Le dichiarazioni quasi simultanee di Nicola Zingaretti, Romano Prodi, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani sul Meccanismo europeo di stabilità – sarebbe una follia non utilizzare il Mes senza condizioni per la spesa sanitaria – ovvero il contrario di quanto detto dal premier, dal M5S, dalla Lega e da Fdi – non utilizzeremo mai il Mes – hanno confermato quanto avevamo scritto qui pochi giorni fa: la pazienza del Partito democratico (e non solo sua) verso la gestione dell’emergenza del premier Conte si è esaurita. E con essa il difficile equilibrio su cui si reggeva il governo. Occorre infatti ricordare come il Conte-bis sia nato in seguito al cambiamento di atteggiamento del M5S che, nello scorso mese di luglio, quando c’era ancora il governo giallo-verde, votò nell’europarlamento a favore della presidente Von Der Leyen, aprendo una frattura con la Lega che si rivelò insanabile e che portò poi alla nascita del Conte-bis e all’ingresso del Pd (con Renzi ancora dentro il partito) e di Leu nel governo e nella maggioranza. Senza quel nuovo paradigma “europeista” per il Pd sarebbe stato impossibile farlo. E dunque, se cade quel paradigma cade il primo e insostituibile pilastro dell’attuale governo.
La linea demagogica imposta da Conte (“Non useremo il Mes perché non ci serve”) per fronteggiare i sovran-populisti di M5S, Lega e Fdi, inseguendoli sul loro stesso terreno, plasticamente rappresentata dal violento attacco televisivo a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, si è rivelata per quello che era: un bluff di pura propaganda. Altro che “ristabilire la verità”, come hanno ripetuto i guardiani del contismo, bastonando chi, come il direttore del Tg la7, Enrico Mentana, aveva osato criticare in diretta la sguaiatezza istituzionale di un premier che approfitta di una conferenza stampa, dedicata alle nuove misure per l’emergenza sanitaria e trasmessa in diretta da tutte le tv e da tutti i social, per sferrare un violento attacco alle opposizioni. Molti dirigenti del Pd e della sinistra hanno meditato sul discorso del premier socialista spagnolo Pedro Sánchez, accusato fino a qualche settimana fa dall’opposizione di destra di essere un traditore per aver aperto le trattative con gli indipendentisti catalani: “Il mio solo nemico oggi è il virus”, ha detto appellandosi all’unità nazionale.
Che si sia trattato di un cambio repentino (rispetto alla linea “con Conte senza e senza ma” inizialmente scelta dal segretario) imposto dalla precipitazione degli eventi e da un’aspra discussione nei vertici dem, lo dimostra il fatto che il viceministro dem dell’economia Antonio Misiani, ancora fermo all’appoggio a Conte senza condizioni, mentre le agenzie battevano le dichiarazioni di Zingaretti, è apparso come Shoichi Yokoi, il famoso soldato giapponese che continuò a combattere nella giungla da solo dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Sarebbe però riduttivo considerare solo quello che accade nella maggioranza di governo. Anche il centrodestra è profondamente diviso, poiché anche Silvio Berlusconi, che era stato preceduto dal fedele Antonio Tajani, già presidente del parlamento europeo, si è dichiarato favorevole all’utilizzo del Mes. È chiaro che non si tratta soltanto del Mes: in gioco è l’idea se da questa crisi si possa uscire inseguendo le fole sovraniste e populiste oppure restando all’interno di un perimetro europeo, sia pure conducendo una trattativa dura e serrata per ottenere quanto serve al nostro paese per non finire in un baratro.
Anche nella Lega l’atteggiamento di un governatore del Veneto come Luca Zaia, la cui regione ha retto molto meglio della Lombardia o del Piemonte, è ben diverso da quello di Salvini. D’altro canto, la crescita di consensi di Giorgia Meloni a scapito della Lega incrina l’immagine del capitano invincibile. Viviamo un tempo nel quale la paura di un nemico invisibile e inafferrabile ma reale e potente demolisce la narrazione di chi è cresciuto cavalcando la paura di nemici inventati (gli immigrati, l’Europa, i gay). Se non ci fosse stato l’attacco di Conte a riunificarli, le differenze nella destra sarebbero emerse in modo ancora più netto.
Quanto al presidente Conte, il cui gradimento in questo momento è alle stelle, il consenso raggiunto nei momenti di emergenza è volatile, come hanno notato Matteo Angeli qui e Stefano Menichini sul Post. Si comincia a diffondere in tutto il sistema politico la consapevolezza che nel tempo nuovo e terribile che stiamo vivendo tutti i vecchi paradigmi e modi di pensare sono inutilizzabili. E anche Conte dovrà decidere se essere uno dei protagonisti della fase nuova che inevitabilmente si aprirà oppure il guardiano dei vecchi assetti. Cosa succederà adesso non è facile prevederlo, ma nulla sarà più come prima e sarà necessario trovare un nuovo equilibrio. Ormai il problema non è più il “se”, ma il “come” e il “quando”, che però in politica sono quasi tutto. Cerchiamo dunque di capire quali scenari si aprono adesso. E nessuno può garantire che siano per forza positivi.

Se ci si abbandona alla forza inerziale della conservazione dell’attuale assetto del sistema l’Italia rischia infatti di finire dentro quella che i meteorologi chiamano tempesta perfetta, ovvero un uragano che colpisce le zone più vulnerabili causando il massimo dei danni. Gli elementi ci sono tutti: si sommano emergenza sanitaria, economica, sociale, istituzionale, come mai accaduto prima. Siamo il paese al mondo che sta subendo i maggiori effetti negativi della pandemia: numero di morti e contagiati, danni al sistema economico (le previsioni parlano di un calo del Pil poco sotto il dieci per cento, che significa milioni di disoccupati, migliaia di aziende che chiuderanno, i poveri che saranno sempre più poveri e disperati), stress del sistema sanitario, massacrato da anni di tagli insensati.
Purtroppo non stiamo parlando di una distopia relegata ai libri e ai film di fantascienza: tutto ciò sta accadendo dinnanzi ai nostri occhi. E non serve a nulla nascondersi dietro la retorica dell’andrà tutto bene, tanto più se si rispettano gli sforzi eroici di quanti stanno in prima linea. Invece che gufare affinchè anche agli altri vada così male, prima o poi qualcuno dovrà spiegare come mai paesi che hanno fatto il lockdown dopo di noi, come la Germania, ne escono prima e meglio.
E tantomeno serve la caccia al colpevole. La trasmissione in diretta tv dei droni all’inseguimento di solitari runner nei parchi, come se fossero pericolosi criminali, rischia di creare un’isteria collettiva del tutto ingiustificata dai dati forniti dal ministero degli interni e che ci dicono che la stragrande maggioranza degli italiani sta rispettando con sacrificio e disciplina le dure restrizioni imposte.
Intendiamoci bene: la magistratura fa benissimo a ricercare le eventuali responsabilità in tragedie come quelle avvenute in istituti come il Pio Albergo Trivulzio di Milano e in altre case di riposo per anziani diventate moderni lazzaretti. Ci mancherebbe che non lo facessero. E non è solo per la pietà e il dolore che proviamo per quei poveri anziani morti: con essi, come ha ricordato Papa Francesco, perdiamo la memoria di quel che siamo stati. Se c’è chi ha sbagliato deve pagare, e l’informazione fa il suo mestiere indagando, denunciando, mettendo allo scoprendo tragedie occultate, ma l’accertamento della verità si fa nei processi e nel rispetto delle garanzie. La ricerca del capro espiatorio a tutti i costi non promette nulla di buono. Se in una situazione tragica come questa consentiamo che nelle vene di un paese stremato si diffonda, in misura ancor maggiore di quanto già avvenuto, il veleno di un giustizialismo vendicativo e spettacolarizzato non avremo nessun futuro.

Emblematico il caso delle carceri: mentre in molti altri paesi si decongestionano i penitenziari per evitare tragedie immani, da noi, condannati dalla Cedu per il trattamento inumano dei detenuti, mentre il contagio si diffonde, prevale la logica di chi dice : “i detenuti stanno più al sicuro dentro”, cioè in carceri sovraffollate e insicure. Possiamo solo sperare che i responsabili si ravvedano e che nel frattempo il numero dei contagiati non s’impenni. E anche su questo la linea dura del ministro pentastellato Alfonso Bonafede è opposta a quella del responsabile dem per la giustizia Walter Verini che chiede immediate misure per ridurre il sovraffollamento.
Cominciano a esplodere le rivolte nei centri di accoglienza per gli stranieri, come a Torre Maura a Roma. Ma di questi, gli ultimi degli ultimi, nessuno si occupa. La linea del governo giallo-rosso in questo non è molto diversa da quella del governo giallo-verde, pur se, almeno, l’attuale gestione del Viminale, così sobria e misurata, ci risparmia proclami marziali e urla belluine.
Quanto all’emergenza sociale, la burocrazia, il più profondo male italiano, rischia di vanificare le giuste misure a favore dei più deboli decise dal governo: si può pensare di gettare i soldi con l’elicottero (helicopter money) ma se il velivolo resta a terra, non si fa altro che alimentare la rabbia dei più poveri. Ed è esattamente quanto sta accadendo: misure annunciate e poi bloccate dalle lungaggini burocratiche, decreti che si sommano a decreti scritti in modo incomprensibile, siti istituzionali, è il caso dell’Inps, che non reggono la prova. Settimane di ritardo nell’erogazione dei fondi potranno apparire nulla per i superburocrati, per tante persone significa la differenza tra mangiare o non mangiare: senza l’incessante azione del volontariato e delle organizzazioni umanitarie anche questa bomba sociale sarebbe già esplosa.
C’è poi l’emergenza istituzionale e democratica. Ne ha scritto molto bene il costituzionalista Michele Ainis su La Repubblica: le misure eccezionali sono certo consentite in un paese democratico in una situazione di emergenza come quella che viviamo, ma devono essere limitate nel tempo, quindi devono avere una scadenza: la situazione d’eccezione non può durare all’infinito, pena la fine della democrazia parlamentare (Orbán docet). Il parlamento deve tornare a riunirsi regolarmente, con tutte le cautele del caso, ma se c’è un momento nel quale esso deve dispiegare tutta la sua potenza democratica è proprio questa. E le scadenze elettorali che incombono, quelle regionali e il referendum sul taglio del parlamentari, non possono essere rinviate all’infinito.

C’è anche un’altra preoccupazione che attraversa tutti gli schieramenti politici, al di là della propaganda. Finora, per far fronte all’emergenza, sono stati varati comitati su comitati: sono ormai centinaia gli esperti che devono “consigliare” il governo: sanità, fake news, digitale, emergenza economica. E proprio l’ultimo di questi comitati si è ingolfato alla partenza. Le cronache raccontano che la prima riunione degli esperti per la ricostruzione guidati dal supermanager Vittorio Colao non è andata affatto bene, con i rappresentanti dei vari ministeri nella veste di controllori e difensori delle loro prerogative e quelli degli altri comitati intenti a non farsi scippare competenze. E nella maggioranza sono in molti a pensare che se non entrerà nel governo come superministro per la ricostruzione con poteri di decisione e coordinamento neppure Colao potrà fare molto.
Ammesso che si riesca a scavallare l’estate senza danni, poi arriverà l’autunno. Fino a quel momento, si potrà andare avanti reiterando gli sforamenti al bilancio autorizzati dal voto parlamentare, ma quando si dovrà varare la nuova legge di bilancio, si dovrà per forza passare di nuovo dal parlamento. Si tratta della più gigantesca, complicata e drammatica manovra economica della storia italiana. Ed è a questa scadenza che ormai guardano tutti. È lì che potrebbe precipitare la scomposizione in corso degli attuali schieramenti politici. Come si rimescoleranno le carte è difficile da dire oggi. Quel che è certo è che l’illusione di poter restare ancorati ai vecchi paradigmi e ai vecchi modi di pensare e agire sarà spazzata via dal sommarsi di tutte le emergenze. Per evitare il verificarsi della tempesta perfetta ognuno dovrà fare la sua parte. Non so dire se ci sarà il governo Draghi, certamente sarebbe necessario un governo di draghi.
E il Quirinale non sarà certo inattivo di fronte alla prospettiva di una inaudita catastrofe nazionale.

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