Del virus pensiamo di sapere tutto, certamente che si trasmette in un perimetro di circa due metri per goccioline prodotte da naso e bocca. Ma ai più è sconosciuta un’altra caratteristica, di estrema importanza per affrontare il “dopo epidemia”: il Covid 19 s’attacca alle polveri che circolano nell’aria e con esse si propaga fino a quindici chilometri di distanza. In sostanza, c’è una relazione stretta tra virus e inquinamento.
La tesi è stata studiata da un gruppo di ricercatori delle università di Bologna, Bari, Milano, Trieste e della Società italiana di medicina dell’ambiente, il cui rapporto presto sarà pubblicato da una delle più importanti riviste scientifiche del mondo; ma nel frattempo, il capo dei ricercatori, il bolognese Leonardo Setti, specializzato proprio in microrganismi veicolati da supporti e gocce, spiega il nocciolo duro della ricerca.

Sono state analizzate tra il 10 febbraio e i primi di marzo le rilevazioni delle centraline dell’Arpa per il monitoraggio dell’inquinamento sparse in tutte le province: “Si tratta di migliaia di dati statistici e scientifici”, sottolinea Setti, in particolare di quelli relativi agli “sforamenti” dei limiti di legge per la presenza nell’aria di Pm10 e Pm2,5, le cosiddette polveri sottili prodotte per il cinquanta per cento dalle attività antropiche (il trenta per cento dipende dalle emissioni dei veicoli, il resto dalle emissioni di fabbriche e caldaie per il riscaldamento; del totale, il restante cinquanta per cento esiste in natura).
Ebbene nel periodo suddetto si sono contati nella Pianura padana, tra Torino, Milano, Padova e Bologna, fino a nove sforamenti (in alcune regioni meridionali una o due volte, in alcune nemmeno una volta), in concomitanza con l’esplosione della pandemia. È evidente che non si tratta di un caso, ma che la correlazione è forte e accertata anche da altri studiosi sparsi nel mondo. Un esempio, ancora non validato: prima dell’esplosione della pandemia in Spagna la penisola iberica è stata invasa da polveri sahariane arrivate da ovest. E del resto il virus è comparso la prima volta nella provincia di Hubei, tra le più industrializzate e moderne della Cina.
Non si sa se – come affermano alcuni ricercatori – in un prossimo futuro l’umanità dovrà misurarsi con nuove pandemie, certamente “bisogna fare di tutto per contrastare i driver moltiplicatori dei virus”, insiste Setti e questo significa lotta senza quartiere all’inquinamento. Quindi piuttosto che sospendere il Green deal deciso dall’Unione europea – “invece della sostenibilità bisogna garantire la liquidità dell’imprese”, chiede l’opposizione – bisognerebbe “accelerarne l’applicazione”, conclude Setti, il quale raccomanda molta attenzione per il rientro nella normalità, proprio per evitare contagi di ritorno, in attesa del vaccino.
Corriere di Torino

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