Giudecca. Voci dall’isola

Un racconto corale sulla percezione del momento che viviamo e sulle aspettative per il “dopo-emergenza” per l’isola.
SERENA NONO
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Accolgo con entusiasmo la proposta di ytali di sentire più voci di chi abita alla Giudecca, per fare un racconto sulla percezione del momento che viviamo e sulle aspettative per il “dopo-emergenza” per l’isola.
Di isola si parla, e in isola si vive: a seguire testimonianze da parte di persone che fanno vite e mestieri diversi, accomunati dall’appartenenza all’isola in questione. Chi regala un momento intimo, personale. Chi ragiona sulla situazione sociale-politica attuale e futura. Chi racconta la propria esperienza in questi complicati giorni.
L’isola che a differenza di Venezia centro, in tempi normali, è ancora un pochino preservata dalle grandi invasioni turistiche, e che resiste proponendo appuntamenti culturali e aggreganti grazie alle varie associazioni e realtà presenti sull’isola
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Pier Francesco Ghetti

Giudecca nelle parole di Pier Francesco Ghetti, ex rettore dell’Università di Ca’ Foscari, abitante dell’isola:

La Giudecca rappresenta forse l’unico progetto di rigenerazione urbana che ha avuto successo a Venezia. Presenta un mix di popolazione autoctona e di foresti (anche dalla stessa città) e di attività industriali, artigianali, culturali e nei servizi. Potrebbe avere interessanti prospettive con una accurata valorizzazione della riva nord verso la laguna. Inizia a mostrare alcuni segnali negativi per l’aumento di residenze turistiche, un eccesso di locali per la somministrazione di cibo e bevande, il mancato sostegno delle attività artigianali e culturali, anche per la lievitazione di affitti e compravendite.

A noi giudecchini ci separa da San Marco un grande canale, il canale della Giudecca conosciuto anche per essere la via delle grandi navi che entrano a Venezia che in questo periodo, come molte altre imbarcazioni a uso turistico, sono sparite. Ci sentiamo perciò un po’ “staccati” da Venezia centro anche se la Giudecca fa parte del centro storico.

Gianni De Luigi

Gianni De Luigi, regista e attore:

La Giudecca è l’altra parte o meglio dall’altra parte in questo momento che il canale della Giudecca si presenta come un grande lago, l’acqua piatta, la luce riflessa dalle albe e dai tramonti, ci permette di cogliere Venezia tra natura e artificio, lo sguardo emoziona senza distinzione di classe, scavalca il selfie. Il coronavirus dà il senso dell’Isola, dove l’unica striscia percorribile è la fondamenta e, anche se i bar sono chiusi, il dialogo continua in riva mentre la riva dall’altra parte è deserta. L’isola ha una struttura disomogenea, questa è la sua qualità. Per il futuro dovrebbe ricrearsi una comunità creativa collettiva sulla linea del Festival delle Arti, aggiungerei anche dei mestieri. L’ascolto della memoria come facevamo noi. La Giudecca nella sua verità di Isola nel tempo del coronavirus dà vita allo sguardo tra interno ed esterno.

Roberto Ellero

Roberto Ellero, critico cinematografico e saggista, giudecchino, racconta la sua quotidianità, portandoci a passeggiare per l’isola e “dall’altra parte” ai tempi del coronavirus, riflettendo sulla condizione della nostra città: 

Esco ogni mattina per prendermi i giornali. Alle Zattere e dunque traghetto, trovando una volta di più ridicoli quei costosi e inutili tornelli messi dall’azienda per accedere agli imbarcaderi: uno dei tanti segni dell’insipienza cittadina nella gestione dei flussi turistici, quando c’erano. La laguna ora è un lago. E i laghi non mi sono mai piaciuti. Questione di gusti. Ma ammetto che l’effetto ha una sua suggestione. Fine del moto ondoso. Di là, com’è noto, il chioschetto dell’edicola attende il ripristino e la stampa è “momentaneamente” ospitata in una stanza della parrocchia dei Gesuati. Già, perché prima della peste, c’era stata l’acqua grandissima del 12 novembre, con una forza d’urto mai vista prima, abbattutasi sui vari versanti meridionali di Venezia. E dunque sull’intera dorsale sud della Giudecca, con esiti devastanti ancora in attesa di intervento. Ah, i lavori pubblici! Non sono più quelli di una volta.

Il recupero dell’edicola di Walter Mutti (foto di Serena Nono)

Qualche tempo fa, all’inizio di dicembre 2019 ci siamo ritrovati in molti a sostare “dall’altra parte”, sulla riva delle Zattere, davanti alla chiesa dei Gesuati a guardare al recupero della famosa edicola di Walter Mutti che era stata spazzata via dalla riva ed era finita sul fondo del canale della Giudecca durante l’acqua granda di novembre scorso. Con emozione si guardava tutti insieme ai pompieri che dal fondo con argani, ganci e catene facevano riaffiorare l’edicola di legno verde che ci era tanto familiare. 

Oggi Walter Mutti, titolare dell’edicola e residente alla Giudecca ci dice che le vendite dei giornali “Non vanno male tutto sommato, visto che la città è semi chiusa la voglia di informarsi col cartaceo è essenziale” e continua:

Direi che c’è molta vita sociale alla Giudecca, ci si aiuta a vicenda. Si aiutano i meno fortunati (ma qua alla Giudecca è sempre stato così ). Bellissima l’iniziativa dei ragazzi del Morion di aiutare portando la spesa a domicilio per chi non puó muoversi. L ’isola resterá così com’è , noi abitanti sempre uniti e ancor di più, per ritrovarsi a chiacchierare nei bar a far le spese nei negozi del vicinato. Per il futuro mi piacerebbe che si tornasse a un concetto reale di “città”, ma se non cambieranno certe regole, tutto o quasi, tornerà come prima.

Michele Savorgnano

Su come potranno cambiare le cose sentiamo Michele Savorgnano, permacultore, agricoltore, originario del Friuli ma ora residente alla Giudecca:

Credo che dopotutto questo virus faccia parte della natura, impossibile eliminarlo ma necessario reintegrarlo nell’ecosistema, se è uscito dalla sua nicchia ecologica dobbiamo farcene una ragione. 

La crisi è cambiamento, senza giudizio. 

Per la Giudecca, isola non isolata, ultimo rimasuglio di una comunità per nulla morta il futuro potrà riservare interessanti sorprese, se punteremo sulla solidarietà, lottando per l’autodeterminazione che un’isola con la sua comunità deve avere; un’idea potrebbe essere un “consiglio di comunità”, non necessariamente ufficiale ma sicuramente necessario per avere un agile strumento democratico che risolva i problemi più urgenti e per porre le basi per un isola sostenibile. È fondamentale scambiare “buone pratiche” con altre comunità cittadine e del mondo, partendo dalla terra, dalla laguna, dalle competenze e dall’entusiasmo delle persone, da quello che già abbiamo in abbondanza, per un mondo più sobrio, senza inventarci nulla, e ti assicuro che abbiamo già molto.

Stefano Stradella

E di solidarietà nella comunità ci parla Stefano Stradella ristoratore. La Trattoria Altanella è gestita da quattro generazioni dalla famiglia Stradella, oggi Stefano e il fratello Roberto lavorano nel locale che si affaccia con la bellissima terrazza sul rio del Ponte Longo.

Per quanto riguarda la trattoria è dalla fine del 1800 che l’Altanella probabilmente in questo periodo dell’anno non è mai rimasta chiusa, anche se è ovvio che ora è giusto così, per quanto riguarda il futuro si vive giorno per giorno, domani si vedrà.

Ma – continua – “passiamo a cose più serie” e mi racconta che in questi giorni si sono riunite le associazioni Arci, Anffas (l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) e Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani) delle sedi locali

per dare il via a un progetto solidale che vede coinvolta anche la Coop nazionale per una raccolta fondi che verrà gestita alla Giudecca dalle suddette associazioni. La raccolta fondi sarà destinata per spesa alimentare e buoni spesa per anziani e famiglie indigenti dell’isola. Saranno i frati cappuccini e l’Agesci soprattutto a indicare le persone che in passato fruivano della spesa distribuita dalle chiese dell’isola. Sarà invece più difficile individuare altre persone, per esempio extracomunitari, persone che vivono di lavori precari o saltuari per ora sospesi, sconosciuti alle associazioni, per cui saremo tutti chiamati a diffondere la notizia e i contatti, appena saranno ufficializzati, per questo servizio locale. Si stanno organizzando i volontari che andranno a portare le spese alle persone impossibilitate a uscire di casa, in collaborazione con i volontari del Centro sociale Morion e i ragazzi di Generazione 90, anche loro tra i primi a fornire un servizio volontario per le spese e le consegne.

Tramonto sul Redentore (foto di Serena Nono)

Alla Giudecca in tempi normali è attiva la mensa per i poveri gestita dei frati cappuccini del convento della Chiesa del SS. Redentore. Sento al telefono il gentilissimo fr. Anastasio, parroco della chiesa del SS. Redentore. Mi racconta che loro in convento stanno tutti bene anche se hanno dovuto stare in quarantena poiché qualcuno dei frati ha avuto febbre e tosse, ma sono tutti guariti e non hanno avuto casi di Covid 19. Ricorda con rammarico che è mancato per coronavirus al convento dei Cappuccini di Trento fr. Giampietro Vignandel, che fino a tre anni fa risiedeva al convento dei frati del SS. Redentore, ed era il cuoco della mensa per i poveri. La mensa del Redentore è per ora chiusa per direttive sanitarie, ma, come anche mi ha raccontato Stefano Stradella, il parroco mi dice dell’iniziativa di scout, Arci e altre associazioni dell’isola per aiutare le persone anziane o indigenti. 

Per la settimana santa e Pasqua i frati celebreranno le messe nelle chiese che gestiscono, chiesa di S. Eufemia, SS. Redentore e S. Gerardo Sagredo a Sacca Fisola  a porte chiuse, e fr. Anastasio commenta che

la presenza di Gesù, morto e risorto, riempirà gli spazi vuoti, l’importante è sentirsi vicini nello spirito, appena si potrà tornare a una sorta di normalità lo si farà con le dovute precauzioni, ma è fondamentale seguire le indicazioni del vescovo e del governo, rispettare le direttive, rispettare l’importanza della vita e della salute di tutti.

Francesca Basile

E della imminente festa di Pasqua parla Francesca Basile della Segreteria Progetti Emergency Venezia. Parmense ma residente alla Giudecca da molti anni, lavora nella sede di Emergency alla Giudecca, ma in questo periodo da casa. Commovente è la sua testimonianza. 

L’inaspettata esperienza della quarantena non mi ha colto impreparata.

Ho sofferto di agorafobia per molti anni e già conoscevo il dolore e lo spaesamento che provoca la sottile ma incolmabile distanza tra il dentro e il fuori, tra la paura e la vita, tra il mondo osservato e il mondo tra le mani, tra il tempo dilatato e deformato dell’animo e quello che non basta mai per le strade.

Già conoscevo l’importanza di coltivare l’orto della vita lì dove sei, con quello che hai. Per mantenere senso esistenziale e dignità.

Il passaggio del canale della Giudecca me lo sono già più volte conquistato a fatica, tante volte, in silenzio. E ogni volta che conquistavo l’altra riva era una festa del cuore. Questa volta sarà la festa della Pasqua, ossia del Passaggio, di tutti, e per la prima volta il mio sorriso, che vorrà nascondere la paura, sarà quello di tutti. Io sarò l’Altro. L’Altro sarà me.

Ed è questa consapevolezza che vorrei ci restasse da questa esperienza, di qua o di là dalla riva di ogni terra emersa: noi stessi non siamo isole e abbiamo tutti bisogno delle rive degli occhi e delle braccia tese altrui. Per attraversare, per non morire, per Vivere.

Feste pasquali che ci troveranno relegati in casa, impossibilitati a condividere il pranzo con i nostri cari, celebreremo con un gran silenzio, il silenzio della condizione attuale. 

Marco Bassi

Marco Bassi, insegnante e fondatore (uno dei) del Festival delle arti, (uno dei) dell’Arci Luigi Nono, (uno dei) dell’Associazione per Poveglia, racconta del silenzio:

La cosa più incredibile in questi giorni isolati alla Giudecca è il silenzio, il canale che ci separa dalle Zattere è praticamente sempre tranquillo e calmo, passa solo qualche mezzo pubblico, ogni tanto senti il ferry, e questo ti permette di sentire anche i rumori più inconsueti, non dico i gabbiani che urlano, no quelli ti svegliavano anche prima, ma per esempio gli altri uccelli o le poche persone che passano sul ponte e che stanno telefonando, o certe discussioni nelle quali ti senti quasi un intruso.

Ma per la maggior parte della giornata c’è un profondo silenzio.

Sto tutto il giorno davanti al computer con la didattica a distanza con le scuole medie di Favaro, a correggere compiti, a preparar lezioni, a scrivere e ricevere mail dai ragazzi e dai famigliari. Ce la mettiamo tutta per creare un minimo di interazione.

E, devo essere sincero, non mi manca più di tanto il fatto “de non ‘ndar a Venessia, deà de l’acqua”.

Mi manca invece la vita nell’isola e il vedersi con gli amici, andare a vogare o a pescare, andare a Poveglia con il cane, trovarsi ad organizzare eventi per tutti.

Quello che mi piacerebbe quando questa situazione finirà, è che in isola certe cose cambino, così come nel resto del mondo: per risolvere i mille problemi economici e sociali mi auguro si torni ad un’economia circolare sul territorio, che riaprano botteghe di artigiani di tutti i tipi, che aumentino i residenti e che le case e le scuole si riempiano di bambini e soprattutto che il canale non torni ad essere uno tsunami continuo. Che torni pure il turismo un po’ alla volta ma come risorsa contenuta e non come condanna strainvasiva e incontrollata.

Andrea Barina

 Andrea Barina, gestore de La Palanca bar, ritrovo e fucina di idee della Giudecca, e protagonista – fondatore (uno dei) di tutte le associazioni citate sopra (Festival delle arti, Arci, Associazione per Poveglia ecc.), commenta l’isolamento così:

Siamo ancora più lontani di quanto non lo fossimo. Quel tratto di Canale che ci divideva e ci preservava dalle orde è diventato un ostacolo quasi invalicabile. La comunità è giustamente rinchiusa e l’unico momento di lontana socialità avviene lungo la Fondamenta, da sempre la nostra piazza, mentre fai le compere necessarie nei negozi di prossimità. Sospesi come tutti.

Lia Finzi

Particolarmente toccante è il senso di sospensione e anche di solitudine che ci racconta Lia Finzi, protagonista della storia veneziana del Novecento, insegnante, assessore, e oggi sempre attiva nell’associazionismo (Anpi e Iveser) e nella diffusione dei valori democratici e antifascisti. 

Veduta dalla Giudecca dalla casa di Lia Finzi (foto di Pierangelo Federici]

Vedo dalla finestra il Canale della Giudecca senza onde, fermo, immobile. Così non l’ho mai visto. Forse sì, nei quadri del Settecento. E poi, non si contestava che l’affollamento becero dei turisti rovinava la bellezza di Venezia? Ora, nel silenzio, passano pochi veneziani: portano il cane qui attorno, fanno la coda per entrare, uno per volta, nel supermercato, qualcuno corre per non perdere l’esercizio.

Il bisogno di comunicare mi afferra i pensieri. Spero arrivino presto le riunioni, le discussioni, gli incontri. Non amo la solitudine. Da soli è più facile ricordare le persone care che non ci sono più e le memorie si affollano dolorosamente. Ma anche i giorni belli, gli anni di lotta e quelli di attività politica, i viaggi, gli affetti. E quanto altro.

Sono giorni da cancellare questi, in solitudine, carichi di pensieri e ricordi.

Io che vivo senza computer capisco che, con questo strumento, si creano delle possibilità necessarie in questo periodo di quarantena. Per i miei nipoti la scuola funziona on-line. Meglio che niente. Ma io, vecchia insegnante, so quanto sia importante il rapporto diretto, soprattutto con i compagni, in classe a scuola. Solidarietà, amicizia, comprensione, sono sentimenti che perdono il loro significato in questo tempo. Spero che il lavoro di gruppo e quello creativo “assieme” non vadano a perdersi nei mesi della solitudine.

Massimiliano Vianello

Di bellezza di Venezia parla anche Massimiliano Vianello, giudecchino doc e responsabile di Edizioni Ca’ Foscari, Università di Venezia:

Fin dall’infanzia, per chi vive alla Giudecca, ogni momento libero è buono per dirigersi verso i radi accessi lungo il lato sud dell’isola e guardare la laguna che si distende sino al cielo. Poi il bisogno di salire su una barca e lanciarsi dentro quello spazio oltremare con isole arancioni e verdi. E adesso la Giudecca non si affaccia più ma è tutt’uno. Il remoto blu vuoto selvatico si è ripreso l’isola, popolandola di uccelli migratori, germani reali appollaiati su acque terse. Nelle ore notturne le tracce nere e bianche delle incessabili battaglie fra i gabbiani e le seppie, lungo la riva nord sul canale della Giudecca, che pare adesso uno di quegli anfratti ignoti, su nelle valli fra la Cura e Lio Piccolo. La riva di fronte, agli Incurabili, potrebbe diventare un canneto, da un momento all’altro. Nessun Pink Venice che bercia in cinese dall’altoparlante qualche fesseria su Palladio. In pochi giorni l’umano servo brulicante low cost di Airbnb e pizza snack è evaporato. Lasciando vedere quel che c’è sempre stato sotto. Scrollato di dosso, come se niente fosse (stato). 

Quando un luogo porta impressi i segni originari e antichi di una vocazione, il suo futuro sta in questo: nell’esprimerla, liberata da disturbi e distorsioni. La immagino così la Giudecca (e Venezia) del dopo-adesso: un luogo che è se stesso e che permette all’umano di sentirsi tale. Che non si vende, ma si abita. 

Luigi Gigi Giordani

Chi auspica un futuro culturale e vivo per la Giudecca “che non si vende” è l’instancabile e militante Gigi Giordani, presidente del vivace centro culturale Renato Nardi.  

Il compito che ci aspetta come giudecchini, è quello di dare un nuovo volto dopo Covid-19. L’isola negli ultimi anni ha subito un cambiamento, da industriale a residenziale ma soprattutto ha rilanciato nel mondo come si fa cultura oggi alla Giudecca. Dopo questa forzata frenata, tutti insieme costruiremo un nuovo progetto coinvolgendo i cittadini come abbiamo fatto in questi anni, con la cultura e la partecipazione.

Veduta dalle Zitelle (foto di Serena Nono)

Concludiamo la nostra passeggiata piena di voci malgrado il grande silenzio nella Giudecca attuale, guidati da Roberto Ellero, meditando sul passato, guardando al presente ma soprattutto rivolti al futuro:

In cerca di sole, che notoriamente esclude per buona parte della giornata il passeggio nel versante “vissuto” dell’isola. Isola delle foche, per molti. E m’arrischio per il rio delle Convertite, giusto dietro casa mia. Fortunatamente per noi, e soprattutto per loro, le detenute non sono in rivolta. E mi piace pensare che tutto il lavoro sociale profuso dalle associazioni e da una dirigente illuminata, ora in pensione, stia all’origine di tanta pace. Mentre mi torna la rabbia quando, al termine della fondamenta, trovo una volta di più desolatamente abbandonato il quartierino residenziale sorto sui terreni della ex Scalera Film. Rigenerazione urbana, ripopolamento, nuova residenza… Lo scandalo resta al suo posto, i buoni propositi sono rimandati al giorno di San Mai. Ah, il Comune di Venezia! Non è più quello di una volta.

Giro l’angolo e il lussuoso Stucky Hotel non dà segni di vita. Il “fu turismo” miete vittime anche qui. Meno che altrove, forse, perché la Giudecca è fra i quartieri veneziani che più ha mantenuto certa vocazione alla cittadinanza stanziale, persino con valori immobiliari più bassi che dall’altra parte del canale, dove – per intenderci – le Grandi Navi andavano a sbattere a San Basilio. E penso che questa vocazione andrebbe meglio assecondata. Portandovi nuove attività produttive e nuova residenza. Lavoratori, se non vi spiace, e relative famiglie, d’ogni tipo, anche con bambini, che fanno sempre allegria, parlando di futuro. Produzione immateriale, terziario avanzato, digitale… Attività produttive perfettamente “sostenibili”, naturalmente, e visto che qui c’era la Scalera penso a quel “cineporto” tante volte immaginato e tante volte dimenticato. Anche prima che l’ideologia della rendita prendesse sfrontatamente possesso degli scranni di Ca’ Farsetti. Ah, la Venezia che poteva essere e non è stata! Magari la prossima volta, che ne dite? Presto però ragazzi, perché non c’è molto tempo.

Il Redentore (foto di Serena Nono)

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Giudecca. Voci dall’isola ultima modifica: 2020-04-10T16:50:16+02:00 da SERENA NONO
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