli di professare una religione diversa dalla loro.

Se qualcuno ancora dubitava del fatto che le classi dirigenti dell’Asia meridionale siano più brave a nascondere la testa sotto la sabbia che ad affrontare i problemi delle società che dovrebbero guidare, con l’epidemia globale in corso la conferma è arrivata forte e chiara. 

I numeri sono ancora bassi (circa mille casi in Pakistan, quattrocento in India, poche decine in Bangladesh e in Afghanistan, cento nello Sri Lanka, secondo i dati ufficiali, sicuramente sottostimati). Ma che queste cifre siano destinate a schizzare verso l’alto è una convinzione condivisa da tutti gli esperti. La situazione appare ancora più preoccupante se si guarda alla popolazione di questi paesi: quasi un miliardo e mezzo in India, duecento milioni in Pakistan, centosessantaquattro milioni nel Bangladesh, ventun milioni nello Sri Lanka, trentacinque milioni in Afghanistan, trenta milioni in Nepal, per un totale che sfiora i due miliardi di persone. 

L’epidemia di coronavirus potrebbe essere esiziale per i colloqui di pace tra governo e Taliban

Sembra che in tutti questi paesi si sia riprodotta la sequenza ormai familiare in tutto il mondo, dalla Cina all’Italia alla Spagna, dagli Stati Uniti al Regno Unito alla Francia.

La prima reazione degli uomini di governo – o almeno, della maggioranza di loro – è di far finta di niente dando la colpa agli “altri”, che “mangiano i pipistrelli”, che “non si lavano”, ecc… Poi si cominciano a fare i test, i numeri salgono, gli scienziati strillano i loro allarmi e si interviene. Ma mentre Cina, Italia e Spagna sono intervenute in ritardo ma con decisione, i “nostri eroi asiatici” l’hanno fatto di malavoglia, con la bocca tirata, finendo col varare mezze misure che – troppo facile fare i profeti di sventura – serviranno a poco. 

Valga per tutti l’esempio dell’imperturbabile pakistano Imran Khan, tanto bravo in gioventù a giocare a cricket quanto impacciato nell’età matura nei panni di capo del governo. Dopo aver detto che nel paese è impossibile varare un lockdown, ha fatto la sua brava marcia indietro dopo essere stato sommerso dalle critiche. Incalzato dai giornalisti in una conferenza stampa, ha risposto così alla domanda sulla differenza tra quarantena (molto “leggera”) e coprifuoco (come quello imposto da Cina, Itala e Spagna):

il coprifuoco è l’ultimo stadio della quarantena.

E costituisce “l’ultima opzione” nella lotta al virus. Non si può fare a meno di dedurre che se mai il lockdown sarà imposto, questo avverrà quando l’epidemia sarà già largamente diffusa nel paese.

Con queste premesse, non ci sarà da sorprendersi se il subcontinente indiano diventerà, nelle prossime settimane, uno dei nuovi epicentri della pandemia.

Covid-19, la confusione regna nell’Asia meridionale ultima modifica: 2020-03-25T17:37:51+01:00 da BENIAMINO NATALE
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3 commenti

Giovanni Leone 27 Marzo 2020 a 9:56

Il subcontinente indiano è un sistema complesso e dalle molte contraddizioni, qui più che altrove è evidente il divario tra una minoranza di molto ricchi e una maggioranza che rischia di aggiungersi alla moltitudine in miseria.
Qui si vedono i lavoratori (“servant”, persone di servizio) che tornano ai villaggi da Ahmedabad, in Gujarat, a piedi.
Lungo la via mancano cibo e acqua perché tutto è chiuso.
In altri video in rete si vedono poliziotti bastonare i musulmani che non hanno rispettato il divieto di uscire e sono andati in moschea, e in altri casi i lavoratori sulla via di casa costretti a saltellare come rane, ve li risparmiamo.

https://m.economictimes.com/news/politics-and-nation/migrant-workers-from-rajasthan-walk-home-from-ahmedabad/articleshow/74800387.cms

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Beniamino Natale 29 Marzo 2020 a 20:50

Vero! L’ esodo dalle grandi citta’ poteva e doveva essere previsto…molte delle persone che fuggono non hanno una casa nelle citta’, la casa e la famiglia sono nel villaggio…per esempio, gli operai edili immigrati nelle citta’ dormono nei cantieri…

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MARIO AVERSA 10 Aprile 2020 a 14:46

SITUAZIONE DAVVERO AGGHIACCIANTE

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