E se dovessimo affrontare la crisi sanitaria del Covid-19 e le sue temibili conseguenze economiche da soli, unicamente con lo scudo dell’euro? Probabile, senza farsi inutili illusioni. Lo tsunami virale colpisce tutti i paesi europei. Conseguentemente, ciascuno sarà prioritariamente ripiegato su se stesso. Certo, sostegni per l’emergenza sanitaria ne arriveranno ma dobbiamo comunque prepararci a una lunga marcia nel deserto. E gli eurobond? Sono troppo la ricerca di un parafulmine della nostra (ma non solo) politica. Per dire viva l’Europa se si materializzassero; altrimenti, per avere un perfetto capro espiatorio ed evitare di assumersi responsabilità dinnanzi al difficile futuro.
Inevitabilmente, dovremo fare manovre espansive pesanti; e farle prima che le difficoltà economiche si traducano in questioni di ordine pubblico. Però coscienti che il grosso lo dovremo fare senza “salvatori del Nord”. E gli Stati Uniti d’Europa? Per ora mancano. Per avere gli Stati Uniti d’America c’è voluta una rivoluzione contro la potenza coloniale (Londra) e una guerra civile per stabilire il “chi” e il “quanto” comandi tra Washington e gli stati. L’Unione europea non è nulla di ciò, salvo che nella retorica fondativa.

È un accordo intergovernativo tra stati sovrani (la sua stessa evoluzione lo sottolinea sempre di più). Per ragionare delle conseguenze della Covid-19 economy di qui bisogna partire. Quindi, per reggere il virus numero due (quello della paralisi produttivo/commerciale) dovremo andare massicciamente sui mercati col nostro debito sovrano. Meglio farlo con lo scudo dell’euro e della Banca centrale europea; che poi, a ben vedere, così già opera una forma indiretta di mutualizzazione del debito. Oppure, vogliamo rinunciare allo scudo dell’euro e lanciarci senza paracadute in questa difficile avventura?
Queste sono le scelte che abbiamo di fronte. Poi è bene ricordare che, almeno per quanto attiene all’emergenza sanitaria in senso stretto, l’essere nell’Unione europea e nell’Unione monetaria (Uem) è un gioco politico positivo. Della Bce si è detto: il suo Pandemic emergency purchase programme (Pepp) è “artiglieria pesante” che risolve crisi di liquidità nel mercato dei titoli (normalizza lo spread).
Inoltre, la Commissione europea partecipa al finanziamento per la ricerca farmacologica e di vaccini mentre l’Agenzia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) contribuisce, sebbene i Trattati europei riservino la “materia salute” alla dimensione nazionale, agli indirizzi per gli approvvigionamenti di materiale sanitario e all’elaborazione di linee guida per la gestione della crisi sanitario/ospedaliera. Infine, l’Ue ha cofinanziato il ritorno a casa dei cittadini europei bloccati fuori confine. Non poco o privo d’importanza.
Però l’Ue nella sostanza è rapporto tra stati sovrani membri: vale anche per la Covid-19 economy. Inquadrata in questo contesto, la questione degli eurobond (o, dato il momento, coronabond) appare una sorta d’araba fenice sognata dal gruppo sud dell’Ue. Peccato che nelle condizioni attuali, a pandemia imperante, sia proprio quello che oggi è difficile chiedere.
Ma cosa sono gli eurobond o coronabond? Titoli di debito emessi congiuntamente e solidalmente dai paesi europei. Sarebbero apprezzati positivamente (basso costo nel finanziarsi) dal mercato avendo a supporto i bilanci degli stati partecipanti; però, comunque, prima bisognerebbe individuare l’emittente attribuendovi, a fronte dell’emissione di debito, capacità fiscale (di certo maggiore dell’attuale bilancio comunitario). Già messa così è difficile perché gli eurobond hanno la potenzialità per far saltare l’Ue e l’Uem innescandovi duri conflitti distributivi.
Conflitti, del resto, già presenti all’interno degli stati membri e dei quali dovrebbe essere nota la loro infiammabilità. Pertanto, salvo aggiustamenti minori per diplomazia intereuropea, proporli oggi (cioè chiedere un sussidio dal nord al sud d’Europa) è un passo davvero ardito. Il motivo, messo bene in luce dal punto di vista economico dai professori della Bocconi Perotti (la Repubblica) e Monacelli (lavoce.info), è che la pandemia del Covid-19 colpisce simmetricamente tutta l’Ue e l’Uem. Questo implica che ogni governo ha priorità nazionali mentre la logica dei meccanismi di sicurezza finanziaria europea, ragionando su parametri assicurativi, presuppone che gli “integri” soccorrano i “colpiti”. Ma così palesemente non è, essendo la pandemia ovunque.
Il prof. Monacelli centra appieno la questione:
Agli economisti appare subito chiaro, quindi, che l’esito dei coronabond non possa essere un “equilibrio”, cioè un esito mutualmente conveniente quando valutato dalla prospettiva individuale di ciascun contraente. Tecnicamente non sarebbe diverso se la prospettiva fosse quella del benessere dell’Eurozona nel suo complesso. Di fronte a uno shock simmetrico come quello pandemico uno strumento come i coronabond, che implicano per costruzione un’assicurazione implicita tra stati di fronte a shock di natura asimmetrica, non è adeguato. A meno che, ovviamente, non si metta in conto il necessario trasferimento di risorse da un gruppo di paesi (il nord) a un altro (il sud), la cui logica si scontra con la natura ritenuta unanimemente simmetrica dello shock pandemico stesso.
Insomma, porre oggi la questione, per quanto possa apparire paradossale, è sbagliare momento.

Anche perché, se passassero oggi magari per la paura del collasso del fronte euro-sud, avvelenerebbero i “pozzi europei” di lunghe e antitetiche ripicche sovraniste. Inoltre, a differenza del 2011, ribadisce il prof. Perotti, in questa crisi:
ci sono di mezzo in pieno anche loro, e hanno davanti un’incertezza enorme: è impensabile che si accollino anche il rischio di un paese ad alto debito come l’Italia.
Difficile negare che per chi lo proponesse sarebbe la via al suicidio politico perfetto. Quindi, se davanti alla specifica emergenza sanitaria potremo contare su aiuti, viceversa sul finanziamento (certo assai oneroso) del dopo crisi dovremo cavarcela, come gli altri, da soli.
Pretendere dall’Ue (cioè dal contribuente degli stati del nord) che sovvenzioni l’Europa mediterranea a piè di lista è illusorio. Certo, le condizionalità, ad esempio quelle del Meccanismo di stabilità (Esm), potranno essere discusse. Ma limitatamente. Il punto è che i trasferimenti di risorse richiedono processi decisionali politici (assunzioni di responsabilità politica davanti ai parlamenti cui si propongono); e le condizionalità vi appartengono anche come garanzia democratica del buon uso delle risorse offerte.
Il Covid-19 distruggerà l’Ue e l’Uem? Difficile dire. Gli urti violenti economici incidono, e in tutti i sensi, sugli equilibri politici. Quindi potrebbe capitare. Per l’Italia, però, accendere per prima la miccia è pericoloso. Perché? Presto detto. L’Ue, riconoscendo l’emergenza, ha sciolto i paesi membri da ogni vincolo di disciplina fiscale. Dunque, c’è il via libera per far deficit per evitare che l’economia venga inghiottita dal buco nero della sua paralisi (indotta dalle misure precauzionali per affrontare la crisi sanitaria).
Facile prevedere che le cifre saranno imponenti (agli economisti il compito di dar forma quantitativa per navigare in tempesta e senza chiaro di luna). Dunque, dovremo ricorrere massicciamente al mercato.

In più, e per noi non è una bella notizia, questa volta a prendere fondi al mercato saranno in molti. Compreso il gruppo nord dell’Ue, Germania in testa. Però con l’euro, e grazie alla politica monetaria espansiva della Bce, la nostra presenza sul mercato avrà una buona postura. Al contrario, fuori dall’Eurozona saremmo prenditori di fondi più affidabili? Difficile. Ecco perché l’euroexit, salvo che non ci cada addosso per spinta del gruppo nord, è un passo da ponderare bene. Il Venezuela come prospettiva? No grazie!
La pandemia da Covid-19 è un evento accolto dai vari sistemi politici come imprevisto (che lo fosse veramente pare assai dubbio; in definitiva, è stato un pericolo più sottovalutato che altro). Di certo ha la capacità di alterare i cardini degli equilibri geopolitici globali. Quindi anche l’Ue e l’Uem sono nella tempesta. Gli esiti si vedranno dopo.
Quello che conta oggi, oltre al fatto di essere soli per grossa parte della strada che ci aspetta, è che affrontiamo il percorso con un rapporto debito/pil non ottimale. Su questo, il virus è innocente.
In copertina la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.

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