Dall’overtourism al post-tourism

Due campagne per il “cambiamento radicale” per superare il gigantismo crocierista e per far tornare a disposizione degli abitanti le case affittate ai turisti.
MARIO SANTI
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Questo è il terzo di una serie di tre articoli, preceduto da Corona virus, nulla potrà essere come primaProposte per una ripartenza “green”.

Sappiamo che il virus è globale. Pandemico forse lo sarebbe diventato comunque, perché ha operato lo spillover, il salto di specie che si ha nella zoonosi, il passaggio da animali all’uomo.

  …e se questi virus si evolvono in modo da potersi trasmettere da un essere umano all’altro, allora hanno vinto la lotteria. Questa è la causa alla radice dello spillover, del problema delle zoonosi che diventano pandemie globali,

come dice David Quammen, autore di Spillover» (Adelphi, 2014), intervistato da Il manifesto.

Ma certo l’hanno favorito la velocità e l’estensione degli scambi, dal momento che – come ricorda Quammen – vi sono 7,7 miliardi di esseri umani sul pianeta che volano in aereo in ogni direzione, trasportano cibo e altri materiali.

Oggi si vedono i grandi aeroporti internazionali – il “simbolo del mondo in movimento” – ridotti a cattedrali nel deserto, simbolo della paralisi pandemica, capace di bloccare le strutture più veloci e diffusive di scambi di cose e persone.

Immagine di un mondo che dal non conoscere frontiere si è ridotto in questa fase a chiudere tutti i confini, anche quelli sul cui superamento si era giocata la grandezza di un’ipotesi politica, come nel caso della costruzione comunitaria europea. 

Che è a tutt’oggi incapace di essere comunità che aiuta i suoi componenti, se questo mette in discussione il rigorismo monetarista.

L’economia globalizzata è sotto shock. 

Verrà il tempo per sapere se, come e quando si riprenderà. 

O – più sensatamente – per abbozzare le forme per un suo ripensamento.

Che dovrà essere collettivo e sistemico, tanto quanto sistemico e organizzato è stato l’attacco al suo cuore. 

Si può intanto abbozzare qualche ragionamento settoriale, sui limiti “non superabili” con i quali dovranno misurarsi i suoi diversi comparti per stare dentro alla necessità di combattere il cambiamento climatico, tentando di restare attorno ai livelli che raggiungeremo alla fine della (in questo senso) “salutare” frenata al riscaldamento globale imposta dalla crisi. 

Prendiamo ad esempio il più globalizzato dei settori, da tutti ritenuto il motore trainante dello sviluppo del terzo millennio: il turismo.

Un settore con un’offerta destinata ad adeguarsi a una domanda data in crescita e diffusione inarrestabile, correlata alla crescita del reddito e della capacità di spesa dei “nuovi ricchi” prima e delle economie emergenti poi: il ricco turista cinese a Milano per acquisti di moda o i russi a Venezia o a sciare sulle Dolomiti dovevano essere l’immagine di battistrada che aprivano un varco. 

Si pensava che nelle mete di tutto il mondo si sarebbero riversati milioni e milioni di visitatori globali.

Ma ora?

Il dopo pandemia è sicuramente destinato a registrare un’inversione di tendenza, disastrosa dal punto di vista della perdita di reddito e opportunità di lavoro per tutto il settore. 

Sarà lento e difficile recuperare la possibilità di muoversi. 

Molte mete vedranno calare drasticamente i visitatori e ci vorrà un po’ per non averne più paura, per la loro localizzazione in zone “sospette” o a esse contigue o per il fatto stesso di creare assembramenti di massa. 

Con il calo dei redditi legato alla difficoltosa ripartenza dell’economia sarà difficile avere molti soldi da investire nel turismo. 

Ci sarà una grande voglia di muoversi e viaggiare al termine dell’attuale periodo di confinamento forzato. Ma un’economia “che uscirà da una guerra” punterà più sui beni essenziali che sul turismo. 

E i soldi che riuscirà a mettere sul turismo li vorrà spendere bene.

Gli operatori turistici e quelli legati anche occasionalmente al turismo sono costretti oggi a una riflessione per adeguare le caratteristiche della loro offerta ai nuovi difficilmente prevedibili assetti della domanda. Qualcuno ritiene che ci sarà un cambio di tendenza: dall’over tourism al post tourism.


“C’è un mese fra queste due immagini, sembra incredibile e surreale!! Non pensavo mai di vedere Venezia vuota…” @PalomaMorano

Per capire cosa vorrà dire introduco alcune riflessioni su due aspetti che hanno caratterizzato l’evoluzione più recente del turismo (si pensi alla loro capacità di stravolgere la vita di città come in primis Venezia, Firenze, Roma, ma ormai anche Napoli): lo sviluppo del crocierismo di massa e la diffusione delle locazioni turistiche. 

Due strade per il crocierismo: sparire perché “non compatibile” o ridursi per rientrare nei limiti ambientali.

Oltre alla divertente noia che ha saputo rendere magistralmente nel suo Una cosa divertente che non farò mai più forse oggi David Foster Wallace (se fosse vivo) avrebbe una ragione in più per non ripetere una crociera.

Lo scrittore fece quel viaggio ”per lavoro” (essendogli il reportage stato commissionato dalla prestigiosa rivista Harper’s) e ne ricavò una satira spietata del divertimento di massa che dalla società americana si è esteso al turismo mondialista contemporaneo.

La ragione starebbe nel pericolo di trovarsi come successo a migliaia di persone, “trovatesi in mare” (ma i meno dotati di senno pare anche imbarcatesi) ai tempi dello scoppio della pandemia di coronavirus. 

Le “grandi navi” hanno più volte messo a rischio l’integrità di coste (incidente Elba – Schettino) e città (i numerosi incidenti sfiorati a Venezia) sulle quali scaricano orde di turisti del selfie, che sbarcano, (si) fotografano e tornano a bordo. 

In alta stagione trecento pullman al giorno da Civitavecchia per un tour a Roma, più di un milione e mezzo di passeggeri sbarcati annui a Venezia nel 2018. 

Ma tra gennaio e marzo 2020 è stato toccato l’apice, con il pericolo che non è stato più solo quello di mettere a rischio coste e città, ma anche di diventare le “navi degli appestati” che vagano di porto in porto in cerca di un attacco. Con passeggeri che hanno vissuto un incubo nell’incubo, infettati o sospetti di contagio. In ogni caso, respinti come untori.

Se siamo arrivati a questo punto, non conviene non solo rivedere, ma cancellare questa concezione del crocierismo ispirata al gigantismo? 

Ho sostenuto (anche in altri contributi) che da questa crisi si esce se sappiamo far sì che “niente sia più come prima”. 

Questo dovrà portare a grandi riconversioni in tutti i campi, ispirate a ridurre il rischio anche sanitario (compreso quello della ricomparsa e delle modalità di diffusione di questa o altre epidemie) e a battere il riscaldamento globale.

In questa logica il crocierismo gigantista ha due alternative:

  • sparire (perché ambientalmente non ce lo possiamo permettere). Basta, per sempre, a queste “città ambulanti”; perché troppo energivore, inquinanti, pericolose;
  • cambiare con un drastico contenimento degli impatti, dall’inquinamento, alla stazza, alla quantità di passeggeri trasportati.

Per chi non vuole rinunciare al piacere della crociera la soluzione sta nella proposta delle “piccole navi di ultima generazione”. Come le due che nei mesi scorsi una società francese ha commissionato a Fincantieri: 11.000 tonnellate di stazza lorda, 230 passeggeri, a propulsione elettrica.

Ad esempio, nel caso veneziano, navi con quelle caratteristiche potrebbero continuare ad entrare – in numero evidentemente programmato – in Laguna e approdare in Marittima. Sbarcando un numero inferiore di passeggeri, ma mantenendo in piedi il settore. Senza bisogno di porti esterni o di scavi di canali che comprometterebbero ulteriormente l’equilibrio idrodinamico e morfologico ambientale della Laguna. 

In generale, per comparti così impattanti l’alternativa non può che essere tra scomparsa o riconversione all’insegna del “meno, ma meglio”. 

Rispondere alla crisi delle fittanze turistiche ricreando un mercato degli affitti per gli abitanti 

Una volta c’erano gli affittacamere (dappertutto e per tutti) o chi affittava una casa per vacanze, nei luoghi di villeggiatura. 

Poi si è arrivati allo sviluppo perverso degli affitti turistici, partito con un aggancio alla sharing economy per approdare a una gestione in gran parte speculativa, capace anche di muoversi con abilità tra leggi ambigue e assenza di regolamentazioni.

Secondo dati delle App Edgar le città italiane più visitate dagli ospiti Airbnb nel 2017 sono state (in media e con cifre arrotondate):

  1. Roma, 1.400.000 arrivi, con una media di 63 notti l’anno e un guadagno di 6.000 euro;
  2. Firenze, 710.000 arrivi, 80 notti l’anno e un guadagno di 7.000 euro;
  3. Milano, 600.000 arrivi, 35 notti e un guadagno di 2.300 euro;
  4. Venezia, 470.000 arrivi, 73 notti l’anno e un guadagno di 7.000 euro;
  5. Napoli, 220.000 arrivi, 47 notti l’anno e un guadagno di 4.000 euro.

Se si pensa al numero degli abitanti per lo stesso anno (2,8 milioni a Roma, 382.000 a Firenze, 1,35 milioni a Milano, 260.000 a Venezia, 970.000 a Napoli) si capisce facilmente che la sottrazione di spazio alla residenza da parte del turismo è più drammatico nelle città d’arte. Soprattutto Firenze e Venezia, ma anche dopo quella data, con una forte accelerazione anche a Napoli.

Ricordo ancora un affollatissimo confronto su come si vive il turismo a Venezia. 

Eravamo in tanti a parlarne alla Vida, allora ancora occupata, nell’autunno del 2017. Erano presenti molti veneziani (storici e nuovi, come quelli che dopo la laurea si fermano in città per tentare di avviare un’attività lavorativa e intanto sopravvivono lavorando d’estate alla Biennale) e sono emerse le diverse facce – complementari e simmetriche – della questione. 

C’era chi condivideva gratuitamente con gli amici la possibilità di poter “venire a Venezia”.

Chi riusciva a integrare il suo reddito per poter continuare a vivere a Venezia affittando di tanto in tanto una stanza o una parte della casa dove viveva.

O – i più fortunati – un intero appartamento lasciato a disposizione o in eredità dai parenti.

Ma anche chi era coinvolto semplicemente perché lavorava per aprire, introdurre gli ospiti, pulire e gestire per altri case non sue.

Quelli che non c’erano in quella sede erano gli investitori “pescecani”, quelli che hanno acquisito interi immobili sottraendoli al mercato della residenza e lucrandone guadagni enormi. 

Il turismo come settore sempre più fondato sulla rendita e sempre meno su idee e capacità imprenditoriali: Venezia, Firenze, Roma, Napoli e tutte le città d’arte sembravano avviate e questo destino…

…poi è arrivato “l’angelo vendicatore”. Assumendo le forme di un’epidemia che, se ci sta portando lutti e malattie, offre anche un’occasione di riscatto.

Mentre prima della crisi si stavano cominciando a discutere in Parlamento ipotesi di inasprimento fiscale per i locatori turistici di più di tre appartamenti, oggi possiamo essere certi (per i motivi ricordati all’inizio) che per un lunghissimo periodo le case “turistiche” sono destinate e rimanere vuote o fortemente sottoutilizzate.

E allora è il momento giusto per spingere i proprietari a rimetterle sul mercato della residenza, dal momento che è altamente probabile che alla crisi sanitaria seguirà una crisi economica durante la quale molte famiglie potrebbero trovarsi (quando già non lo sono oggi) in una situazione di difficoltà a trovare casa.

Ai proprietari va fatta notare la possibilità di entrate immediate e sicure (con fitti concordati e la cui regolarità sia garantita da parte degli enti locali) a fronte di una redditività incerta e rimandata a un futuro sul quale si possono fare oggi ben pochi conti certi.

Non escludendo, in caso di resistenza a fronte di una situazione abitativa che dovesse deteriorarsi, di prevedere da parte dei Comuni di mettere in atto forme di pressione più coercitiva nei confronti di chi non volesse farsi carico di venire incontro alle categorie più colpite.

Perché la situazione impone cambiamenti radicali. 
Meglio se concordati. 
Ma, comunque, necessari. 


Nell’immagine d’apertura Nature is taking back Venice: wildlife returns to tourist-free city [La natura si riprende Venezia, città senza turisti] video di The Guardian.

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Dall’overtourism al post-tourism ultima modifica: 2020-03-28T19:53:34+01:00 da MARIO SANTI
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