Sepúlveda. La semplicità di un grande

Ricordando i cinque giorni passati insieme a Trieste, nel 1997, in occasione del Festival del cinema latinoamericano, quando dietro la figura del grande scrittore conobbi una persona piena di entusiasmo e umanità.
ALDO GARZIA
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La gabbianella è volata via. Luis Sepúlveda se n’è andato ad appena settant’anni colpito da coronavirus in Spagna, dopo un viaggio sfortunato in Portogallo.
Io ne ho un ricordo molto vivo come personalità originale di notevole spessore, oltre che come scrittore. Nel 1997 abbiamo passato cinque giorni insieme a Trieste.

Lui era presidente della giuria dell’annuale Festival del cinema latinoamericano organizzato da Rodrigo Díaz. Io ero tra i giurati insieme ad alcuni registi latinoamericani e a Piero Vivarelli, accompagnato da sua moglie Patrizia Rosso. Tra noi si stabilì subito un feeling, caddero le barriere e ci mettemmo a nostro agio.

L’anno prima era uscito in Italia con enorme successo il suo racconto Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. L’anno prima ancora aveva pubblicato Patagonia express, mentre il primo romanzo uscito in Italia risaliva al 1989: Il vecchio che leggeva romanzi d’amore.

Sepúlveda era riuscito a raggiungere il grande pubblico di casa nostra grazie a una casa editrice di qualità come Guanda, che ha sede a Parma. La prima serata, a cena, dopo aver visto alcuni film in concorso, la passammo proprio a discutere del perché di questo successo in particolare italiano, di cui era testimonianza la fila per gli autografi nel cinema dove si svolgeva il festival.

Non so spiegarmelo. Le mie storie sono semplici, come il mio immaginario. Forse gli italiani hanno voglia di piccole storie semplici,

ci disse incredulo. A me, la sua spiegazione parve persuasiva. Eravamo negli anni post-tangentopoli nei quali erano saltati gli equilibri politici e forse c’era bisogno d’iniezioni di fantasia e di tranquillità collettive. Lui, poi, seguiva un filone latinoamericano molto apprezzato dal pubblico nostrano: García Márquez, Jorge Amado, Eduardo Galeano, Osvaldo Soriano, Mario Vargas Llosa.

Fummo colpiti dai suoi racconti sul Cile di Salvador Allende. Lui faceva parte dello staff del presidente cileno, ne curava perfino la sicurezza personale. Sapevamo che era stato arrestato il giorno del golpe, l’11 settembre 1973: avrebbe passato due anni e mezzo in carcere. Fu liberato solo grazie all’impegno di Amnesty international.

Sepúlveda ci raccontò con emozione alcuni aneddoti su Allende, non ultimi quelli delle ore del bombardamento sul Palazzo della Moneda quando il presidente decise di non abbandonare l’edificio e di suicidarsi per non cadere nelle mani dei golpisti.

Con lui a Trieste c’era Carmen Yáñez, la moglie. Insieme ci narrarono la storia di un grande amore vissuto da giovanissimi in Cile con un primo matrimonio. Poi si separarono a causa del colpo di stato: Luis in carcere, lei fortunatamente espatriata.
Si ritrovarono in esilio, dove decisero che avrebbero passato la loro vita insieme risposandosi una seconda volta. Il racconto assomigliava a una novella travagliata dal finale felice. Brindammo alla loro felicità. Ci sembrarono inseparabili. E infatti Carmen, letterata pure lei, gli è stata accanto in ospedale fino alla fine.

Con Sepúlveda parlammo molto di politica in quei giorni a Trieste. Lui si considerava un militante a tutto tondo, oltre che uno scrittore: i due ruoli erano inseparabili.

Dopo l’esperienza allendista in Cile, era andato a combattere con i sandinisti in Nicaragua, era stato molte volte a Cuba dove aveva vinto un premio letterario nel 1969 con una serie di racconti che gli valsero una borsa di studio a Mosca presso un istituto di studi marxisti dal quale fu espulso per aver sedotto – questa l’accusa – la moglie del direttore.

Prima ancora era andato in Bolivia a far parte della guerriglia. Conosceva quindi bene i valori e i limiti del “socialismo reale” d’impronta sovietica sui quali ci esercitammo con qualche ironia nelle serate a cena.

Nel 1977, Luis aveva ottenuto asilo politico in Svezia. Ma lui non arrivò mai a Stoccolma, fuggì durante uno scalo aereo: preferì girovagare in alcuni paesi latinoamericani, a iniziare dal Brasile, dove riprese a scrivere racconti e a occuparsi di teatro. Deluso dalla realtà latinoamericana di quel periodo, arrivò in Europa nel 1979 scegliendo Amburgo come città di residenza (Sepúlveda parlava tedesco). È lì che avvenne il rincontro con Carmen.

Sono i critici letterari che devono giudicare la qualità dell’opera artistica di Sepúlveda. A me preme in questo momento ricordarlo per la sua umanità e giovialità. In quei giorni passati insieme a Trieste non ci mise mai a disagio: lui già scrittore affermato, noi suoi ammiratori. Pure le decisioni assunte nella giuria del Festival del cinema latinoamericano furono prese in armonia.

Mi ricordo, infine, come ci parlò con entusiasmo della sua allora recente decisione di andare a vivere in Spagna, a Gijón nelle Asturie, dove aveva promosso la “Settimana della letteratura gialla”. Luis è morto proprio a Gijón.

Sepúlveda. La semplicità di un grande ultima modifica: 2020-04-16T19:08:45+02:00 da ALDO GARZIA
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