Il coronavirus è arrivato in Africa e nonostante i numeri non siano paragonabili a quelli che si stanno registrando in Europa, il continente si sta preparando ad affrontare un’emergenza epocale. I numeri, tuttavia, dicono che nel continente – 46 paesi colpiti – si sono registrati circa 2700 casi, 72 decessi e 210 persone guarite. Numeri sempre in aggiornamento. Ma ciò che preoccupa di più è il sistema sanitario molto fragile, incapace di far fronte a numeri di contagi ben più grandi, come molti capi di stato s’aspettano. L’Africa, dunque, si sta preparando al peggio e ha messo in campo misure che già si stanno mettendo in atto nel resto del mondo: distanziamento sociale, chiusura delle frontiere, voli internazionali interrotti. Misure di contenimento necessarie. Non ci sono cure, non c’è un vaccino.
Una delle misure più eclatanti è stata presa dal presidente della Repubblica democratica del Congo. La capitale Kinshasa – città tentacolare con circa 18 milioni di abitanti – è stata completamente isolata. Il presidente dell’RDC, Félix Tshisekedi, ha decretato lo “stato d’urgenza”, durante un messaggio televisivo alla nazione, annunciando l’isolamento della capitale Kinshasa.
State of Emergency declared in the DRC.
— Samira Sawlani (@samirasawlani) March 25, 2020
President Felix Tshisekedi announced that 45 Coronavirus cases & 3 deaths have been recorded.
-borders closed.
– domestic flights to and from Kinshasa banned.
– travel from Kinshasa to other parts of the Country banned. pic.twitter.com/bTTNdDQ0UN
Tshisekedi [risultato positivo, come s’è appreso successivamente] durante il messaggio televisivo ha anche annunciato il divieto a chiunque di raggiungere le province dalla capitale e viceversa, con lo scopo di “isolare Kinshasa che risulta essere il focolaio della pandemia”. La Repubblica democratica del Congo ha confermato 45 casi di coronavirus e tre decessi, tutti nella capitale. Il presidente ha anche detto che è urgente produrre clorochina in quantità industriali per utilizzarla nelle cure dei malati di Covid-19. L’industria farmaceutica Pharmakina con un comunicato ha annunciato di essere disposta a
fornire il chinino ai ricercatori disposti a lavorare su questa linea di ricerca scientifica.
L’Oms, tuttavia, si è appellata alla prudenza e “condanna l’uso di farmaci senza prove della loro efficacia”. Quest’ultimo fatto dimostra che c’è molto affanno e molta confusione. Non ci sono studi e sperimentazioni scientifiche che dimostrino l’efficacia della clorochina per la cura del coronavirus. L’Agenzia del farmaco italiana ha specificato che “ci sono dei rischi” nell’uso della clorochina ed “è necessaria cautela rispetto a un utilizzo di massa”. Kinshasa è una osservata speciale. In una megalopoli di queste dimensioni il distanziamento sociale è qualcosa di difficilissimo, se non impossibile. Questo, infatti, è un punto dolente per tutti i paesi africani.
Ciò che si teme di più, infatti, è il contagio negli slum, nelle baraccopoli, dove vive molta parte degli abitanti delle megalopoli. Negli slum di Nairobi, capitale del Kenya, si calcola vivano oltre due milioni di persone. La densità abitativa è enorme. Le condizioni igieniche, quando va bene, sono precarie, se non assenti. Le persone vivono ammassate in baracche di pochi metri quadrati. In questi contesti non è possibile che le misure di sicurezza e di contenimento possano essere applicate. Se l’epidemia dovesse scoppiare in questi contesti sarebbe una catastrofe ed è quello che temono di più le autorità di governo. Sono solo due delle capitali africane. Basta moltiplicare per il numero delle megalopoli africane e si capisce cosa potrebbe succedere in Africa.

Tutto ciò, tuttavia, è il frutto delle politiche scellerate dei capi di stato e di governo, più attenti al loro tornaconto che al benessere delle popolazioni e alla costruzione di un welfare degno di questo nome. Il sistema sanitario africano, oltre ad essere fragile, è anche “privato”. Per curarsi occorre pagare altrimenti nulla è possibile. Come pensare che una persona, che avverte i sintomi della malattia, si possa recare in strutture sanitarie che sa incapaci di curare e se lo possono fare chiedono la parcella? I poveri, gli abitanti degli slum, oltre il quaranta per cento degli abitanti dell’Africa subsahariana, faticano ad arrivare a sera. Come possono, inoltre, rinunciare alle loro attività informali. Attività che gli permettono di mangiare oggi. Quelle attività che i governi, in questa situazione di emergenza, hanno vietato. I bordi delle strade dei quartieri più poveri sono stracolmi di bancarelle dove si vende di tutto. Quelle bancarelle rappresentano la sopravvivenza, la possibilità di dare da mangiare, una volta al giorno, ai propri figli. Come potranno rinunciare alla loro bancarella per l’emergenza coronavirus? Alla catastrofe sanitaria si aggiunge quella sociale e umanitaria.
E come potrà l’Africa fare fronte a tutto ciò? Si calcola che la pandemia, gli shock petroliferi, il crollo del turismo per la chiusura delle frontiere, l’oscillazione dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali, la recessione mondiale, costerà metà del Pil del continente. La recessione in Africa sarebbe devastante. Il 21 marzo il titolo di prima pagina del settimanale The East African, recitava: “Il Coronavirus ha spazzato via 29 miliardi di dollari di Pil dell’Africa in tre mesi”.

Una risposta-richiesta è arrivata dal premier dell’Etiopia Abiy Ahmed. Il primo ministro di Addis Abeba si è appellato ai Paesi del G20 affinché sostengano le economie africane rese vulnerabili dal coronavirus, alleggeriscano il debito e preparino un piano di aiuti finanziari urgenti del valore di 150 miliardi di dollari. La pandemia “è una minaccia esistenziale per le economie dei Paesi africani”, si legge in un comunicato del primo ministro etiope. La proposta, strutturata in tre punti, prevede un pacchetto per l’emergenza finanziaria da 150 miliardi dollari, un pacchetto per l’emergenza sanitaria per l’Africa e un pacchetto per la cancellazione e la ristrutturazione del debito. Viene chiesta, in sostanza, l’estinzione degli interessi sul debito stimati intorno ai 44 miliardi di dollari per il 2020, oltre a sottolineare l’importanza di sostenere il settore privato e proteggere i circa trenta milioni di posti di lavoro a rischio nel continente.
Nel comunicato stampa dell’ufficio della presidenza, Ahmed sostiene che
il Covid-19 rappresenta una minaccia per le economie del continente africano che, fragili e vulnerabili anche nei momenti migliori, subiranno una forte scossa dopo questa crisi. Il netto calo delle esportazioni, l’interruzione delle catene di mercato e l’improvvisa sospensione dei viaggi e del turismo porteranno sicuramente il caos.
La nota della presidenza del consiglio prosegue sottolineando che la capacità dell’Africa di prendere perfino misure modeste, di iniettare liquidità e di sostenere aziende e lavoratori è ulteriormente ostacolata dal carico pesante del debito, il cui pagamento costerebbe a molti paesi più delle loro spese annuali per la sanità. Per il premier etiope queste sfide non possono essere affrontate in maniera
adeguata attraverso scelte politiche e misure prese dai singoli Paesi ma richiedono una risposta globale coordinata. Proprio come il virus non conosce confini, anche le nostre risposte non dovrebbero averne.
Sarà in grado la comunità internazionale di concedere un aiuto di tale portata?

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