Cinquant’anni sono un tempo infinito, specie se ti chiami Cagliari e hai vissuto quell’unica, indimenticabile stagione di gloria. Mezzo secolo come spartiacque, in una storia secolare e spesso triste, come triste è stata per lungo tempo la vicenda della terra di Sardegna: una regione meravigliosa per troppo tempo abbandonata a se stessa, usata per lo più per punire i manigoldi e gli oppositori politici, come poligono militare, a stento considerata veramente Italia.
La Sardegna, già, questo vasto lembo di terra in mezzo al mare, quest’isola orgogliosa, stanca, provata da innumerevoli crisi, sottovalutata e considerata da molti un castigo da infliggere anziché un posto straordinario da valorizzare. Nell’immaginario collettivo ricorrevano spesso frasi come “Ti spedisco a Orgosolo!”, e per tanti anni il servizio militare in Sardegna era assegnato alle teste calde e ad alcuni attivisti del Pci nella speranza che quella “punizione” li riportasse sulla retta via. Ed è in Sardegna che è spedito al confino Gabriele, il giornalista omosessuale e antifascista interpretato magistralmente da Marcello Mastroianni in Una giornata particolare.

Sembra quasi che in quella regione di speranze perdute e sogni infranti si fossero accumulate – e in parte è ancora così – tutte le rughe di un paese in difficoltà, come si evince anche dai volti di un popolo provato da mille sventure ma mai domo, mai davvero sconfitto, sempre pronto a rialzarsi e a tornare in battaglia. Ed ecco perché questo spirito fiero s’incontrò alla perfezione con la voglia di riscatto di un fuoriclasse nativo di Leggiuno, orfano di madre, col viso scavato dal dolore e mai veramente felice, come dimostrano i pugni chiusi dopo il memorabile gol del 3 a 2 in Italia-Germania 4 a 3 a Città del Messico.
Parliamo di Gigi Riva, anzi di Giggirriva, “Rombo di tuono”, per citare l’indimenticabile Gianni Brera: una rabbia esplosiva, una volontà di sfondare che andava al di là di tutto, una grinta e una forza d’animo ai limiti dell’incredibile. Non a caso, in molte abitazioni, specie quelle dei poveri, dei pastori, degli ultimi, accanto alla foto dei propri cari c’era quella di Riva, idolo e icona di una terra che si sposava alla perfezione con la ribellione interiore di un ragazzo in perenne tumulto, i cui calci al pallone erano altrettanti schiaffi alla sorte avversa che lo aveva perseguitato.
Giggirriva, simbolo di una rabbia infinita, di un desiderio di riscossa comune, di una passione che non morirà mai. Sarebbe potuto andare alla Juve, Agnelli lo avrebbe coperto d’oro ma non sarebbe stata la stessa cosa. Rimanendo a Cagliari, invece, ha trovato se stesso e un brandello di serenità, innervando l’attacco di quel miracolo irripetibile, guidato da un allenatore che il compianto Edmondo Berselli definì “un hegeliano di sinistra”. Parliamo di Manlio Scopigno, uno che sapeva mescolare Marx e un pallone che rotola, la filosofia più pura e la concretezza più spietata.
Un gioco efficace, il suo, rapido e senza fronzoli, proprio come quei ragazzi passati alla storia: Albertosi, Cera, il mitico Comunardo Niccolai, maestro di autogol ma al tempo stesso difensore di grande talento, e ancora Martiradonna, Nené, Domenghini, giù giù fino all’asso di quella compagine bella e dannata. Il Cagliari scudettato è stato, infatti, effimero come una rosa di Atacama, destinata a incantare nel momento in cui sboccia ma a sfiorire rapidamente, al pari della carriera di un campione azzoppato da difensori canaglia e costretto a smettere all’età in cui Cristiano Ronaldo ha trovato una seconda giovinezza a Torino, sponda juventina.

Quel Cagliari, nell’anno in cui la società sarda compie cento anni, rimarrà per sempre proprio perché unico, magnifico come tutti i miracoli destinati a vedersi una sola volta nella vita. E alla gente di Sardegna, ancora innamorata del suo attaccante di classe, ancora ansiosa di veder uscire dagli spogliatoi quell’undici disperato e magico, non rimane che l’album dei ricordi, rigorosamente in bianco e nero, con un Brera o un Tosatti a commentare e un Lo Bello ad arbitrare nella domenica decisiva, quando la Juve venne fermata sul 2 a 2 al Comunale e il fischietto più famoso d’Italia graziò Riva che lo stava insultando furiosamente dopo un rigore ingiustamente assegnato ai bianconeri. “Pensa a giocare” gli disse Lo Bello, quasi a voler aggiungere un po’ di pepe alla gara o, più semplicemente, per prendersi il suo spazio in una recita dai protagonisti ben definiti.
Di quel Cagliari, con Arrica sulla plancia di comando, Scopigno in trincea e Riva esposto alle pallottole nemiche, rimane l’urlo di una terra che ha saputo trasformare il niente in gioia e la miseria in trionfo. Poi la magia è finita, fugace come tutti i sogni impossibili diventati realtà per un meraviglioso scherzo del destino.

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