A centodieci anni dalla nascita, il grande critico musicale Massimo Mila può ancora aiutarci a sopravvivere in questi mesi in cui la dimensione spirituale di ciascuno di noi è fortemente limitata dalla forzata chiusura di librerie, teatri, mostre d’arte e, soprattutto, sale da concerti. Chiusi in casa, ascoltando i nostri CD o riprendendo “temerariamente” a suonare uno strumento che aveva segnato la nostra gioventù, possiamo approfondire la genesi dei capolavori di Verdi, Wagner, Beethoven, Mozart e Brahms, scoprendone profondità inesplorate e, addirittura, la collocazione dei compositori (quasi di “politica musicale”) a destra o a sinistra, a seconda del conservatorismo o del progressismo delle varie scuole, accademie e conservatori di appartenenza. Partendo, in ordine temporale, proprio dal grande compositore di Salisburgo, nel suo libro Lettura del Don Giovanni di Mozart (Einaudi) il musicologo ci conduce a decifrare non solo i misteri musicali di quella che Kierkegaard definì “la più bella opera di Mozart” ma anche la fortuna ottocentesca del Don Giovanni che, sostiene il musicologo,
riposa sull’approfondimento della figura leggendaria che diventa il simbolo stesso della condizione umana, crocifissa sulla contraddizione tra la sua natura finita e l’infinito delle sue aspirazioni.

Nessuno scrittore, tuttavia, era mai riuscito a trarre dal personaggio del Don Giovanni un autentico capolavoro letterario, sostiene Mila secondo cui
bisogna avvedersi che la musica è il suo mezzo espressivo. Questa seduzione che porta il personaggio a trascorrere instancabile da una donna all’altra è di competenza della musica, arte del movimento se mai ce ne fu.
Ma l’“ars amatoria” dell’indomito antieroe conosce momenti di infinita poesia musicale come nel celeberrimo duetto (degno della migliore commedia dell’arte) tra Don Giovanni e la giovane contadina Zerlina, fresca sposa di Masetto, secondo il libretto di Lorenzo da Ponte
Là ci darem la mano, là mi dirai di sì.
Vedi, non è lontano, partiam mio ben da qui…
L’impenitente seduttore non deve tuttavia faticare troppo per convincere la giovane Zerlina:
Vorrei e non vorrei,
mi trema un poco il cor,
si schermisce Zerlina, per poi ammettere
presto, non son più forte
e concludere il duetto assieme a Don Giovanni
andiam, andiam mio bene,
a ristorar le pene
d’un innocente amor….
(Ci sia consentito, a questo punto, di indicare nel soprano tedesco Christine Schaefer e nel baritono inglese Simon Keenlyside i migliori interpreti, ancora in attività, del Don Giovanni in generale e del duetto “Là ci darem la mano”, in particolare).
Autore anche di un ponderoso studio sulla sinfonia Corale di Beethoven (Lettura della Nona Sinfonia, Einaudi), Massimo Mila si dedicò sempre, con grande passione, allo studio dei musicisti tedeschi (e austriaci) che segnarono il passaggio dal classicismo al romanticismo musicale.

Al riguardo scrisse anche, negli anni Ottanta, una serie di importanti articoli su La Stampa di cui era critico musicale, dedicandosi in particolare a Johannes Brahms. Il grande compositore amburghese, scriveva il musicologo, dopo un lungo tirocinio di musica da camera (e qui vorremmo citare il Trio in si maggiore op. 8, per violino, violoncello e pianoforte)
produsse la sua prima sinfonia in cui il tema dell’ultimo tempo occhieggiava di proposito alla melodia dell’Inno alla gioia.
Fu un trionfo.
In terra tedesca era di nuovo fiorita una sinfonia degna della tradizione classica beethoveniana.
Si coniò l’iperbolico slogan delle tre B nella musica tedesca: Bach, Beethoven, Brahms che – scriveva Mila – veniva così legato duramente al passato, proprio nel momento in cui la nuova scuola tedesca, Wagner e (l’ungherese) Liszt, propagandava la musica dell’avvenire.
In quel periodo di passaggio l’unità del nuovo movimento si era spezzata dando luogo a un’ala destra e a un’ala sinistra.
Il Conservatorio fondato da Mendelssohn a Lipsia nel 1842, con la collaborazione di Robert Schumann,
ricorda il musicologo, era nato con l’obiettivo di farne una nuova scuola, il Conservatorio del romanticismo contrapposto ai conservatori dove ancora dominava l’ortodossia classica post-beethoveniana. Sull’appartenenza a questa o quella scuola, sull’osservanza di Brahms ai nuovi canoni romantici o sulla sua fedeltà alle tempistiche e alle dinamiche musicali del classicismo, sembrò poi dire la parola finale Arnold Schoenberg in un discorso nel centenario della nascita del grande amburghese. In particolare il compositore austriaco disse che,
Brahms – il classicista, l’accademico – fu in realtà un grande innovatore nella sfera del linguaggio musicale, un grande ‘progressivo’ e nella sua musica c’è coraggio, per non dire sbrigliata fantasia, antitetica all’ordine, all’organizzazione e alla pedanteria di Richard Wagner.

L’orizzonte degli studi di Massimo Mila non si limitò al periodo qui preso in esame. Basilari i suoi studi su Verdi, Stravinskij e Béla Bartok. Fondamentale anche il suo libro L’esperienza musicale e l’estetica (Einaudi) nel quale sembra allontanarsi dai registri di un’estetica così come è stata concepita da filosofi e letterati, e quindi tradotta in un linguaggio diverso da quello musicale. Spiega così Massimo Mila:
Si tratta di riconoscere quella peculiarità individuale, quella fisionomia inconfondibile, quella qualità personale che sono l’impronta, il conio, di valori spirituali chiamati Mozart, Beethoven e via dicendo.

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