Covid-19. Proposte per una ripartenza “green”

Sono tante le misure verdi che nei prossimi mesi potrebbero essere adottate per far ripartire l’economia e, al contempo, lottare contro il riscaldamento globale. Anche a Venezia.
MARIO SANTI
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Finita la crisi, quando potremo ripartire, converrà farlo dalla lotta al riscaldamento globale. Le restrizioni cui tutto il modo è sottoposto in questi giorni possono far crescere la coscienza collettiva che il cambiamento è necessario ed è possibile trasformare la paura in consapevolezza.
Dal 1992 (a voler cominciare dalla conferenza di Rio de Janeiro – ma si potrebbe partire dal 1972, con la pubblicazione da parte del club di Roma de I limiti dello sviluppo) parliamo di cambiamento climatico, di riscaldamento globale, della necessità di fermarsi, di porre allo “sviluppo” limiti che lo facciano rientrare nella capacità di carico del pianeta. 

Il problema è e resta usare le risorse, specie quelle non rinnovabili, in modo sostenibile e non dissipativo e utilizzare energie rinnovabili per la loro trasformazione, per muoverci e per riscaldarci. Per arrestare il cambiamento climatico, per frenare il riscaldamento globale.

In questi trent’anni si è sviluppato l’ambientalismo scientifico e sono cresciuti movimenti politici e sociali verdi. Abbiamo avuto le conferenze sul clima (le Cop, giunte alla venticinquesima edizione – con Madrid 2019) e ultimamente, sotto la spinta di Greta, i giovani hanno cominciato a fare sentire la loro voce in tutto il mondo nei “venerdì per il futuro”. Tante persone e tante analisi, proposte, obiettivi, azioni.

Ma nulla e nessuno aveva mai ottenuto i risultati “ambientali” che sta raggiungendo in pochi mesi dall’inizio del 2020 un piccolo virus, che, purtroppo, sono siamo ancora riusciti a sconfiggere. Un virus che ha subito fatto vedere di cosa è capace: aggressivo, molto contagioso, con un importante tasso di letalità. Ha messo in crisi le migliori strutture sanitarie anche nei paesi più avanzati del pianeta. È stato ed è capace di farci vivere tutte e tutti in un mondo “sospeso”.

La sua repentina espansione ha spinto i governi a varare, uno dopo l’altro, provvedimenti di “blocco” (parziale e totale), di trasporti e attività economiche, con il conseguente contenimento dei consumi energetici. Questo ha portato a una repentina diminuzione dei livelli di inquinamento atmosferico e di CO2 in decine di città e regioni tra le più inquinate del pianeta, a partire dalla Cina e dall’Italia del nord.

1 gennaio – 25 febbraio: i blocchi dei trasporti e della produzione imposti dal coronavirus stanno pulendo l’aria dai gas serra. Passata l’emergenza possiamo approfittarne per varare misure strutturali in grado di frenare il riscaldamento globale.

Le immagini satellitari della Nasa e dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, mostrano una drastica riduzione delle emissioni di biossido di azoto – quelle rilasciate da veicoli, centrali elettriche e impianti industriali – nelle principali città cinesi tra gennaio e febbraio. L’aria è più pulita in conseguenza dei blocchi del traffico e di molte attività caratterizzate da emissioni climalteranti.

Uno scienziato e ricercatore alla Stanford University, Marshall Burke, sostiene che due mesi di riduzione dell’inquinamento in Cina

hanno salvato la vita, probabilmente, a quattromila bambini sotto i cinque anni e settantatremila adulti oltre i settanta

e spiega che

il calo degli inquinanti a causa dello shutdown da coronavirus sia Cina sia in Europa potrebbe salvare più vite di quante se ne perderanno, direttamente, a causa del Covid-19.

Anche se bisogna usare la dovuta prudenza, perché

l’epidemia è ancora in corso e non sono ancora disponibili i dati completi sulla mortalità per tutte le cause.

Se, quando il confinamento finirà, torneremo a tutte le abitudini precedenti alla crisi, verrà vanificato “quanto di buono” (almeno dal punto di vista ambientale) questo periodo così doloroso ha portato con sé.

Dobbiamo costruire i nostri “piani clima” a tutti i livelli, dagli organismi internazionali agli stati, dai governi locali alle aziende, fino alle singole persone. Cioè vuol dire capire quali misure di mitigazione (che limitano la crescita della temperatura) e di contenimento (che attenuano gli effetti del cambiamento climatico) ci consentono di costruire il nostro futuro.

Il livello locale è della massima importanza e ci consente di darci obiettivi e costruire azioni che ci vedano direttamente protagonisti e che investano le controparti istituzionali a noi più vicine.

La paralisi di produzione e trasporti imposta dalla pandemia si sta rivelando una misura di contenimento estremamente efficace. La sua “brutalità” ci fa però desiderare che possa essere allentata al più presto e che si possa ricominciare a vivere, incontrarsi, lavorare, viaggiare, andare in vacanza, fare sport, andare in palestra, al cinema, a teatro, allo stadio come prima.

Pensiamo però a misure di mitigazione che ci consentano di mantenere i livelli di relativa pulizia dell’aria a cui saremo arrivati (e a non dover aspettare un nuovo luttuoso evento estremo per ridurli).

È evidente che le maggiori responsabilità saranno a carico del sistema produttivo e delle istituzioni governative, nazionali e comunitarie, che devono sviluppare quella svolta verde che a parole è stata annunciata dalla nuova presidente della comunità europea e seguire dai governi nazionali, tra cui il nostro.

Bisogna partire dall’obiettivo di assumere i risultati ambientali cui arriveremo alla riapertura delle attività come punto zero, da mantenere. Per farlo è indispensabile impostare fin da ora politiche di riconversione, in particolare dei comparti industriali, dei trasporti ed edilizi.

Voglio poi accennare ad alcuni terreni di azione di livello locale. Ecco qualche spunto, anche senza affrontare il tema dell’impostazione di un organico piano clima territoriale.
Il primo riguarda la necessità di una ottimizzazione energetica del parco edilizio (pubblico e privato) e dei trasporti (a partire da quelli pubblici locali).

La prima e più importante misura di mitigazione è puntare al cosiddetto efficientamento energetico. Che è sempre possibile, e più importante del ricorso a energia pulita e prodotta da fonti rinnovabili, che va comunque perseguito quando possibile.

L’efficientamento energetico si ottiene con una progettazione e gestione degli impianti che punti a uno sfruttamento più razionale dell’energia, eliminando sprechi dovuti al funzionamento e alla gestione non ottimale di sistemi semplici (quali motori, caldaie, elettrodomestici) e complessi (edifici in cui viviamo o lavoriamo, industrie, mezzi di trasporto).

Per verificare l’ottenimento dei risultati vanno poi monitorati di continuo i consumi. Si utilizzano le migliori tecnologie/tecniche disponibili sul mercato e si richiede un comportamento più consapevole e responsabile verso gli usi energetici.

Queste azioni possono essere realizzate direttamente da imprese energetiche pubbliche e/o essere favorite con incentivi fiscali e fornendo servizi – direttamente e mettendo in rete le aziende private che effettuano interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica, assumendo su di sé il rischio dell’iniziativa e liberando il cliente finale da ogni onere organizzativo e di investimento (le cosiddette Energy Service Company).

Con gli interventi, si può partire da scuole ed edifici pubblici. Anche perché la domanda creata da un piano comunale di ottimizzazione energetica del patrimonio edilizio pubblico crea un’offerta disponibile poi anche per gli interventi dei privati, che potrebbero anche essere incentivati con facilitazioni di carattere fiscale o ammnistrativo. 

È necessario poi sviluppare in tutti i territori (anche quelli maggiormente antropizzati) una fascia verde, con funzione di infrastruttura fondamentale per il mantenimento dei loro “equilibri ambientali”.   

Per l’EPA (l’agenzia per la protezione ambientale americana)

Il concetto di infrastruttura verde descrive una categoria di manufatti, tecnologie e pratiche che utilizzano sistemi naturali – o artificiali che simulano i processi naturali – con la finalità di migliorare la qualità ambientale generale e fornire servizi di pubblica utilità. In linea generale le infrastrutture verdi utilizzano il suolo e la vegetazione per l’infiltrazione, l’evapotraspirazione e/o il riciclo delle acque di prima pioggia. Quando sono utilizzate come componenti di sistemi per la gestione delle acque meteoriche le infrastrutture verdi, come i tetti verdi, le pavimentazioni permeabili, i rain gardens, e le trincee verdi possono fornire una varietà di benefici ambientali. Oltre a consentire la sedimentazione e l’infiltrazione delle acque piovane tali tecnologie possono contemporaneamente aiutare ad abbattere gli inquinanti atmosferici, ridurre la domanda di energia, mitigare l’effetto dell’isola di calore urbana e trattenere ossido di carbonio, offrendo al contempo alle comunità benefici estetici e spazi verdi.

Per la Town and Country Planning Association di Londra:

le infrastrutture verdi sono risorse multifunzionali in grado di offrire benefici in ordine alla qualità del paesaggio; al funzionamento ecologico e alla qualità della vita, esse sono inoltre funzionali al raggiungimento della sostenibilità. La loro progettazione e gestione dovrebbe contribuire a proteggere e migliorare i caratteri e l’identità dei luoghi, tenendo conto dei tipi di paesaggio ed habitat presenti.

Concretizzando e contestualizzando, in tutte le nostre città e territori possiamo mettere in rete e sviluppare questa rete verde, pubblica e privata, in grado di farci respirare meglio e di attenuare le ondate di calore.  

Cominciando a riprendere e, perché no, ad ampliare a livello comunale la dotazione di standard minima prevista dal decreto ministeriale 1444/68 (che assegna la dotazione minima di nove metri quadrati di verde pubblico ad abitante – che proprio perché minima può essere aumentata a livello comunale).

Se vogliamo respirare meglio, rinfrescarci d’estate, contenere l’inquinamento (minimizzando la sua capacità di veicolare virus), dobbiamo avere sempre più verde pubblico: parchi urbani e agrari, orti urbani, alberi lungo i viali e nelle piazze, campi sportivi e aree gioco, ecc.  

E coordinarlo con quello privato, valutando fin dove è possibile che questo sia aperto almeno in parte all’uso pubblico (si veda il caso di giardini e parchi di ville, nel caso in cui i proprietari si rendessero disponibili per un’apertura anche a tempo definito).  

In una parola, va creata una cultura del verde di vicinato. Gli spazi verdi pubblici vanno progettualmente integrati con quelli privati che possono avere un ruolo sussidiario di mitigazione ambientale. Proprio per sviluppare questo concetto e diffonderlo come pratica di rigenerazione ambientale e mitigazione climatica è importante che dietro ai progetti ci siano le persone, le comunità che si prendono cura del loro territorio per salvaguardare salute e benessere pubblico.

Ognuno può immaginarsi come tutto ciò possa concretizzarsi sul suo territorio, individuando luoghi e comunità in grado di mettere a punto proposte, interlocutori istituzionali, itinerari di realizzazione.

Il bosco di Mestre è suddiviso in diverse aree che in totale contano oltre 230 ettari di superficie (Fonte: Wikipedia)

Per l’area veneziana esiste già una “base” da cui partire, costituita dall’articolato tessuto del “bosco di Mestre” (la grande opera pubblica ambientale avviata da Gaetano Zorzetto, mettendo insieme le aree boscate esistenti della terraferma e sviluppandole). Questa struttura va rafforzata per l’ambito di terraferma, e per la parte d’acqua i luoghi dell’infrastruttura verde possono essere segnalati tra le situazioni che sono già o possono trasformarsi in proposte e progetti. Ecco alcuni esempi:

  • gli orti urbani (di S. Giacomo, S. Marta ecc…);
  • i Parchi e i giardini pubblici (già tali e che potrebbero diventare a uso pubblico): Papadopoli; l’area Italgas (da bonificare) a S. Marta; l’ex orto botanico a S. Giobbe; i parchi di villa Groggia e Savorgnan, i Giardinetti reali a S. Marco; l’area ex Gasometri; i Giardini e l’area della Biennale; la pineta di S. Elena;
  • il Parco della Favorita al Lido e gli spazi verdi dell’isola e delle isole;
  • l’isola di Poveglia e la comunità dei poveglianti.

Ad essi vanno aggiunti i luoghi della terraferma che hanno questa vocazione, anche senza essere compresi nel bosco di Mestre:

  • i Parchi storici di Mestre (Piraghetto, Bissuola e quelli più piccoli;
  • il Parco di San Giuliano e le altre aree verdi della terraferma, con la prospettiva di destinare a verde una parte dell’area dell’ex ospedale Umberto I a Mestre;
  • i forti del campo trincerato di Mestre;
  • i campi sportivi e le aree verdi per il gioco e lo sport nella due città d’acqua e di terra;

…e tutto il verde che si potrebbe trovare, lanciando e valorizzando il concetto di “verde di vicinato”.

Una terza segnalazione va dedicata a uno strumento importantissimo che le autorità locali hanno per una gestione ambientalmente sostenibile del territorio e dei servizi.
Si tratta delle aziende pubbliche partecipate, attraverso le quali i comuni forniscono servizi ambientali nei più diversi settori, per i quali potrebbero definire importanti obiettivi di mitigazione.

Il raggiungimento di questi obiettivi deve diventare la base sulla quale giudicare l’operato si queste aziende pubbliche, dei loro amministratori e dei loro dirigenti.

Si può intervenire sui trasporti pubblici ambientalizzando i parchi dei mezzi di trasporto pubblici (con una transizione all’uso di GPL e metano in attesa divenga matura l’alimentazione elettrica). 

Si può cercare di frenare l’impatto del trasporto automobilistico privato, favorendo pratiche come il car sharing e il car pooling.

Le aziende energetiche possono fornire una svolta verso l’utilizzo di energie a fonti rinnovabili e il supporto pubblico ai privati per l’ottimizzazione energetica delle loro abitazioni e dei loro impianti.

La gestione dei rifiuti deve partire dalla loro prevenzione e successivamente da riuso, riciclaggio e compostaggio, minimizzando quelli destinati allo smaltimento. 

Va abbandonata la pratica dell’incenerimento. Oltre a essere dannosa per la salute, comporta uno spreco di materia e fornisce meno energia di quanta se ne risparmi con il riciclaggio. Ciò è antitetico alla lotta al riscaldamento globale, in quanto immette calore in atmosfera.

E gli esempi potrebbero continuare. L’importante è che la lezione della crisi può essere messa a frutto costruendo radicali discontinuità sul terreno ambientale e sociale. In questo senso, è della massima importanza individuare le finalità, gli obiettivi, le azioni, ma anche gli strumenti e i soggetti necessari a portarle avanti e le modifiche nel tessuto economico e istituzionale che devono raggiungere.

Covid-19. Proposte per una ripartenza “green” ultima modifica: 2020-03-27T15:22:54+01:00 da MARIO SANTI
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