Che faccio, li denuncio i ragazzi che festeggiano bendati a formaggio e pinzimonio senza mantenere il metro di distanza? Invece che sugli occhi sulla bocca e sul naso la dovrebbero mettere la benda! E che dire della pattinatrice che piroetta, cade sul sedere e viene recuperata da un distinto signore in completo scuro? Non sarebbe meglio che se ne stesse a casa?
Oh santo cielo, c’è un’allegra famigliola al mare, quelli che si sfidano a colpi di rollè di tacchino con tanto di tavolata finale, quelli che si baciano senza mascherina, quelli che prendono la carta e quelli che prendono la vitamina b, quelli che la consegna è fra un’ora e devono lavorare come se non ci fosse un domani (ma ci sarà poi?)… aiuto!
Ah no meno male, è la pubblicità.
La quale, salvo le giuste e ponderate eccezioni e le comunicazioni ufficiali, sembra aver poco notato in che mare tempestoso ci stiamo arrabattando per stare a galla. I modelli di comunicazione sono ancora gli stessi: la famiglia bella e felice, i ragazzini adorabilmente impertinenti (che sfornano battute improbabili come “Grazie Immo!”, che non perdonerò mai al direttore marketing), giovani uomini e giovani donne che percorrono la città notturna con auto smaglianti e supertecnologiche, e, dulcis in fundo, l’ossessionante passero che ripete a macchinetta le battute di Del Piero.

Insomma, la pubblicità non sembra aver preso interamente atto delle mutate condizioni di vita. È una scelta di marketing o una scelta obbligata dettata da esigenze economiche?
Nel primo caso può ipotizzare che la pubblicità (quindi chi la fa) vuole presentare il mondo immutato come segno di fiducia nel futuro. Niente paura, ci saranno sempre le grigliate in compagnia, le tavolate, persino i nonni (ma sì dai, ce la faranno). Tranquilli, nulla cambia anche se tutto sta già cambiando e comunque “Rejoice, rejoice, you have no choice, but to carry on”, come dice una bella canzone di Crosby, Stills, Nash e Young. Non c’è scelta se non tirare avanti, perciò allegri. Il messaggio immutato, che ha molte volte una cadenza abbastanza pesante, si pone quindi come una delle poche sicurezze che ci rimangono.
La pubblicità agisce in questo modo come un sedativo delle mille paure che ci assillano quando ci svegliamo all’alba e andiamo febbrilmente a vedere se c’è stato un nuovo decreto legge, nuovi morti, nuovi scivoloni della borsa, e altre lepidezze. Si accende la TV e appaiono la Cucinotta e Del Piero in forma invidiabile e ancora decisamente desiderabile, che sorridono come se nulla fosse, oppure qualche immarcescibile televenditore e televenditrice che ci cantano le virtù di un materasso, di un montascale, di un tritaverdura, di una scopa elettrica, appaiono i soliti giovani belli e sani in bei posti e dài, in fondo andrà tutto bene.

Qualche Solone fiorito nei tempi recenti (le crisi sono il concime perfetto per gli espertoni e i sapientoni) potrebbe obiettare che si suggeriscono comportamenti errati se non criminali in questo momento. Ma no, non è così. La pubblicità non fa che riflettere i sogni e i desideri del pubblico. E poi finché c’è qualcuno che produce e investe e qualcuno che compra l’economia funziona, quindi finché c’è pubblicità c’è speranza.
Andrà tutto bene, ma adesso per le produzioni e per le Agenzie è dura stare al passo. Virus o non virus ormai lo spot è in onda, la programmazione è fissata, i soldi spesi, mica si può buttare tutto e cambiar tutto in corsa. E poi il Cliente non è nel momento migliore per spendere. Qualcosa si può fare però e si fa. Un occhio e un orecchio allenatissimi noteranno che in alcuni messaggi l’audio è stato sottilmente modificato, in montaggio sono state abilmente tagliate alcune scene di gruppo in modo che in scena ci siano solo due o tre persone e mai troppo vicine se non in “interno casa”. C’è una accordatura fine per mostrare un comportamento responsabile.
Poi c’è chi si è mosso: Mediolanum, ad esempio. Lo nomino volentieri perché oltre a fare pubblicità con un linguaggio fermo, ragionevole, rassicurante e per niente retorico, il suo titolare ci ha messo non solo la faccia, ma la mano al portafoglio: ha donato 240.000 euro al Fatebenefratelli Sacco di Milano e ha aperto un c/c dedicato per raccogliere fondi per il reparto Microbiologia.

L’inossidabile coppia Ferragnez ha mostrato che la bellezza non significa per forza vacuità ed egoismo: sfruttando la propria fittissima rete di contatti e le proprie capacità di influencer prima hanno dato il buon esempio donando centomila euro al San Raffaele, poi sono riusciti a scatenare una gara di generosità che ha coinvolto 45.000 persone e ha permesso di raccogliere otto milioni di euro. Perciò quando vedo gli occhioni azzurri di Chiara guardarmi dallo schermo da sotto in su e la sua vocina esclamare “Oh my gold!” per pubblicizzare un qualche shampoo, non posso fare a meno di provare un fremito non di desiderio ma di vera ammirazione.
Ci si evolve, e neppure troppo lentamente. Sempre più messaggi di comunicazione mostrano o suggeriscono comportamenti più responsabili, più adeguati al momento. La speranza è quindi che non solo noi individui impariamo a comportarci bene ma che la pubblicità ci sostenga in questo sforzo affermando dei modelli non cretini, non inutilmente vacui, ma più vicini alla nostra parte migliore. Così sì che andrà tutto bene.

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