È il lunedì di Pasquetta: tappato in casa, non si esce, c’è il coronavirus: non ne posso più. Ormai è sera, scende grigia e ventosa: è quasi buio, chi vuoi ci sia in giro ormai. Mi decido, infilo scarpe e giacca, esco, fuori dai domiciliari. Duecento metri, ho diritto ai miei duecento metri d’aria, ma forse oggi no, che aveva detto Zaia? Bho, ormai sono in riva della Cà di Dio, è deserta, ma un senso di colpa mi turba, ho forse fatto un dispetto al governatore, portasse jella?
All’improvviso, eccoli! Ho l’occhio di lince, sono ancora lontani fortunatamente, oltre il ponte della Ca’ di Dio. Un occhio meno avvezzo del mio li scambierebbe per personale Actv, ma invece sono due militi della Benemerita, in tenuta da campo, meno appariscenti senza banda rossa sui pantaloni e col basco al posto del cappello con fiamma: quello a destra impugna pure la cartellina con le autocertificazioni. Non devono avermi visto ancora, parlano fitto tra loro, seppur a distanza debita, guardando in basso. È un attimo, balzo fulmineo all’indietro, certo che la massa del ponte della Cà di Dio mi nasconderà, poi trotterello verso la stretta calle, finché, quasi correndo, arrivo sotto casa. Accidenti, l’ho scampata, per poco non mi acchiappavano gli sbirri… Già, perché nel giro di pochi istanti, coloro preposti alla difesa, sino all’estremo sacrificio, delle leggi della nostra Repubblica nata dalla Resistenza, son cangiati negli sgherri fedeli al soldo del tiranno che io, cospiratore di novella carboneria, ovviamente ho in odio.
Decido di sfidarli; continuerò il mio giro, ma prudentemente passerò per itinerari noti a pochi.
Così finisco sotto casa di un amico. Sta alla finestra, evidente anche lui cerca aria fresca: mi vede, mi fa cenno di aspettare, scende in strada, in felpa e pigiama.
Giù nel campiello, protetti dalla penombra, chiacchieriamo, distanti quanto raccomandato, commentiamo i fatti del giorno, il bollettino di Borrelli, ma poi gli racconto la mia recente avventura: sorride divertito. Passa un passante (sic!), proviene dalla riva degli Schiavoni: domando ha visto polizia sulla Riva? No, solo un ragazzo al distributore delle sigarette, risponde.
E allora il pavido diventa impavido: andiamo, propongo.

Pochi passi, ecco la riva, sterminata, color notte, appena rischiarata dalle luci dei lampioni. Di fronte, il bacino di San Marco è enorme: la fredda brezza ci euforizza più dello spritz al prosecco, che ci manca da un mese. La città è nostra. L’amico in delirio saltella, poi cala i pantaloni sfidando il mondo intero agitando le grosse nude natiche, le solleva alte, tanto da scoprire anche alcunché di pendulo, le schiaffeggia al ritmo di questa danza che sta solo nella sua testa: sembra un grosso orso che dimena la coda. Ridiamo come due deficienti, eppure abbiamo passato la cinquantina, io pure i sessanta, ripensandoci. Tanto non ci vede nessuno.
Ahimè, che succede ora? Un borbottio di ferraglia, si sente sempre più forte, si avvicina dall’alto, è sopra le nostre teste: un drone, ma va, ’azzo, è un elicottero, eccolo, la luce rossa, è un infrarosso, lo punta verso di noi… Ma che dici, son le luci di posizione, sì ma ora sta proprio sopra di noi, saranno solo trenta metri in sù, scappiamo!!!
Ci rifugiamo in un cono d’ombra tra due lampioni, a ridosso del cantiere di restauro della Ca’ di Dio. Intanto l’enorme calabrone gira sopra l’isola di san Giorgio e scompare dietro il campanile di San Marco. Visto? Ma come ci è saltato in mente che fosse arrivato per noi? Che sia per i telefonini? C’è un’app per tracciare gli spostamenti? Sì ma dei positivi asintomatici: e noi ci siamo o no? Ma va. Oddio, cos’è? Di nuovo sto brontolio? Rieccolo! Ha fatto il girotondo, viene ancora sopra di noi!!!
In fuga nella stretta calle, in un nanosecondo sono sotto casa: l’amico mi saluta e si affretta a casa per sentieri oscuri, noti solo a noi carbonari. Son intanato in casa, al sicuro, l’enorme calabrone intanto ronza sopra i tetti, allontanandosi.
Il divano mi accoglie, che stress questa Pasquetta.

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