Distanziamento sociale. Perché a Stoccolma no

Dopo il cambio di rotta di qualche giorno fa, una riflessione su individuo e collettività, radici protestanti e socialdemocratiche di una società non perfetta
ALDO GARZIA
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In Svezia i divieti fanno problema anche in tempi di coronavirus. Il primo caso di Covid-19 risale all’1 febbraio, ma i provvedimenti di distanziamento sociale risalgono a pochi giorni fa. Scuole superiori e università schiuse, asilo ed elementari no perché i bambini sono ritenuti meno a rischio. Industrie aperte. Smart working dovunque è possibile. Settantenni invitati a restare a casa. Divieto di partecipare a eventi con decine di persone. Si raccomandano igiene personale, esclusione di contatti fisici non essenziali, limitazione negli spostamenti da un luogo all’altro.

Oltre novemila i contagiati, più di seicento i morti (i numeri cambiano di giorno in giorno). Karolinska Institutet e Karolinska University Hospital sono poi i fiori all’occhiello della sanità a Stoccolma, nella quale un appello di medici e infermieri denuncia il taglio di spesa operato pure in questo invidiabile welfare negli anni passati. 

Solamente sabato scorso il premier socialdemocratico Stefan Löfven ha ammesso che le autorità si stavano preparando a uno scenario da “migliaia di morti”. Il governo di Stoccolma si è di conseguenza affidato alla consulenza di Anders Tegnell, autorità riconosciuta in campo della virologia: per lui, con le cautele del caso, occorre abituarsi a convivere con il coronavirus. 

Stefan Löfven è primo ministro svedese dal 2014. Socialdemocratico, guida un governo di minoranza in coalizione con i Verdi.

Non sono tuttavia solo considerazioni epidemiologiche a rendere difficile la politica di restrizione delle libertà in Svezia, pur dettate da una situazione sanitaria eccezionale. Qui un forte senso dell’individualità convive con un altrettanto forte senso di comunità che deriva da una antica tradizione di pensiero protestante che va da Martin Lutero a Max Weber: l’etica individuale è la risorsa a cui affidarsi sempre, pure in situazioni di emergenza.

È il “singolo” che deve farsi innanzitutto responsabile, così facendo da rendere virtuosa la comunità in quanto a principi e comportamenti. Esempio tipico: tutti devono pagare le tasse e rendere trasparenti i rapporti con l’amministrazione pubblica, in questo campo e in altri di rapporto con lo stato non c’è privacy che tenga. A questo, si unisce la fiducia nei confronti delle istituzioni e della democrazia. La convinzione diffusa è che lo stato non esiste per fregarti. Quindi, tu non devi ingegnarti per fregare lo stato: c’è un rapporto consolidato di reciproco riconoscimento. 

In questo retroterra culturale, politico e religioso affondano le radici di una peculiare idea di socialismo che alberga in Svezia e negli paesi nordici, scandinavi in particolare. In quest’area geografica si è creato fin dagli anni Trenta un rapporto invidiabile tra libertà collettive e individuali che ha generato uno specifico welfare state fondato sulla democrazia partecipativa. Proprio il contrario del modello di “socialismo reale” di sovietica memoria. Nonostante crisi economiche e globalizzazione, molto di quella tradizione socialdemocratica sopravvive e si rinnova. 

Ovviamente, neppure in Svezia esiste la perfezione individuale e sociale. Erik Gandini, film-maker italo-svedese di fama internazionale, con il suo film/documentario La teoria svedese dell’amore del 2015 ha denunciato quello che non va: a iniziare da una idea di società perfetta studiata a tavolino dai grandi sociologi della tradizione svedese (ad esempio, dai coniugi Gunnar e Alva Myrdall, entrambi premi Nobel) che arrivarono perfino a prevedere interventi di eugenetica per debellare le malattie ereditarie e i comportamenti asociali (l’alcolismo).

Fino a qualche giorno fa la Svezia non aveva attuato misure di lockdown, come in altri paesi europei, puntando tutto sulla disciplina dei cittadini,

Gandini partiva nella sua inchiesta da un documento del Partito socialdemocratico del 1972, all’epoca guidato da Olof Palme, in cui si affermava che la famiglia del futuro doveva pensarsi “in un sistema socio-assistenziale perfettamente organizzato il cui fine dev’essere dare a ciascuno una vita totalmente autonoma”. Quindi, giovani fuori di casa presto (i comuni sono tenuti a fornire alloggi) e vecchi che non devono dipendere dall’assistenza dei figli. 

Siccome la perfezione non si dà, ci sono altre contraddizioni nella società svedese. Ai tassi di natalità come effetto degli ottimi servizi, fa pendant l’alta percentuale di divorzi e di fecondazioni assistite in cui la donna fa tutto da sola. I critici dicono che tutto ciò si spiega a causa di un surplus di eguaglianza uomo/donna conquistato dal welfare con il risvolto negativo del raffreddamento dei sentimenti di seduzione, passione e progettualità di vita. 

La lezione da trarne è comunque che pure una società avanzata socialmente produce contraddizioni come effetto delle sue stesse conquiste. Intanto, il coronavirus richiama al principio di realtà la società svedese: in nome della vita si può rinunciare ad alcune libertà individuali.

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Distanziamento sociale. Perché a Stoccolma no ultima modifica: 2020-04-10T11:34:00+02:00 da ALDO GARZIA
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