You’re fired, sei licenziato, la frase iconica con cui Donald Trump si fece conoscere al grande pubblico americano negli anni duemila, quando animava il reality show The Apprentice, risuona oggi nei corridoi della Casa bianca, con il quarantunesimo presidente degli Stati Uniti che non ha perso il vizio di licenziare i suoi collaboratori. Nei giorni scorsi è stava la volta della portavoce Stephanie Grisham, rimasta in carica solo nove mesi, durante i quali non ha tenuto nemmeno una conferenza stampa.
A succederle è Kayleigh McEnany, trentun anni, capelli biondo platino e croce ben in vista al collo, già stella nascente tra i commentatori del panorama conservatore. Insediatasi la scorsa settimana, McEnany è una delle più giovani portavoce della Casa bianca nella storia degli Stati Uniti e ben la quarta a occupare questo ruolo da quando The Donald è presidente. Prima di lei si sono avvicendati Sean Spicer, Sarah Huckabee Sanders e, appunto, Stephanie Grisham.
Una scalata folgorante quella della giovane originaria di Tampa, città affacciata sull’omonima baia, in Florida, che racconta di essere cresciuta ascoltando nel furgone di papà gli interventi radiofonici di Rush Limbaugh, mostro sacro dei commentari conservatori.

Da Limbaugh alla decisione di impegnarsi in politica attiva, dalla parte dei conservatori – ovviamente -, il passo è stato breve. Per Kayleigh la passione politica è un fuoco che brucia. Nel 2004, allora sedicenne, partecipa da volontaria alla campagna per far rieleggere il tandem Bush-Cheney, un impegno che le vale una serie di esperienze presso esponenti politici repubblicani di vario livello e, soprattutto, uno stage alla Casa bianca, sul finire dell’amministrazione Bush, quando già frequenta la Georgetown University.
In quegli anni, la giovane si costruisce un curriculum accademico di tutto rispetto: dopo la Georgetown, si iscrive all’università di legge di Miami, per poi passare alla prestigiosissima Harvard, dove si laurea nel 2017. Kayleigh corre e niente sembra fermala: durante gli studi prova a sfondare nel mondo della televisione, prima partecipando alla produzione dello show di Mike Huckabee, ex governatore repubblicano dell’Arkansas, e poi facendo alcune comparsate come commentatrice politica su Fox News, network tradizionalmente vicino ai conservatori.
Il grande salto, però, ironia sorte, lo fa sulla Cnn, rete tradizionalmente liberal. Le elezioni del 2016 sono dietro l’angolo e l’allora presidente della Cnn, Jeff Zucker decide di fare l’esperimento di mettere insieme commentatori con orientamenti politici molto diversi, per infiammare il dibattito e far salire gli ascolti. Così facendo, offre a Kayleigh l’occasione della vita, una vetrina dove spiccare come unico baluardo conservatore su un palco dove i liberal sono sempre numericamente in maggioranza. Otto contro uno, sette contro due, la giovane conservatrice si afferma alla vigilia delle elezioni del 2016 in quanto agguerrita paladina del trumpismo, che non si arrende nemmeno di fronte alla verità, fedele al magnate newyorchese anche nei momenti più bui della sua campagna.
Era una commentatrice estremamente brillante ed efficace durante le elezioni del 2016, quando sinceramente era difficilissimo trovare delle persone dotate di talento desiderose di difendere le posizioni di Trump,
racconta Van Jones, commentatore liberal, anche lui per la Cnn, con il quale Kayleigh si è più volte scontrata sul palco.

Difendere Trump a spada tratta, questo il suo mantra, poco importa quello che l’ancora candidato alla presidenza dica o faccia. Come quando nell’ottobre 2016, a un mese dal voto, il Washington Post pubblica il video del 2005 in cui Trump si riempie la bocca di commenti sessisti, dicendo tra le altre cose, che “quando sei famoso [le donne] te lo lasciano fare. Puoi fare quello che vuoi”, e va avanti parlando di afferrare le donne per le parti intime. Anche in quel caso Kayleigh non rinuncia a difenderlo. Con quali argomenti?
[Trump] dice che ha cominciato a baciare una donna e che poi gli lasciano fare X, Y e Z. Questo implica un consenso.
Durante tutta la campagna presidenziale, Kayleigh McEnany sfrutta così il palcoscenico offertole dalla Cnn per affinare le sue doti di megafono del trumpismo duro e puro e per impressionare quello che sarà il suo futuro capo. Parlando di quel periodo Kayleigh si descrive come
quella ragazza bionda che sosteneva con passione l’allora candidato Donald Trump, portando con orgoglio al collo la mia croce d’oro.
Una devozione che rasenta la professione di fede e che, un anno più tardi, le vale una promozione alla corte di Donald, diventato ormai presidente.
Nell’agosto del 2017 Kayleigh lascia infatti la Cnn per essere nominata, qualche settimana più tardi, portavoce del Comitato nazionale repubblicano, l’organismo centrale al vertice del Grand Old Party. Tra le due esperienze, la rapida comparsa sulla pagina Facebook di Trump per condurre un segmento informativo intitolato Real News, notizie vere.
Nel gennaio 2018 pubblica il libro The New American Revolution: The Making of a Populist Movement (tradotto, La nuova rivoluzione americana: l’ascesa di un movimento populista), un’opera che raccoglie una serie di interviste e ritratti sugli elettori di Donald Trump. Nel 2019 s’avvicina ancora di più al capo e viene designata portavoce della campagna elettorale per la rielezione di Donald Trump.
Il 7 aprile, l’ennesima promozione: Kayleigh è così il trentunesimo portavoce nella storia della Casa bianca. Paradossalmente, nel nuovo ruolo le verrà chiesto di fare… esattamente quello che faceva prima, ovvero difendere Trump a spada tratta in televisione. In questo senso, Donald Trump ha stravolto il ruolo di portavoce della Casa bianca: non si tratta più di una persona incaricata di raccogliere informazioni durante la giornata e spiegare ai giornalisti, durante i briefing, le decisioni del presidente degli Stati Uniti. A parlare con la stampa, soprattutto da quando è scoppiata la crisi da coronavirus, ci pensa direttamente Donald, perfettamente a suo agio in questo in questo scambio non filtrato, che lo vede ogni giorno ingaggiare battaglia con i giornalisti avversi, difendendo strenuamente la sua visione della realtà.
La decisione di nominare portavoce della Casa bianca colei che aveva già quel ruolo nella sua campagna la dice lunga non solo sulla maniera scarsamente istituzionale con cui Trump vive il proprio ruolo. C’è di più. Fino a qualche mese fa, The Donald aveva la nomina per il secondo mandato quasi in pugno, forte di un andamento a gonfie vele dell’economia. Lo scoppio della crisi da coronavirus ha però colpito come una meteora la campagna per la sua rielezione, minandone severamente le possibilità di successo.
Ora Trump deve cambiare registro per riconquistare punti nei sondaggi. La strategia è quella di sempre: giocare la carta nazionalista. Attraverso queste lenti, la battaglia al coronavirus diventa uno scontro aperto con la Cina o un’occasione per rispolverare la retorica sui muri, essenziali a suo dire per difendere gli americani dalla violenza “messicana”.
In un tale contesto, Kayleigh è la sua spalla perfetta, una sorta di alter ego che la pensava come Trump ancora prima che Trump decidesse di scendere nell’agone politico. Da questo punto di vista, in questi giorni Joe Lockhart, ex portavoce di Bill Clinton, ha ritwittato un post di McEnany del 2012, in cui questa, alludendo al fatto che il fratello di Barack Obama si trovasse in “quella capanna in Kenya”, faceva da un lato un commento razzista e dall’altro sembrava voler soffiare sul fuoco di quelle teorie cospiratorie – il movimento dei “birthers” – che negano che Obama sia nato sul suolo americano. Una teoria decisamente infondata che Trump si impegnò a diffondere nel 2011.

C’è qualcosa di ancora più inquietante. In questi mesi il compito principale di McEnany dovrebbe essere quello di informare la popolazione americana riguardo all’azione del governo federale per far fronte alla crisi da coronavirus. È molto difficile credere che interpreterà il proprio ruolo animata da una reale volontà di informare, raccontare e spiegare.
Basti pensare al modo in cui si è ostinata negli scorsi mesi a difendere la linea del presidente, arrivando a dichiarare su Fox, durante lo show “Trish Regan Primetime” che grazie a Trump il coronavirus non arriverà mai in America.
Secondo il Washington Post, nei suoi primi tre anni di mandato, il presidente Trump ha collezionato l’impressionante numero di 16.241 affermazioni false o fuorvianti. Affermazioni che Kayleigh ha difeso e dovrà continuare a difendere, così come è stato il caso dei precedenti portavoce dell’amministrazione Trump.
Chi non ricorda l’esordio di Sean Spicer, colto a mentire già dal primo giorno di lavoro, quando fornì dati erronei a proposito del numero dei partecipanti alla cerimonia di insediamento della presidenza Trump? Spicer disse che mai così tante persone avevano partecipato a una cerimonia di insediamento – dichiarazione che si smentisce da sola semplicemente guardano le immagini aree, che mostrano che alla cerimonia di insediamento di Obama nel 2009 i partecipanti erano molti di più.
Poco importa, Spicer stava fornendo “fatti alternativi”, dichiarò con un’espressione che è rimasta celebre Kellyanne Conway, già direttrice della campagna Trump nel 2016 e membro del suo cerchio magico.
I fatti alternativi sono semplicemente menzogne, ma questo Kellyanne, Kayleigh e Donald lo sanno fin troppo bene.

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