Venezia “sotto il segno del MoSE”

Un nuovo libro cerca di ricostruire la genesi e la storia dell’opera. Una lettura utile a comprendere ciò che è accaduto. E per costruire quella consapevolezza necessaria al cambio di rotta sul terreno della salvaguardia della città lagunare.
MARIO SANTI
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Scopo di questo pamphlet [Sotto il segno del Mose. Venezia 1966-2020 di Giovanni Benzoni e Salvatore Scaglione, Edizioni La Toletta] è far capire (a chi non ne sa nulla) cosa sia successo a Venezia nei cinquant’anni che l’hanno portata dai più di 120.000 abitanti del 1966 ai 52.000 attuali, dalla devastazione della prima Aqua granda (4 novembre 1966) a quella della versione 2.0 del 12 novembre 2019. E a chi del MoSE ha solo notizie tratte dei media mainstream, spiegare la genesi e tracciare la storia “di quest’opera dall’ancora incerta funzione ma dal sicuro sperpero di denaro pubblico, certificato anche dalla magistratura”. 

La possiamo definire un’opera di “controinformazione” che si è resa necessaria (ed è ciò che la rende preziosa) perché quello che gli italiani hanno saputo del MoSE è stato filtrato attraverso media controllati o culturalmente subordinati al Consorzio Venezia Nuova.

Viene spiegato con chiarezza che cos’è il MoSE e come funziona. O come dovrebbe funzionare, dal momento che sulla fattibilità del suo completamento restano motivati dubbi.

La storia inizia subito dopo l’alluvione del 1966. Quello che accadde pose all’attenzione del mondo i pericoli che correva Venezia (con la formazione di comitati internazionali per prendersene cura). Lo stato italiano allora riconobbe la salvaguardia di Venezia come “problema di preminente interesse nazionale”. Arrivando a dedicarvi – nel 1973, sette anni dopo, ma in Italia non abbiamo mai brillato per le soluzioni tempestive – la prima di tre leggi speciali. Le altre due sarebbero arrivate nel 1984 e nel 1992.

In questo quadro la necessità di intervenire con una chiusura mobile delle tre bocche di porto (per tenervi fuori le acque alte eccezionali) andava di pari passo con la necessità di interventi di riequilibrio idraulico e di ripristino della morfologia lagunare.

Il libro riporta la storia dello scontro che ai vari livelli ha contrapposto i sostenitori di una visione sistemica – nella quale interventi di riequilibrio lagunare e di interclusione delle bocche andavano insieme – ai sostenitori dell’opera in quanto tale. A livello politico – dal parlamento al governo, dal comune di Venezia alla regione Veneto – e a livello tecnico-scientifico la discussione ha coinvolto la miglior cultura idraulica e ambientale nazionale e internazionale.

È spiegato come sia nato il Consorzio Venezia Nuova (dal raggruppamento di alcuni dei maggiori gruppi industriali italiani) e come si sia arrivati nel 1994 ad affidargli i lavori di salvaguardia attraverso lo strumento della “concessione unica”. Che voleva dire affidare – in deroga alle normative nazionali e comunitarie sugli appalti – senza gara a un unico soggetto ideazione, studio ed esecuzione delle opere. 

Gli autori raccontano attraverso quali tappe il Consorzio “concessionario unico” si sia sentito legittimato a:

  • sviluppare soprattutto le opere alle bocche di porto (che movimentavano più denaro), tralasciando quelle di riequilibrio lagunare; 
  • sentirsi onnipotente e in diritto di non ascoltare nessuno, né le motivate critiche sul suo operato da parte di tecnici e scienziati, né la politica asservita, né la città blandita con azioni di mecenatismo per accattivarsi la benevolenza, pubblica e privata;
  • mettere in atto una articolata rete di “dazioni”, che andavano dalla tangente ad personam per i politici ai finanziamenti alle strutture professionali ed ecclesiali, con il coinvolgimento dell’allora patriarca cardinale Angelo Scola.

Tutto ciò è durato fino a quando nel 2014 la magistratura ha “alzato il coperchio” e portato a giudizio e condannato i singoli e il sistema.

I titoli dei capitoli sono indicativi della trama attraverso la quale i due autori guidano il lettore alla progressiva comprensione di questa vicenda: “Dall’acqua alta del 1966 alle leggi per Venezia”, “Lo stato arretra di fronte alla lobby”, “Il comune di Venezia e la prima pietra”, “MoSE, il farmaco mortale”, “La città è sotto scacco. E lo sa”. 

Fino alla conclusione (un po’ troppo?) amara che si sostanzia in due affermazioni. La prima:

Venezia e la sua laguna sono inseparabili… la città non si salva se non si salva la sua laguna.

La seconda invece ci dice che concentrare le energie solo sul MoSE ha fatto in modo che

la battaglia per il riequilibrio morfologico [della laguna] sia stata persa, pur costituendo uno dei nodi fondamentali della salvaguardia.

E proseguono:

È chiaro che Venezia e la sua laguna non solo del MoSE sono vittime. 

Infatti molti altri fattori hanno contribuito a quella che viene definita “perdita d’identità”, in primis “l’insolenza di un turismo distruttivo che ne deforma i tratti”. Il riferimento è alla mancanza di una politica della residenza in relazione alla crescita delle fittanze turistiche, per essersi abbandonati al “ruolo taumaturgico del mercato”, alla conseguente “sproporzione del rapporto tra abitanti e visitatori”, alla snaturazione del commercio di prossimità, al moto ondoso, alle grandi navi.

La seconda metà del libro si apre con due appendici: “Quando arriva la Procura” di Alberto Vitucci e “Dal Vajont al MoSE: due diversi sistemi di corruzione”. Sul MoSE s’inquadra e si mette a confronto il sistema di corruzione generato da quest’opera che “ha succhiato in questi anni i soldi destinati alla salvaguardia”.

L’invaso del Vajont nell’estate del 1963

Il confronto con la tragedia del Vajont è richiamato perché la “corsa alla meta” (dopo l’Aqua granda 2.0 del 12 novembre 1966 “finire il MoSE al più presto”) ricorda l’analoga corsa “al collaudo della diga del Vajont” che impegnò freneticamente la Società Adriatica Di Elettricità (Sade), che tra il 1960 e i primi mesi del 1963 usò ogni mezzo per giungere al collaudo e chiudere la partita del Vajont “per avere l’impianto operativo. Perché si trattava di spuntare un miglior indennizzo con l’imminente nazionalizzazione.”

Allora era la Sade il colosso politico finanziario (traghettato da Volpi, Cini, Gaggia dall’epoca liberale a quella fascista e a quella repubblicana) a godere della fiducia di tutti. Che faceva parlare o tacere i tecnici esterni sulla base della sua convenienza, blandiva i controllori. 

Una corruzione, quella del Vajont, “fatta di reciproci favori tra persone e istituzioni”, mentre in quella del MoSE “il sistema di corruzione monetaria divenne la linfa vitale per ottenere e incrementare reciproci favori intorno all’opera”.

Anche identificandone le differenze, mettere a confronto i due casi fa capire che rapporto perverso tra pubblico e privato, non ascolto della scienza, corruzione e inganno delle popolazioni hanno caratterizzato la gestione delle opere pubbliche in Italia già da vent’anni prima del MoSE. 

Infine, al lettore che si sarà a questo punto formato una chiara visione generale, vengono offerte alcune schede di approfondimento che gli consentono di mettere a fuoco i particolari. E di farsi un’opinione dettagliata dei principali aspetti che hanno consentito al MoSE di essere un “idolo”. Un re che, prima che l’azione della magistratura ne rivelasse la nudità, ha avuto alla sua corte i poteri forti, ma anche pezzi della cultura e dell’opinione pubblica. I primi prevalentemente attratti da consulenze, la seconda ammansita dai media amici.

Mi limito a citare titoli e autori dei contributi, raccomandandone la lettura a chi voglia realmente comprendere non solo quanto profondi siano i danni già oggi apportati da quest’opera all’ecosistema lagunare, ma quanto ricco era (ed è) il fronte delle proposte alternative. Che può essere etichettato come “fronte del no” solo da chi vuol sfuggire al confronto con saperi capaci non solo di “smontare” l’opera, ma di proporre azioni positive, per affrontare e risolvere il tema della salvaguardia di Venezia e della sua laguna in modo più sostenibile e più adeguato all’innalzamento dei mari dovuto al riscaldamento globale.

Prima dell’aqua granda di Carlo Urbani
Agonia e morte del Magistrato alle acque di Antonio Rusconi
Il progetto (ignorato) di rialzo di Giorgio Leandro
Vecchio insicuro, inadeguato. Eppure va fatto di Marco Rugen 
Progetto senza MoSE di Cesare de Piccoli 
Le navi porta di Alberto Pellegrinotti
Il MoSE, una storia di potere e di inutile distruzione ambientale di Cristiano Gasparetto
Le grandi navi di Giuseppe Tattara
Due maree sommergono Venezia: l’acqua e il turismo di Franco Migliorini
Sollevamento geologico di Venezia di Carlo Giacomini
L’insula di San Marco di Stefano Boato 
Un’idea di Venezia
Giunte Cacciari e Gruppi di lavoro
La Via e le bocciature multiple del Tar
Gli undici punti di Paolo Costa
Colpe e colpevoli secondo il magistrato

Chiudo questa breve presentazione con due annotazioni. La prima è che si tratta di una lettura utile per i veneziani (che quasi sempre sanno cos’è il MoSE, ma lo valutano dalla parzialità dei loro interessi) e fondamentale per chi legge da fuori, perché ha avuto finora informazioni parziali e filtrate dall’ineluttabilità della “grande opera”. Prima perché presentate come il massimo che la tecnica può fare per salvare Venezia. Dopo lo scandalo perché comunque ormai tanto vale finirla e vedere se malgrado tutto funziona.

Il disvelamento pacato e argomentato da una parte del sistema MoSE come progetto “utile solo a chi lo fa” (le conclusioni riprendono una parola d’ordine del movimento che vi si oppone da sempre) e dall’altra della ricchezza di proposte tecniche e scientifiche alternative, indurrà tutte e tutti a riflettere. 

E a chiedersi se sia proprio vero che bisogna mettere ancora soldi (e certamente non si può ancora dire se basterà la cifra già “fermata” – non meno di un miliardo e mezzo di euro) per un’opera che manca di parti fondamentali e non è stata collaudata in condizioni critiche.

Non sarebbe più utile che il governo fermasse l’opera fino a quando una commissione scientifica realmente indipendente dicesse la sua sui problemi aperti (criticità per il funzionamento in condizioni estreme, sempre più frequenti per il cambiamento climatico; modi e costi di manutenzione; e via dicendo)?

E che nel frattempo si concentrassero le risorse sugli interventi di mitigazione idraulica e riequilibrio morfologico della laguna? Si tratta di interventi che le leggi speciali e gli indirizzi governativi considerano prioritari.

Con il Covid-19 la crisi del turismo mondiale potrebbe essere un’occasione di ripartenza per la città di Venezia

La seconda è che se il libro è fondamentale per costruire una consapevolezza necessaria al cambio di rotta sul terreno della salvaguardia, le conclusioni degli autori appaiono forse meno forti sulla possibilità di “salvare Venezia”. Come se la città fosse ormai definitivamente perduta, a causa di problemi ormai divenuti “troppo grandi da affrontare”, a partire dalla pervasività del turismo. 

“Sotto il segno del Mose” è la critica. Quindi, la premessa a una possibile rinascita.

Mi sarei aspettato una conclusione, una “parte finale” che sviluppasse questa “speranza di rinascita”. Che indagasse cioè se ci sono idee, forze e soggetti in grado di rilanciare una “nuova” Venezia. 

Quest’idea di una possibile “ripartenza su altre basi”, da tempo ritenuta possibile da osservatori attenti della città (vedi Francesco Erbani e la sua Non è triste Venezia).

Ma ha oggi una grande occasione.

L’aqua granda 2.0 ha svelato l’inadeguatezza delle grandi opere per far fronte alla crisi ambientale ai tempi del cambiamento climatico. La crisi del Covid-19 azzererà il turismo mondiale, rivelando la fragilità delle economie che – come quella veneziana – vivono solo di turismo.

Quale migliore occasione per cambiare rotta? Se non ora, quando?

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Venezia “sotto il segno del MoSE” ultima modifica: 2020-04-07T14:57:21+02:00 da MARIO SANTI
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