Da Marco Polo a Covid-19. La Cina tra mito e realtà

La pandemia ha messo bene in evidenza la mancanza di trasparenza nel regime che governa il gigante asiatico. Un rischio non trascurabile per il resto del mondo.
NICCOLÒ FANTINI
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Nel corso della storia, l’Occidente ha sempre guardato alla Cina come a un luogo dai tratti mistici e quasi surreali. Dal Milione di Marco Polo alle pratiche spirituali molto popolari al momento, la Cina è sempre stata luogo di leggende e mistero. Durante una visita alla Grande Muraglia, io stesso ho potuto sperimentare questo senso di mito che improvvisamente diviene realtà. Di quest’opera immensa ne avevo sempre sentito parlare come qualcosa di mitologico. Tuttavia, è stato soltanto camminandoci sopra che ho potuto comprenderne l’assoluta concretezza di quest’opera immensa.

Sarà per il fatto di essere così fisicamente lontana, o per via della lingua e la cultura così diversa dalle nostre, ma non c’è dubbio che la Cina è lì, “siccome immobile”, a tentare la fantasia e l’immaginazione di molti. 

Se questa nebbia che avvolge il Regno di Mezzo è un tratto storico costante, in certe situazioni rischia anche di divenire un motivo di preoccupazione. Ciò che non si conosce, infatti, può sì stimolare visioni e storie fantastiche, ma allo stesso tempo può nascondere realtà ben più preoccupanti ed importanti. Senza conoscere, poi, non vi è neanche l’opportunità di scambio reciproco. Come, infatti, è possibile costruire su qualcosa che manca di precise e ben delineate fondamenta? Ci viene insegnato che la fiducia sta alla base di qualunque interazione costruttiva, ma come fa a esserci fiducia nell’oscurità?

La Cina di oggi rimane avvolta nel mistero. Nonostante siano passati gli anni di reclusione maoista o di autarchia imperiale, il Partito comunista cinese (Pcc) continua a perpetuare una soluzione che gioca a suo vantaggio. È vero che gli ultimi decenni hanno visto una progressiva apertura del paese verso il resto del mondo attraverso l’implementazione di un sistema di mercato, simboleggiato dall’accesso della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001. Il Regno di Mezzo è sempre più entrato attivamente a far parte della comunità globale, ed è oggi in prima linea su molti fronti di cooperazione internazionale, sia economica sia politica. 

Quest’apertura, che ha sicuramente avuto un profondo impatto sul mondo intero, andrebbe tuttavia analizzata in maniera più attenta. La verità, infatti, è che il Pcc ha promosso l’apertura e la liberalizzazione laddove lo ha ritenuto importante per il rafforzamento della propria posizione e i suoi interessi. Per citare un esempio molto dibattuto, è evidente come la base manifatturiera e la dipendenza dall’export abbia spinto l’élite cinese a ricercare un mercato internazionale aperto ai suoi prodotti, mentre sono state severe e costanti le limitazioni imposte sull’accesso di capitale ed investimenti stranieri al settore domestico, in particolare quello dei servizi.

Sul fronte politico, la dicotomia è ancora più marcata e visibile. Innanzitutto, come è ben noto, alla liberalizzazione economica non è seguita quella politica. La Cina di Xi Jinping rimane una dittatura di stampo comunista sotto moltissimi aspetti. Le libertà di stampa, di parola e di associazione sono fortemente circoscritte, mentre a livello digitale il Partito sta facendo enormi passi avanti nelle sue capacità di censura online. L’ordinamento statale, inoltre, rimane incentrato su una forma di Partito-Stato ove il sistema gerarchico di nomenclatura rimuove ogni possibilità di seria responsabilità democratica. 

La propaganda ufficiale tende a minimizzare tale ambivalenza, sottolineando come la cultura cinese sia sempre stata, e sempre sarà, pacifica e non-bellicosa. C’è chi ha i suoi dubbi a riguardo. Molti paesi del Sud-Est Asiatico, e in particolare Taiwan, sono i primi a seguire con diffidenza le operazioni nel Mar Cinese Meridionale.

In ogni caso, la crisi sanitaria da Covid-19, che il mondo sta vivendo al momento, ci spinge a riflettere nuovamente sulla posizione cinese. In particolare, è una semplice domanda che meriterebbe più attenzione da parte della comunità internazionale: una Cina aperta al mondo e globalmente interconnessa come quella di oggi può permettersi di giocare su certe ambivalenze?

Il lockdown a Wuhan è durato settantasei giorni

La trasparenza è questione di vita o di morte in certe circostanze, come le pandemie. È opinione diffusa e legittima quella di ritenere che l’assenza di trasparenza abbia drasticamente minimizzato il rischio del nuovo patogeno e ritardato di molto una risposta effettiva in Cina. Senza stare a speculare eccessivamente sui meriti e le colpe, è impossibile non notare una certa discrepanza tra i numeri della pandemia in Cina e quelli in altri paesi.

Stando ai dati ufficiali, in Cina in morti non avrebbero superato i 3.500. Considerato il fatto che varie ricerche stanno confermando la presenza del virus in Europa già agli inizi di febbraio, e che le prime misure di contenimento a Wuhan sono state attuate a fine gennaio, è difficile pensare che l’epidemia possa aver causato un numero così inferiore di decessi rispetto a paesi come l’Italia e la Spagna. La vista di membri della croce rossa cinese che riprendono il presidente Fontana e i Lombardi per la “fiacca” quarantena non fa che aumentare l’incongruenza.

Anche se i numeri fossero esatti, è evidente come l’erratica risposta cinese (e dell’Oms) abbia confuso e sottovalutato il problema. In breve, quella “nebbia” che avvolge la Cina, e che il Pcc continua a sfruttare a suo vantaggio, rappresenta un rischio non trascurabile per il resto del mondo, che, come in questo caso, deve agire sulla base di notizie e informazioni provenienti da quel sistema. Si pone allora la questione di responsabilità in una società internazionale altamente globalizzata. È accettabile che le democrazie libere del mondo debbano esporsi a causa delle azioni di una dittatura? 

Va notato, a questo punto, che il problema non è la Cina in sé, ma più che altro quello che il Pcc rappresenta. Possiamo fare affidamento alla metafora con la quale abbiamo iniziato. Mentre la Cina come grande paese e cultura mantiene quell’aurea di misticismo e di mistero che giustamente affascina il mondo, il Pcc sta consciamente implementando una strategia basata sull’oscurantismo. Quest’ultima è già di per sé deprecabile, ma ancora di più lo dovrebbe essere se va ad affliggere negativamente gli impegni democratici di altri paesi. 

Questa critica non si limita alle azioni del Pcc, ma si estende per antonomasia a tutti quei regimi che opprimono i cittadini in maniera anti-democratica. Usando il bastone a casa e mostrando le carote alla comunità internazionale, il rischio è che gli interessi di tipo politico ed economico nascondano e distorcano la vera minaccia che tali regimi rappresentano per tutti noi.

In questi giorni, ad esempio, fa discutere molto l’esclusione di Taiwan dall’Oms. È a dir poco cinico pensare che a un paese libero e democratico come Taiwan, all’avanguardia su molti temi sanitari e uno dei pochi paesi ad aver arginato l’epidemia di Covid-19 senza la limitazione di fondamentali libertà costituzionali, possa essere negata la partecipazione all’Oms. Se quindi le stesse organizzazioni internazionali create nell’intento di proteggere tutti senza discriminazioni dipendono così visibilmente da certi regimi, è difficile non essere pessimisti.

Le conseguenze di una pandemia globale sono profonde e drammatiche per tutti. Come viene ripetuto senza tregua da molti, un virus non conosce confini. Questa dunque dovrebbe essere un’occasione per sottolineare quelle responsabilità che un mondo senza confini porta con sé.

Wuhan, omaggio alle vittime del Covid-19

In tempi recenti, interessi di tipo economico e politico hanno spesso scavalcato questioni ben più fondamentali, quali i diritti umani. Al fine di salvaguardare i propri obbiettivi commerciali, pochi sono i paesi che riconoscono le ingiustizie commesse dal Pcc in Tibet e nello Xinjiang, per citarne alcune. Molto probabilmente, questo succede anche poiché gli stessi paesi che si considerano “liberi e democratici” stanno passando una crisi esistenziale considerevole. Come si fa a condannare un’ingiustizia a migliaia di chilometri di distanza se si permette a vittime innocenti di morire affogate di fronte alle proprie coste?

È complicato, oggi, parlare di Cina. C’è chi vorrebbe sfruttare quest’emergenza per diffondere un ingiustificato e controproducente razzismo nei confronti dei cinesi (e degli asiatici in generale), i quali c’entrano poco o niente nell’assoluta maggioranza dei casi. È complicato discuterne con i cinesi stessi, spesso rinchiusi in un dogmatico nazionalismo appunto fomentato dalla propaganda del Pcc.

Di nuovo, una nebbia aleggia sul Regno di Mezzo, ostacolando una visione chiara e una posizione decisa. Questo alone mistico, però, non dovrebbe forviare i più attenti osservatori. Una volta individuati i valori e i principi sui quali si basa la nostra società libera e democratica (un compito non facile di per sé), dovremmo essere più attenti a quelli che, intorno a noi, rischiano di minarli. Continuiamo a meravigliarci alla vista della leggendaria Grande Muraglia, ma ricordiamoci che una dittatura non è fantasia: è dura realtà.

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Da Marco Polo a Covid-19. La Cina tra mito e realtà ultima modifica: 2020-04-11T17:35:35+02:00 da NICCOLÒ FANTINI
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