Chiunque di noi, alle 18 del 27 marzo, fosse davanti al televisore si sarà reso conto che accadeva qualcosa di inusuale in Piazza San Pietro. Nonostante la pioggia e l’età, papa Francesco ha scelto di arrivare all’altare non scendendo dalla Basilica, per poi comunicare la sua verità al mondo: no, lui ha scelto invece di arrivare all’altare dalla piazza, attraversandola tutta. Non è sceso dalla Basilica verso l’altare separandosi dal popolo; questo, un vecchio linguaggio l’avrebbe definito “clerico-fascista”. Ma quel suo lungo e faticoso camminare attraverso la piazza, un cammino identico a quello che avrebbe fatto ciascuno di noi, ha fatto capire a chiunque che il papa era come noi e con noi, cittadino di questa nostra storia.
Dunque in quei momenti la sua scelta è stata di venirci a prendere, a casa nostra: a Piazza San Pietro quella sera c’erano con lui più persone di quante ce ne fossero all’apertura del Giubileo del 2000. Il colonnato del Bernini non raffigurava più un grande abbraccio, come sempre si è detto. Ma questa volta il papa era dalla parte opposta rispetto alle braccia protese: dunque quel colonnato era il mondo, il mondo che man mano si riempiva, si riuniva, per “convivere” quel pensiero nuovo. Lì, in rapidissima successione, hanno avuto luogo quattro rivoluzioni. La rivoluzione di cui tutti abbiamo parlato sta in quel che ha detto: non ha detto che siamo in guerra, no, ha detto che “siamo tutti sulla stessa barca”. Ma se si fosse fermato a questo avrebbe fatto solo un bel discorso, coinvolgente, magari, ma poco di più. Invece non è così e per coglierlo, ora, a mente fredda, è bene riflettere su quanto è successo.
Perché quell’incontro fosse globale e rivolto a tutti, fedeli e non fedeli, la prima rivoluzione che ha compiuto Francesco è stata quella di confermare il suo abito. Senza effigi, senza simboli. Il papa è entrato in piazza senza tiara, senza mitria, senza casula, neanche i più semplici ausili per coprirsi dalla pioggia battente. Questo stile è normale per Francesco, ma quell’occasione poteva indurlo ad accettare un segno di autorità, un simbolo per affermare e rivendicare l’autorità in quel momento solenne, davanti al mondo intero. No. La tonaca bianca indicava la sua umiltà davanti a Dio, e l’uguaglianza con i suoi fratelli, consapevole che, senza “fratellanza”, libertà e uguaglianza perdono entrambe valenza. I sacri paramenti, anche questa volta, li ha indossati solo nel momento liturgico, alla benedizione.
La terza rivoluzione si è avuta quando ha concesso l’indulgenza plenaria e quindi la benedizione Urbi et Orbi, mai prima impartita in occasione diversa dal giorno dell’elezione del pontefice, della Pasqua e del Natale. Per spiegare cosa sia questa indulgenza plenaria il compendio del catechismo della Chiesa cattolica dice:
L’Indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, dispensa e applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.

Dunque l’indulgenza riguarda le pene temporali per colpe già rimesse, viene concessa a determinate condizioni; tra le quali confessione, comunione ed è opera della Chiesa, grazie all’autorità che deriva dai santi Pietro Paolo. Non a caso questo è il testo con cui viene annunciata:
Sancti Apostoli Petrus et Paulus, de quorum potestate et auctoritate confidimus, ipsi intercedant pro nobis ad Dominum. Precibus et meritis beatæ Mariae semper Virginis, beati Michaelis Archangeli, beati Ioannis Baptistæ et sanctorum Apostolorum Petri et Pauli et omnium Sanctorum misereatur vestri omnipotens Deus et dimissis omnibus peccatis vestris, perducat vos Iesus Christus ad vitam æternam.
Indulgentiam, absolutionem et remissionem omnium peccatorum vestrorum, spatium verae et fructuosae pænitentiæ, cor semper pænitens et emendationem vitae, gratiam et consolationem sancti Spiritus et finalem perseverantiam in bonis operibus, tribuat vobis omnipotens et misericors Dominus.
Et benedictio Dei omnipotentis: Patris et Filii et Spiritus sancti descendat super vos et maneat semper. Amen.
Tutto questo è già cambiato con il pontificato di Francesco. Nella bolla di indizione del Giubileo della misericordia le pene temporali non sono il purgatorio, ma l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato.

Rispetto a questo passo avanti enorme compiuto pochi anni fa, il 27 marzo se ne è compiuto un altro, visto che non c’è stato alcun riferimento all’autorità degli Apostoli e alla Chiesa, solo l’affermazione di conformità al recente decreto della Penitenzieria. Altrettanto importante è il fatto che non siano state indicate condizioni – né confessione, né comunione neanche preghiera secondo le intenzioni del pontefice – come è sempre stato. La sola condizione necessaria per ricevere quell’indulgenza è stata indicata dall’arciprete della basilica di San Pietro, cardinale Angelo Comastri: “è concessa a tutti coloro che lo desiderino”.
Cosa vuol dire? Qualcuno può essere certo che fosse rivolta solo ai cattolici? Quanti protestanti, quanti ortodossi e forse quanti “cristiani anonimi” l’avranno desiderata quella carezza che non richiede nulla in cambio se non di essere desiderata? In quel momento il capo dell’edificio gerarchico è diventato soltanto pontefice, uomo che si fa ponte tra tutta l’umanità e Dio. L’inchiostro sarebbe dovuto scorrere a fiumi ricordando Lutero, lo scisma, lo scandalo delle indulgenze comprate e vendute. Ne è scorso molto poco, certamente molto meno di quel che, pur in tempo di emergenza, sarebbe stato immaginabile.
E la quarta rivoluzione? Chi ne ha parlato? È venuta con la benedizione silenziosa, dal portone d’ingresso della Basilica. C’è stato solo l’elevamento verso i quattro punti cardinali. Anche qui la novità non può essere ridimensionata. La benedizione Urbi et Orbi in epoca recente è stata sempre impartita dalla loggia centrale della Basilica. Immagine imponente, maestosa. Francesco questa volta non è salito, non si è alzato, o innalzato; la benedizione Urbi et Orbi è stata data laggiù. Impossibile non aver notato, poi, un dettaglio: mentre si scioglievano le campane il loro suono si è accavallato a quello di alcune ambulanze.
Tantissimo altro si potrebbe e forse si dovrebbe dire per ricordare un 27 marzo che resterà nella storia, e non solo nella storia della Chiesa. Questo poco basta per dire almeno che ci siamo accorti di quanto è accaduto. Ma è accaduto anche altro.
Arrivato in Basilica il papa si è raccolto davanti all’altare posto proprio lì dove un grande tappeto marmoreo ricorda la data d’inizio del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962. Quell’enorme scritta bianca su sfondo rosso ha conquistato il centro della seconda fase di questa cerimonia. L’11 ottobre 1962, XI/X/MCMLXII, è stato anche il giorno del discorso più famoso, fino ad oggi, di un papa, il discorso della luna di Giovanni XXIII.
Tornando a casa troverete i bambini: date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del papa.
Di quel discorso è importante ricordare anche il prosieguo di quella frase:
Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza.
Il 27 marzo del 2020 la carezza di Francesco era per tutti. Chiunque fosse davanti al televisore potrà dire a un suo caro, volendo, “quella carezza era per me, era per te, era per noi.” L’importante però è ricordare cosa diceva, dandoci quella carezza.
Le sfide di domani purtroppo le possiamo immaginare, le possiamo già temere, ma è soltanto ricordando che non siamo in guerra, ma che siamo tutti sulla stessa barca, che possiamo capire chi ci abbia invitato a capire come siamo arrivati qui e come potremmo uscirne, insieme.

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