“Quando sogniamo non facciamo altro che ricordare”, afferma una donna bella e dolente che dà il via a una storia come un film tra presente e passato: e Gianni è il protagonista che racconta in prima persona quel che accade attorno e dentro di sé in un momento convulso e difficile della sua vita.
Sandro Veronesi con il suo libro La forza del passato (La nave di Teseo) trasporta il lettore in un turbine di avvenimenti ambientati in un recente passato molto italiano, con un racconto stringente che nasce piano piano, da una azione generosa e da un evento di banale quotidianità e che sconvolge vite banalmente normali.
Roma, Viareggio, ma anche un’Europa ancora stretta tra i legacci della guerra fredda sono i luoghi geografici del romanzo, e tra viaggi in treno, auto e moto lo scrittore toscano entra ed esce dal suo passato e ripiomba nel presente non sempre piacevole come credeva. Un viaggio anche interiore che porta Gianni con l’amata moglie Anna e il piccolo Francesco ad attraversare insicurezze e incertezze, pericoli e avversità, lasciando una felicità apparente ma a portata di mano, sempre.

Una figura spicca tra i molti personaggi delineati da Veronesi, una sorta di angelo custode dagli “occhi bugiardi e ballerini”, un’apparizione che sostituisce e integra la figura del padre appena morto del protagonista, un insospettabile personaggio, “uomo troppo scombinato”. Il racconto affonda in un passato incredibile – ma sarà poi vero? – svelato proprio da quel “genius loci” che Gianni si ritrova accanto in un’estate romana. Grazie, o meglio, per colpa di questa figura inquietante ma anche rassicurante Gianni ripercorre la sua vita passata, tutta da riconsiderare, dall’infanzia all’adolescenza, dalla maturità ai rapporti familiari: la sua “cazzutissima famiglia”, la mamma, la sorella, i nipoti, il suo rapporto matrimoniale, le sue sicurezze e tronfie certezze… Tutto è messo in discussione, un continuo andirivieni tra l’oggi e quello “ieri”che non era poi così vero, un gioco di specchi a volte incrinati, sdoppiamenti e illusioni, menzogne, tradimenti.
Un mondo parallelo che l’autore riallaccia al mondo del cinema, citando un vasto repertorio di pellicole antiche e non, identificando situazioni e personaggi in una spirale che avvolge il lettore come un vecchio film. Attori e registi, scrittori e poeti occhieggiano tra le pagine del romanzo e Pasolini su tutti, che attraverso la possente figura di Orson Welles ricorda che “io sono una forza del passato, solo nella tradizione è il mio amore”: Gianni riuscirà a recuperare il suo passato, a trasportarlo nel presente, a preservare la tradizione che il padre gli ha trasmesso e che lui deve trasmettere a suo figlio?
Intorno al piccolo mondo romano-viareggino che Gianni riteneva il migliore dei mondi possibili si apre una voragine di insicurezze e come sotto un drone dall’occhio impietoso sono scrutate e messe in dubbio tutte le certezze di una vita un po’ noiosa ma presuntuosamente vissuta. I vicini di casa superficialmente giudicati, gli amici o presunti tali totalmente riconsiderati, un perbenismo molto “borghese” con un padre rigido e irreprensibile (ma pieno di stupefacenti sorprese) con il quale Gianni vive una vita di contrasti: insomma, quando “in un soffio la rassicurante, sofferta illusione di sapere cosa aspettarti dalla vita viene spazzata via”, e il terrore, quando non la disperazione, s’appropriano dell’anima e della vita di Gianni…

Gianni fa di mestiere lo scrittore: il personaggio che ha inventato, dall’improbabile nome di Pizzano Pizza, è amatissimo dai bambini e l’autore vince premi letterari per i suoi libri per l’infanzia (il premio è ancora in lire, storia nella storia).
Questo suo scrivere lo porta a vivere già in una dimensione a volte poco reale: nevrosi legate al calo dell’ispirazione, un mondo vero che s’interseca con quello del suo personaggio, e Gianni stesso che diventa una pedina, come quella dei suoi amati scacchi, di un destino quanto mai sorprendente.
Tra autocritica feroce e sofferenza, ma anche comiche circostanze e umanissime conversazioni, Gianni riscopre affetti mai considerati, quella famiglia un po’ negletta che è stata la sua, alla quale ora s’aggrappa come un’ancora al fondo del mare in tempesta.
La gente mente. Mente sempre, per principio, anche se non ha il minimo motivo per farlo,
afferma l’angelo custode di Gianni spuntato – per caso? – in una notte estiva alla stazione Termini. Lezioni di vita, certezze e illusioni, menzogne e verità dolorose, indagini e introspezione verso se stesso e finalmente verso “l’altro”, quell’entità poco valutata, a volte temuta o disprezzata ma dalla quale non si può prescindere, “l’altro da te” che circonda, condiziona, influenza la vita dell’autore. E anche la nostra.
La forza del passato è romanzo di vita, una vita un po’ sconclusionata e per questo così vera, una carrellata degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta legata alla politica, al calcio, alle canzoni, alle sigarette, ai sensi di colpa, al cibo, anni che sembrano così lontani ma che attraverso i tasselli della memoria sgorgano dalla penna di Veronesi, o forse dai tasti del suo computer.
“Perché la memoria è così complessa?” si chiede Veronesi, e noi assieme a lui, nella suggestione degli eventi, incalzanti e drammatici, teneri e terreni, descritti nelle pagine del libro.

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