In un momento di emergenza quale quello che viviamo le persone che vengono a essere un esempio per tutti noi sono i medici, il personale degli ospedali che comprende infermieri, assistenti, inservienti, le persone che si occupano delle pulizie, gli autisti delle ambulanze, gli operatori sociali. Questo è palese agli occhi di tutti.
Così come il virus non guarda in faccia nessuno e colpisce anziani, giovani, ricchi, poveri, italiani e stranieri, così i medici da sempre prestano la loro professionalità a tutti senza distinzione.
Infatti il giuramento di Ippocrate, che mette tutti i pazienti esattamente sullo stesso piano, lo troviamo spesso appeso nei loro ambulatori, uffici e studi.
Un tale disse “Chi cerca di salvare la propria vita la perderà”. Certo, quel tale aggiungeva “chi la perderà a causa mia”, intendendo a causa della scelta di amore. Si potrebbe obiettare che la causa era la scelta di seguire una filosofia, in quel caso quella di Gesù. Per cui verrà ucciso (potrà perdere la propria vita per mano dei romani, mettiamo) chi segue quella religione o quel credo, ma egli o ella sta seguendo quel “ama il tuo prossimo come te stesso”, quel “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni” per cui sarà “salvo”. Anche se morirà proprio a causa di quel credo.

Non è forse ciò che vediamo incarnarsi negli operatori sanitari e medici che lavorano in questi giorni con l’emergenza coronavirus? Non stiamo assistendo a una partecipazione incredibile, medici andati in pensione, infermieri che tornano a lavorare malgrado magari abbiano cambiato professione, prestazioni eccezionali, orari straordinari cioè fuori dall’ordinario?
E non vediamo molti operatori sanitari e medici esporsi ai pericoli, senzienti, e purtroppo alcuni morire a causa del coronavirus e a causa del loro prestarsi?
Certo si potrebbe di nuovo fare un’altra obiezione: se ci fossero state le mascherine, i camici e tutto l’apparato per difendersi dal virus probabilmente nessun medico o meno medici si sarebbero infettati. Ma il medico e l’infermiere e l’addetto alle pulizie che partono da casa, o dal luogo dove hanno deciso di recludersi, e vanno al lavoro, mettono in conto che possono pure infettarsi. Lo mettono in conto quei medici che lavorano nei reparti di malattie infettive da sempre. O nelle zone dove si curano le malattie infettive.
Cosa c’è di più nobile che mettere la propria vita a rischio per gli altri?
Cosa c’è di più alto nella scala dei valori di questo?
E non in una guerra, dove ci si mette a rischio, sì, ma si ammazza anche.
Ecco perché questi sono gli esempi per la nostra società, dove regna la corruzione e l’egoismo, dove la politica sembra essere lontana dall’essere al servizio del prossimo, del popolo.
Leggo lo slogan: “Se ti vuoi bene rimani a casa”. È questo il messaggio con cui si spera di far ragionare la gente? Perché si agisce sulla paura che determina la responsabilità invece che sulla spinta di umanità? “Se esci non ti salvi, se ti salvi allora ti vuoi bene”. Non sarebbe più giusto dire “Se vuoi bene all’umanità, rimani a casa”?
Dove siamo arrivati?
Sarà da pensare, a emergenza finita, a questi principi che si sono palesati, incarnati. Dovremmo imparare da una classe di lavoratori che sta impegnando e rischiando la propria vita per tutti gli altri, bianchi, neri, vecchi, giovani, ricchi e poveri, etero e gay e transgender. Che forse amano gli altri indistintamente e la loro professione più di loro stessi.
Saranno loro gli esempi da seguire, allora? Per tutti? O sono coloro che pensano al proprio profitto, al proprio successo, alla propria felicità, al proprio benessere, a erigere muri? Credo proprio che le persone che vogliamo seguire, emulare, dovrebbero essere coloro che riescono a realizzarsi quando sono utili agli altri, quando escono da loro stessi. Per una società migliore per tutti.
Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà (Lc 9,24).


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