Conte tira la corda. E nel Pd scoppia la guerra

L’ultima rodomontata del presidente del consiglio infiamma la scena politica. Soprattutto accende lo scontro nel partito più importante della coalizione.
CARMINE FOTIA
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La rodomontata del presidente Giuseppe Conte, con l’attacco diretto alle opposizioni in diretta televisiva nell’orario di massimo ascolto e senza contraddittorio, in un momento drammatico nel quale da ogni parte, a cominciare dal Colle più alto, s’invita alla concordia nazionale non rimarrà senza conseguenze e ha già infiammato la scena politica. Soprattutto accende lo scontro nel Pd.

Nel mondo dell’informazione il più lesto a comprendere la gravità di quanto appena avvenuto sotto i suoi occhi è stato, come spesso gli capita, il direttore del Tg La7, Enrico Mentana, il quale ha detto che se avesse saputo di quell’attacco non avrebbe accettato di mandare in onda il video senza contraddittorio. 

Nel mondo politico le reazioni furibonde dell’opposizione, assolutamente legittime, pur se inficiate dal fatto che sono stati loro i primi ad aprire lo scontro sul Mes, sono tuttavia solo la punta dell’iceberg. Dopo l’intemerata del premier, nel Pd – come ci confidano fonti autorevoli – lo scontro politico è al calor bianco. Tra la linea di Nicola Zingaretti, il segretario da poco uscito dal corpo a corpo col virus e quella del suo vice, che ne ha svolto le funzioni per tutto il tempo della quarantena, Andrea Orlando.

La linea scelta dal leader dem di condividere l’attacco alle opposizioni e di schierare il Pd dietro Conte “senza se e senza ma”, con quel tweet che condivideva “fatti e obiettivi ambiziosi di Conte e del Governo”, non è piaciuto affatto al vicesegretario, l’unico tra i dirigenti dem che non si offende ad essere definito “togliattiano”, forse perché ha seduto sulla stessa poltrona di ministro della Giustizia o perché memore dell’appello del Migliore “ai fratelli in camicia nera” per la pacificazione nazionale all’indomani della guerra e della resistenza. Fatto sta che Orlando pensa che oggi occorra perseguire qualche forma di unità nazionale, pur senza mettere in discussione il governo e i confini della maggioranza. Per Orlando, già da tempo critico nei confronti del premier, la misura è colma. È sbagliato accodarsi senza alcuno spirito critico al premier, pensa, inseguendo il suo effimero consenso nei sondaggi, che è quello, dicono molti tra più autorevoli dirigenti dem, che sta facendo Zingaretti, convinto di poter volgere a favore del Pd quel consenso.

Se nei giorni scorsi lo scontro è stato tenuto sottotraccia ora è molto più difficile nasconderlo, anche perché il vero obiettivo di Conte non erano Salvini e la Meloni, bensì l’asse Gualtieri-Sassoli-Gentiloni, che sta salvando la faccia dell’Italia in Europa. La demonizzazione del Mes sterilizzato dalle condizioni capestro è considerato irricevibile dai dem che contano in Europa:

Il Mes non è più il Fondo salva Stati del passato. È stato sospeso. L’Eurogruppo lo ha trasformato in un Fondo salva Salute il cui utilizzo prevede come unico vincolo il fatto che le sue risorse siano usate per contrastare il virus. Non vi sono condizionalità aggiuntive,

ha detto Sassoli a Repubblica.

Per l’Italia sarebbero 37 miliardi da gettare nel fronte più caldo della lotta al virus senza alcuna condizione, e senza alcun intervento della Troika. L’unica ragione per opporvisi è ideologica e riguarda il fatto che il presidente del consiglio non vuole lasciare ai sovranisti che non sono solo nell’opposizione, ma anche dentro il M5S, la bandiera dei difensori della sovranità. Il problema è che così facendo, come si è visto negli scorsi giorni, Conte smette di essere un punto di equilibrio tra Pd e M5S e così perde, agli occhi dei dem critici, qualsiasi autorevolezza. 

Ecco perché la filiera Gentiloni-Sassoli, con l’aggiunta di Del Rio e di Franceschini, capodelegazione del Pd al governo, ovvero il mondo Pd che viene dal cattolicesimo democratico, e che è stata essenziale per la scalata di Zingaretti, non è affatto d’accordo con questo asservimento alle ambizioni personali del premier e alla bramosia di potere del M5S. Non sfugge a nessuno, infatti, che lo scontro tra il M5S e il ministro dell’economia riguarda the beef, ovvero la gestione delle centinaia di miliardi che, in un modo o nell’altro, arriveranno. Viste le prove disastrose fornite dai gangli gestiti dal Movimento, come l’Inps di Tridico, la fuga verso altri lidi di Parisi che avrebbe dovuto gestire i Tutor legati al reddito di cittadinanza, e il mai sopito spirito anti-sviluppo del Movimento che ora riemerge prepotentemente (rialzano la testa i No-Tav del Movimento) hanno fatto scattare il campanello d’allarme.

Inoltre c’è un altro fattore non trascurabile che accomuna la filiera catto-dem a Orlando: a parte Sassoli e Gentiloni, che sono romani, Del Rio (Reggio Emilia), Franceschini (Ferrara) e il vicesegretario (Genova) appartengono a quel Nord che è il più colpito dalla pandemia e che rappresenta il 45 per cento del Pil italiano e dove il centrodestra è ampia maggioranza. Per loro l’appello alla solidarietà nazionale è il naturale portato del fatto di rappresentare quei territori, come confermano le interviste, l’ultima al Foglio, nelle quali Del Rio l’ha rilanciata.

Per loro è intollerabile che Conte non li abbia ascoltati, e anzi abbia ficcato le dita negli occhi non soltanto alle opposizioni, bensì a milioni di elettori, varando un Comitato per la ricostruzione senza alcuna consultazione dell’opposizione e senza aver coinvolto alcun tecnico di quell’area, così come del resto aveva fatto con il Comitato per le fake news che, senza un avallo unanime del parlamento, rischia di assomigliare molto a un comitato di censura, al di là dell’ottima qualità dei suoi componenti. In molti, tra i dem, ricordano come, quando varò il Comitato dei Saggi per le riforme, il Presidente Napolitano coinvolse autorevoli rappresentanti delle opposizioni. E l’emergenza, allora, non era assolutamente paragonabile a quella odierna.

L’altro fronte riguarda la giustizia e in particolare le carceri, dove il responsabile del settore Walter Verini è stato lasciato da solo a combattere per evitare che, entro poco tempo, le carceri divengano il teatro di una strage silenziosa, dovuta al sovraffollamento e alle già precarie condizioni dei detenuti, che il ministro Bonafede ha finora affrontato solo concedendo la possibilità di utilizzare il braccialetto elettronico.

Noi, tuttavia abbiamo avanzato perplessità perché, ad oggi, non c’è sicurezza che tutti i braccialetti arrivino in tempo e una volta arrivati vengano messi in uso nei tempi rapidi imposti dall’urgenza. L’emergenza non aspetta, dunque la posizione del Pd è di verificare nel lasso di tempo di pochissimi giorni sia l’emergenza che lo stato dell’arte coi braccialetti. Se i risultati di diminuzione della popolazione carceraria non saranno raggiunti, dovremo subito intervenire con nuovi strumenti, oltre quelli già adottati come il decreto, i permessi, i differimenti della esecuzione della pena… Ottomila detenuti hanno un residuo di pena inferiore a un anno, 3500 fino a 18 mesi: se nei prossimi giorni i braccialetti non daranno i risultati che tutti vorremmo, dovremo interrogarci in parlamento e in sede di conversione del decreto se modificare qualcosa,

ha detto Verini in un’intervista al Dubbio.

È un fronte caldissimo perché il ministro Bonafede è incatenato ai leader del giustizialismo italiano, rappresentato da personalità quali il direttore del Fatto Marco Travaglio e i Pm Nicola Gratteri e Nino Di Matteo, i quali affermano che con il coronavirus si stia più sicuri in carcere, malgrado l’opposto parere di tutti gli operatori, di tanti magistrati e associazioni e dello stesso Pontefice. E se neppure lo stesso Papa Francesco è riuscito a far cambiare questa linea di “giustizia eugenetica”, ci si domanda chi mai potrà riuscirci, tanto più che in parlamento, ancora una volta, la convergenza su questi temi tra M5S e Lega è totale.

In conclusione, al di là delle posizioni ufficiali, è ormai evidente come il difficilissimo equilibrio sul quale si reggeva il governo giallorosso non tenga più. Per questo, nel Pd, molti s’interrogano sul silenzio dello stratega di Zingaretti, Goffredo Bettini, artefice della nascita del Conte-bis, chiuso da settimane in un ostinato silenzio nel suo buen ritiro in Oriente, dopo aver lanciato invano un appello alla coesione nazionale diverse settimane fa. Chi l’ha sentito di recente lo descrive come molto preoccupato e angosciato per come stanno andando le cose. 

Conte tira la corda. E nel Pd scoppia la guerra ultima modifica: 2020-04-11T16:23:39+02:00 da CARMINE FOTIA
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3 commenti

stefano vicini 11 Aprile 2020 a 18:29

sempre interessante come sempre leggere ytali.

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Dopo le ultime performance, il Pd comincia a dubitare di Conte - Cronopolitica 14 Aprile 2020 a 6:49

[…] non è insensibile alla ricerca di un nuovo assetto politico – lo ha scritto bene Carmine Fotia su Ytali. e lo stesso vale per l’area cattolico-democratica di Dario […]

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Dopo le ultime performance, il Pd comincia a dubitare di Conte - Notizie Rss 14 Aprile 2020 a 9:07

[…] si definisce un “togliattiano” non è insensibile alla ricerca di un nuovo assetto politico – lo ha scritto bene Carmine Fotia su Ytali. e lo stesso vale per l’area cattolico-democratica di Dario Franceschini, […]

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