Calcio. A ogni campione la sua magia

La punizione a “foglia morta”, la semirovesciata di Zidane, il cucchiaio di Totti, le prodezze di Messi, Il bello del gioco più bello del mondo.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Se, nonostante tutto, amiamo ancora il calcio è perché contiene in sé quel non so che di ingenuo, di fanciullesco e di meraviglioso che prevale, almeno nel cuore di noi appassionati, su ogni scandalo e sugli innumerevoli episodi che in questi anni hanno messo a dura prova la nostra passione. Il calcio, infatti, per dirla con Pasolini, è l’ultima forma di epica che ci è rimasta e anche nei momenti più bui, quando davvero ci lasciamo andare, basta la giocata di un campione per riconciliarsi con la sua magia. 

Qualcuno pensa davvero che la storia del nostro paese sarebbe la stessa senza le figurine Panini? E l’album Panini sarebbe lo stesso senza l’iconica rovesciata di Carlo Parola?

Cambiando emisfero, cosa sarebbe stato il Brasile senza le giocate di fenomeni come Pelé, Garrincha, Rivelino e, andando a tempi più recenti, senza i guizzi di Ronaldinho o del Ronaldo dei Mondiali nippo-coreani del 2002?

Qualche giorno fa abbiamo ricordato con commozione Edmondo Berselli: ebbene, non è un caso che uno dei suoi libri migliori sia dedicato al più mancino dei tiri di Mariolino Corso, l’artefice della beffarda punizione a foglia morta che costituiva la dannazione di qualunque portiere. In quel gesto, in quel lampo di genio capace di mutare le sorti di una partita in un istante c’era l’essenza del calcio: la sua sregolatezza, il suo non essere una formula matematica, il suo non possedere nulla di esatto o di predefinito. Il calcio è arte, armonia pura, bellezza.

Anche un fuoriclasse apparentemente “ammaestrato” come Cristiano Ronaldo, uno che s’allena ogni giorno, che cura ogni minimo dettaglio e sta attento alla forma fisica in modo quasi maniacale, anche uno come lui non sarà ricordato solo per la caterva di gol che ha segnato ma, più che mai, per quella rovesciata spontanea contro la Juventus che gli valse l’applauso di tutto lo stadio, a dispetto della sofferenza di un pubblico che vedeva la propria squadra soccombere al cospetto di uno dei Real Madrid più forti di sempre.

Sempre a proposito di quella prodezza, c’è anche chi sostiene, secondo me a ragione, che il tributo dello Stadium abbia convinto definitivamente Ronaldo della bontà di abbracciare la Juventus per rimettersi in gioco dopo aver conquistato tutto ciò che c’era da conquistare con le merengues, a dispetto di chi riduce ogni scelta di un calciatore a una mera questione di soldi, come se a un fenomeno di quel livello altrove gli avrebbero accordato, al massimo, il reddito di cittadinanza.

Lionel Messi, a differenza di Ronaldo, non punta tanto sulla costanza degli allenamenti, anche se va detto che è a sua volta un professionista esemplare, quanto su un talento naturale pressoché smisurato, sublimato da prodezze che si fa persino fatica a elencare, tante sono state nel corso degli anni. Dovendone scegliere due, diciamo la serpentina maradoniana del 2007, in Coppa del Re, contro il Getafe e la prodezza del 2015 nella semifinale d’andata di Champions League contro il Bayern Monaco. 

Zidane, invece, è stato genio e sregolatezza allo stato puro. Grandi giocate e assolute follie: la semi-rovesciata contro il Bayer Leverkusen con cui consegnò la nona coppa dalle grandi orecchie al Real e la testata a Materazzi nella finale dei Mondiali a Berlino. Eppure, al di là dei suoi comportamenti sopra le righe, ricordiamo soprattutto la classe del campione che tanta gioia ci ha regalato in ogni circostanza in cui abbiamo la fortuna di ammirarlo. 

Gli ultimi due miti che intendo citare sono Totti e Del Piero: il primo reso celebre dal cucchiaio a van der Sar nella semifinale degli Europei del 2000 contro l’Olanda e il secondo dal tiro a giro all’incrocio dei pali che è diventato, negli anni, il suo marchio di fabbrica. Sono stati questo e molto altro: il potere del Nord e l’assalto al cielo di Roma, la regolarità del veneto sanguigno trapiantato in Piemonte e le poche vittorie condite, però, da innumerevoli perle del “romano de Roma” che è voluto rimanere nella sua città pur sapendo che al Milan o al Real Madrid avrebbe vinto tutto e conquistato, forse, più di un Pallone d’oro. 

Se il calcio ci manca così tanto, in questi giorni difficili, è perché fa rima con allegria. Comunque la si pensi, anche se si è scettici, quando un bambino prende a calci qualcosa per la strada ha ragione Eduardo Galeano: lì ricomincia la storia del calcio, la sua meraviglia e la sua infinita bellezza. E a ogni campione associamo mentalmente una giocata, un momento della nostra vita, un’emozione, in una sorta di costante effetto madeleine che fa bene all’anima e rischiara l’orizzonte, soprattutto in una fase storica in cui c’è ben poco da ridere e ancora meno ragioni per cui essere ottimisti.

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Calcio. A ogni campione la sua magia ultima modifica: 2020-04-20T19:38:32+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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