Covid-19. I conti che non tornano

L’incongruenza dei dati ci spinge a ritenere che alcuni dei passaggi nella sequenza che calcola il fenomeno sia chiaramente fuori fase. Quanto sta accadendo delinea uno scenario in cui il governo italiano dovrà o arrabattarsi con l’artigianalità delle previsioni sanitarie, o delegare a potentati computazionali di decretare se potremo vivere o dovremo ritirarci nei rifugi.
MICHELE MEZZA
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Peggio ancora dell’incertezza sui tempi di ripresa della nostra vita sociale c’è solo l’assoluta vaghezza sui numeri del contagio. La sensazione che si fa sempre più forte giorno per giorno è che i centri istituzionali impegnati nel contrasto al virus continuino a procedere a vista, senza avere la possibilità di dare una fisionomia e una geografia alla dinamica del virus. L’incongruenza dei dati che caratterizzano il caso italiano del coronavirus ci spinge a ritenere che alcuni dei passaggi nella sequenza che calcola il fenomeno sia chiaramente fuori fase, del tutto incongruo con la realtà. A cominciare dai dati più drammatici dei decessi, ossia quelle situazioni che non dovrebbero essere alterabili per gli effetti che producono sul corso sociale e le conseguenze che trasmettono nelle comunità.

Eppure ormai non sono solo singoli testimoni ad avvertirci che i conti non tornano. Proprio ieri si è diffusa da parte di Scienza in rete, un network di stimati e prestigiosi scienziati che lavorano in vari settori della ricerca matematica, statistica, fisica e medica, una nota con numeri completamente diversi da quelli che quotidianamente ci vengono trasmessi dalla Protezione civile.

Il rapporto denuncia che

si confermano aumenti di mortalità in tutte le città campione del Nord, con un massimo dell’88 per cento a Brescia (Bergamo non fa parte del pool di città). Questi dati confermano quindi il fatto che i morti noti da Covid riconosciuti dalla Protezione civile sono solo una parte dei morti che comunque per diverse ragioni dipendono dall’epidemia.

Sono molteplici gli indicatori riportati per giungere a questa sconfortante conclusione a partire dai necrologi che sono apparsi sui quotidiani locali a Bergamo e Brescia, che appaiono chiaramente sovraproporzionati rispetto alle cifre ufficiali, fino alle proiezioni del cluster di città, monitorate dal Servizio di sorveglianza rapido di mortalità che analizza l’andamento di 19 aree urbane dalla bassa Lombarda a Pesaro. Da questo quadro complessivo

Ne esce che questo eccesso di mortalità totale è dalle 4 a 6 volte maggiore del numero dei morti registrati come Covid. Questa “epidemiologia dei necrologi” sta facendo venire alla luce quanto i dati ufficiali siano ancora lontani dal fotografare l’entità dell’epidemia. In Italia come all’estero.

Una stima che non può non rendere l’intero quadro analitico su cui si basa la strategia del sistema nazionale del tutto precario e inattendibile. Oltre che il nodo dei decessi infatti sono proprio la filosofia e la logica che sembrano guidare la strategia di lotta al virus che appaiono inaffidabili.

A cominciare dall’incerto e del tutto anacronistico modo con cui da più di un mese si procede per dare una cifra al fenomeno dei contagiati asintomatici. Proprio oggi uno studio inglese parla di sei milioni come area potenziale. Una stima forse assolutamente eccessiva, certo che i poco più di novantamila che ancora sono indicati dalla Protezione civile sembrano altrettanto fuori di ogni realtà.

Anche se la mortalità fosse quella indicata ufficialmente avremmo un indice di letalità assolutamente incongruo con tutte le altre esperienze nazionali. In Italia saremmo al dieci per cento mentre negli altri paesi si passa da un minimo dello 0,6 per cento tedesco a un massimo della Spagna del sei per cento con una media del due per cento della Cina. Se invece i dati dei decessi fossero superiori a quanto comunicato, la percentuale italiana esploderebbe a record inimmaginabili. Siamo dunque fuori di ogni certezza. Non sappiamo ancora quanti sono, presumibilmente, i contagiati, e dunque non abbiamo idea di dove siano stati e chi abbiano successivamente incontrato. 

Solo il ricorso a una combinazione di elementi può aiutarci a mettere a fuoco questo dati. A partire dai dati inconsapevoli che ognuno di noi ormai quotidianamente deposita in rete come effetto della sua attività ordinaria. È proprio lì, in quelli che Marshall McLuhan chiamava i segnali deboli, che potremmo, se accortamente rilevati e combinati, avere una pista di ricerca attendibile.

Pensiamo a cosa possono darci Google e Facebook circa la fase di incubazione del contagio che già da fine gennaio e per tutto febbraio ha scavato gallerie e trincee nelle nostre regioni. Pensiamo a cosa potremmo arrivare se sovrapponessimo i dati dei social a quelli delle ricerche semantiche e il tutto con le celle telefoniche. Potremmo forse ottenere i grafi reali che documentano la quantità e la dinamica degli spostamenti di quelle figure di giovani asintomatici che in Lombardia e in Veneto hanno seminato goccioline contaminate lungo il loro percorso, facendo esplodere le bolle contagiose di Codogno e Lodi prima, e poi arrivare a Bergamo e Brescia, o a Vo’ nel Veneto.

Senza questo supporto non avremo mai una ripresa dinamica e reale del movimento del virus ma solo frammenti di istantanee del tutto superate dalla progressione reale del contagio.

Mortalità media giornaliera per settimana per la classe di età 75-84 anni nelle città del Nord Italia (Aosta, Bolzano, Trieste, Torino, Milano, Brescia, Verona, Venezia, Bologna, Genova). Rapporto del Sisgm, periodo 25 settembre 2019 – 17 marzo 2020. fonte: ScienzaInRete

Questa decisione diventa essenziale oggi, per riuscire finalmente a elaborare un modello matematico reale in grado di fare almeno quello che Google e Facebook fanno tutti i giorni con i nostri dati: mappe del sentiment e della nostra emotività per cogliere bisogni, stati d’animo, malesseri, su cui intervenire con un’azione di compensazione commerciale o addirittura di tutela politica, come ha dimostrato Cambridge Analytica.

Ma nel futuro questa capacità risulterà ancora più rilevante. Infatti avvicinandoci alla fase di rallentamento del virus, e vedendo in fondo al tunnel la luce di un’uscita dalla quarantena, dovremo capire cosa accadrà nei prossimi anni. La MIT Technological Review ci dice che per molto tempo vivremo in un’alternanza di quarantene e di libertà, a seconda dello stato di allarme che i ritorni del contagi procureranno ai singoli paesi.

Si tratta d’immaginare un’intera vita gestita in base all’indice R0 (Erre su zero), ossia quel numero che misura il tasso di contagiosità che si registra in una comunità in base al numero dei positivi e alla loro mobilità sociale. Ora sarà decisivo capire chi e come potrà calcolare questo indice e, di conseguenza, proclamare, una nuova quarantena. Questo potere sarà equivalente al controllo della massa monetaria in un paese. Chi potrà, e vorrà, fermare tutta l’attività economica, o anche solo singoli settori, annunciando l’arrivo del morbo, determinerà la fortuna o la rovina di intere comunità, di complete filiere economico industriali, di categorie professionali. Insomma, stiamo arrivando al cosiddetto stato terapeutico, dove si governa in nome della salute, come valore primario che azzera ogni resistenza. Chi potrà decidere? E in nome di quali dati, di quali calcoli, di quali certezze?

Quanto sta accadendo in questi giorni delinea uno scenario in cui il governo italiano dovrà o arrabattarsi con l’artigianalità delle previsioni sanitarie, o delegare a potentati computazionali di decretare se potremo vivere o dovremo ritirarci nei rifugi. Si confermerà così quanto sosteneva nell’analisi sulla società digitale Mauro Magatti nel suo saggio Oltre l’Infinito: è vero quel che è certo, è certo quel che è misurabile. Di conseguenza, decide chi potrà misurare.

Covid-19. I conti che non tornano ultima modifica: 2020-03-31T20:43:08+02:00 da MICHELE MEZZA
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