Un leader di riferimento a Venezia. Il patriarca

Sono poco più di otto anni che Francesco Moraglia guida la diocesi veneziana, un periodo durante il quale ha saputo farsi interprete delle problematiche e delle criticità cittadine, che l’hanno spinto recentemente a occupare, per suo carattere di sicuro controvoglia, un ruolo di primo piano.
CLAUDIO MADRICARDO
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Sono poco più di otto anni che Francesco Moraglia è patriarca di Venezia, un periodo durante il quale ha saputo farsi interprete delle problematiche e delle criticità cittadine, che l’hanno spinto recentemente a occupare, per suo carattere di sicuro controvoglia, un ruolo che lascerebbe volentieri ad altri. Racconta una pia donna che ben lo conosce, che appena giunto in curia abbia voluto segnare il cambiamento di stile rispetto al suo predecessore, disfacendosi persino dei mobili da questi usati, sostituiti da arredi dozzinali. 

Di lui si sa che è persona semplice che conduce una vita semplice. Prima ancora che Bergoglio invitasse cardinali e vescovi a seguire il suo esempio, rinunciando a magioni lussuose e a stili di vita esclusivi, Moraglia aveva impostato in modo molto sobrio la sua vita veneziana.

Francesco Moraglia visita l’isola di Murano particolarmente colpita dall’aqua granda, 17 novembre 2020.

Raccontano i bene informati che quando fece la sua entrata nel territorio della diocesi veneziana riuscì a dare fastidio a certi veneziani, scegliendo di seguire un itinerario insolito che iniziava dalla terraferma il suo incontro con i fedeli per giungere solo alla fine a San Marco.

Ci fu allora chi, ben introdotto nelle vicende della Curia, confessò all’amico con tono preoccupato: “Sai, viene da una famiglia molto benestante di Genova. Quindi ha scelto il sacerdozio perché ci crede, non per bisogno. Capisci?”

E ne parlava, ci racconta la nostra fonte che preferisce non essere citata, “come parlasse di un fanatico. Questo per dire che i papaveri della città temevano un tipo così, poco ‘comprensibile’, poco sensibile alle lusinghe del potere, e quindi, per loro, intrattabile.”

Nominato da Benedetto XVI, prima di arrivare a Venezia era vescovo di La Spezia. E di Ratzinger è considerato un seguace sia dal punto di vista teologico che liturgico. Non risulta parte di cordate di potere.

Dei tempi della Spezia, sono rimaste nella memoria le sue prese di posizione a favore degli operai disoccupati dell’ex fabbrica di elettrodomestici San Giorgio, e la sua partecipazione a qualche manifestazione dei sindacati, durante le quali ha fatto sapere di condividere la preoccupazione dei lavoratori. 

Ma è a Venezia, a quanto pare, che Moraglia non ha perso occasione per far propria la visione del cristianesimo di papa Francesco che pone al centro l’uomo, favorito in ciò anche dai gravissimi problemi che la città vive. Forse si deve a questo se si è spostato sempre più dall’immagine che voleva la sua pastorale un po’ troppo libresca, poco vissuta. Fino a caratterizzarsi come genuino difensore degli esclusi. 

Voce che sa dire le cose scomode e fare “scandalo”, Moraglia ha avuto in questi anni infinite occasioni di smuovere le coscienze ricordando a tutti i veri valori di una comunità, diventando un punto di riferimento di fronte alle disattenzioni della politica. 

Anche a costo di risultare indigesto. All’indomani dell’acqua alta del 12 novembre ha dichiarato di essere fiducioso sui destini di Venezia

a condizione che si voglia insieme ripensare la nostra città. Non la si può condannare ad essere solo uno strumento di reddito per il turismo, ma deve essere una città che torni ad essere abitata, quindi avere delle politiche abitative soprattutto in favore delle famiglie, dei giovani.

Un turismo che riversa ventotto milioni di persone all’anno in una struttura fragile come quella di Venezia, […] eccessivo poi il passaggio delle grandi navi. Ci sono stati nell’estate scorsa a giugno e luglio due eventi che potevano diventare tragici proprio in concomitanza del passaggio di queste navi da crociera nel canale della Giudecca. Si è rischiato veramente di andare vicino a una tragedia. Quindi sì al turismo, ma calmierato secondo le possibilità della città. Accogliendo tutti, e volendo il turismo anche alla portata di tutti,

ha dichiarato nella lunga intervista a Vatican News a pochi giorni dall’aqua granda. 

Il Patriarca all’Ateneo Veneto con il presidente Scarante, 18 gennaio 2020. Una visita tutt’altro che formale ma ricca di spunti per la sopravvivenza di Venezia come civitas. Con tutte le istituzioni culturali assieme.

Venezia, afferma Moraglia, deve pensare ed essere pensata in grande. Una città che accanto a una legge speciale, avrebbe bisogno di uno statuto speciale che ne riconosca non solo la bellezza e la peculiarità ma soprattutto la sua unicità. Questo è stato il tema del suo messaggio natalizio lo scorso dicembre, in cui chiede che

Venezia sia città del mondo, accogliente e aperta a tutti. Ma tutto ciò deve avvenire in modo sostenibile, avendo a disposizione spazi limitati e fragili, e con regole chiare e umane, che preservino e favoriscano la dimensione civica della vita quotidiana della città. 

Prima, nel giugno del 2019, nel pieno imperversare della campagna terroristica di Salvini, dichiarava

illusorio e non confacente con la realtà pensare di risolvere oggi la questione epocale dei migranti costruendo barriere fisiche alla nostra frontiera orientale che pur certamente va controllata e regolata,

invocando una politica capace di affrontare tale vicenda senza pregiudizi ideologici o col solo buonismo, ma con realismo. Ribadendo che accogliere chi si trova nello stato di rifugiato è un dovere e un principio fondamentale riconosciuto dalla nostra costituzione e dalla convenzione di Ginevra. Invocando un piano Marshall per accogliere gli emigranti, e l’impegno di tutti

per garantire un’integrazione reale vera dal volto umano, creando un contesto favorevole e culturalmente attrezzato. 

Un impegno che nel novembre del 2017 gli era già costato l’attenzione dei militanti di Forza Nuova che hanno affisso degli striscioni provocatori per contestare l’accoglienza offerta nei patronati ai migranti dell’ex lager di Conetta. Un’attenzione che Moraglia ha anche riservato per le altre confessioni presenti in città, fino all’evento insieme all’imam della comunità islamica di Venezia del 5 febbraio scorso.

Allora Moraglia ha visitato il luogo di culto islamico di Marghera togliendosi le scarpe, e detto che la comunità islamica ha diritto di esprimere la propria fede e di trovare i suoi modi e gli spazi dove pregare. Un evento simbolico durante il quale per la prima volta ciascuno dei due ha visitato il luogo di preghiera dell’altro, parlato con i fedeli e cenato insieme a Marghera. 

Evento storico: il patriarca per la prima volta fa visita al centro di preghiera della comunità islamica a Marghera, 6 febbraio 2020.

Anche in questo Moraglia ha dimostrato di seguire l’insegnamento di Francesco, autore con l’imam Muhammad Ahmad al-Tayyib del documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana. Moraglia dice di essere vescovo e di non fare politica, e cita Don Milani per essersi preso a cuore il prossimo con senso di responsabilità, carità e solidarietà. Sottolinea l’inutilità di pensare a nuove strategie e nuove alleanze politiche se l’uomo non cambierà il cuore e la mente. E sul futuro dopo il coronavirus pensa che le emergenze di oggi sono solo la punta di un iceberg, e che l’Europa è incapace di affrontare l’emergenza della fame. 

La sede di Venezia è con Gerusalemme e Lisbona uno dei patriarcati della chiesa latina, nel mentre Venezia è una arcidiocesi che nel secolo scorso ha avuto tre papi con Pio X, Giovanni XXIII, e Giovanni Paolo I.

Dalle nomine cardinalizie di papa Francesco emerge la sua volontà di creare un collegio di porporati quanto più internazionale possibile. Così, dal 2013 gli italiani elettori, quelli che possono votare a un conclave, sono passati dal numero di 28 ad appena 23 su un totale di 123. 

Francesco non ha rinnovato sedi tradizionalmente cardinalizie italiane, tra cui la stessa Milano, Firenze, Torino, perché la sua agenda sembra seguire altri criteri e promozioni legate più all’attività pastorale, specie se in realtà difficili e condotta da prelati con la sua stessa visione.

Un caso esemplare è quello del cardinale di Bologna Matteo Zuppi, proveniente dalla Comunità di Sant’Egidio e con un profilo di prete di strada. Ora, se non si può dire che Moraglia sia Zuppi, diversi sono i tratti che potrebbero farlo rientrare nei canoni bergogliani.

Recenti voci di un avvicendamento al vertice della diocesi, con l’arrivo del segretario di stato Pietro Parolin, desideroso di far ritorno nel suo Veneto, si sono diradate senza aver mai avuto alcun riscontro, né in città né nelle sacre stanze romane, per essere smentite dall’interessato. D’altra parte, se mai fossero fondate, esse non potrebbero avere seguito, in un quadro come quello attuale, che certo non consente cambiamenti rilevanti al vertice del governo della chiesa cattolica.

Se fino ad ora papa Francesco ha ignorato Moraglia per una sua promozione a porporato, il tema delle sedi cardinalizie potrebbe tornare nella sua agenda in modo diverso, una volta finita la crisi dell’epidemia. Quando anche il ricco nord avrà bisogno di pastori forti.

E anche possibile che il papa rivolga il suo sguardo su Venezia grazie alla maggiore ed esplicita attenzione di Moraglia verso gli ultimi, destinati a diventare parecchi con la crisi. Un’attenzione vera.

Si racconta che in occasione di un recente viaggio pastorale, a Francesco sia stato proposto un pranzo d’onore. La sua risposta pare sia stata: “un pranzo sì, ma con la Caritas, con i poveri.”

Ha fatto seguito allora una nuova proposta che prevedeva un pranzo ufficiale con in più una decina di poveri. Riportata direttamente al papa, i testimoni presenti dicono di non averlo mai visto così fuori di sé.

Moraglia da quando è patriarca di Venezia si è sempre più identificato col magistero papale. E non in un modo formale, il che gli ha consentito di diventare punto di riferimento per una città intera. Moraglia è l’unico che sappia parlare a tutta la comunità e infondere coraggio e speranza. 

Si dice che Bergoglio non nutra grande considerazione per i vescovi italiani, e su Moraglia forse ha giocato anche un po’ il suo carattere schivo che non l’ha posto all’attenzione del pontefice. Francesco è da tempo intento a riplasmare il collegio cardinalizio in vista del conclave. 

Se la presenza di un altro italiano può essere di nessun interesse nell’ottica papale, essa sarebbe invece di grande conforto per una città che ha bisogno di essere ascoltata, interpretata a aiutata nel suo cammino. E aiuterebbe forse un uomo nel continuare ad assicurare il suo sostegno, pur avendo egli dimostrato una forza impensabile, in un futuro che si accenna quanto mai oscuro.

Non si sa quando il papa assegnerà nuove porpore cardinalizie, né se nei suoi disegni rientri il riempimento della casella veneziana. Di certo, tra i criteri che seguirà – si dice nel giro degli insider vaticani – l’attenzione a una città come Venezia, un’attenzione affettuosa già forte dopo le vicende terribili dell’acqua alta novembrina, sarà incrementata. Che dall’agenda di Francesco possa saltar fuori il nome del suo omonimo veneziano tra i promossi di un prossimo concistoro, non sarà una sorpresa.

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Un leader di riferimento a Venezia. Il patriarca ultima modifica: 2020-04-01T17:06:22+02:00 da CLAUDIO MADRICARDO

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