Il destino dell’eurozona e il verdetto delle toghe rosse tedesche

FRANCESCO MOROSINI
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Durante il settennato di presidenza della Banca centrale europea (BCE) Mario Draghi ha superato due difficili prove giudiziarie presso la Corte di giustizia europea. Che, infatti, con due sentenze ha riconosciuto la legittimità di due strumenti da lui voluti per evitare la fusione dell’Eurozona. Il primo è lo scudo antispread (le OMT, acronimo di Outright Monetary Transactions), l’arma poi rimasta in arsenale bastandone l’annuncio per placare i mercati. Il secondo è il cosiddetto Quantitative Easing (QE), sostanzialmente la decisione di acquistare debito sovrano emesso dai membri dell’Unione monetaria (UME) sul mercato secondario, così rispettando la forma del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questo, infatti, vieta alla BCE l’acquisto diretto di titoli di debito pubblico emessi “direttamente” – mercato primario – dagli Stati membri.

Ma come era finita la BCE di Draghi davanti alla Corte di giustizia europea (CGE)? È stata la Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht) a ricorrervi dopo essere stata chiamata a giudicare in materia da 35 deputati tedeschi contrari a qualsiasi forma di condivisione del debito su scala europea. La CGE, l’11 dicembre 2018, ha riconosciuto la legittimità all’azione dell’Istituto di Francoforte adottando una formula per la quale l’acquisto di debito sovrano è lecito se

non è selettivo e non soddisfa i bisogni specifici di finanziamento di taluni Stati membri della zona euro.

Via libera dunque, ma condizionata.

Insomma, la CGE ritiene che gli acquisti di debito sovrano (PSPP è l’acronimo inglese) restano nell’ambito del mandato della BCE conferitole dai Trattati europei in quanto, alle date condizionalità, rientrano nel settore della politica monetaria per la quale Francoforte ha, nei confronti degli Stati membri la cui moneta è l’euro, una competenza esclusiva. Inoltre, sempre per la CGE, la BCE, nell’attuare il PSSP, deve rispettare il principio di proporzionalità: cioè essere neutrale negli acquisti ed escludere percorsi privilegiati a favore di qualsivoglia Stato membro dell’UME. A maggio toccherà alla Corte di Karlsruhe porre la parola definitiva sulla questione.

Per il vero la sentenza era attesa per il 24 marzo; però è stata rinviata al 5 maggio a causa dell’insorta emergenza pandemica da Covid-19. Quel giorno la Corte costituzionale della Repubblica Federale Tedesca avrà nelle mani il destino dell’Eurozona. Karlsruhe, naturalmente, non dispone di alcun potere formale sulle azioni della BCE; nondimeno vi può incidere avendo la facoltà di giudicare della costituzionalità della politica monetaria della BCE. E, ovviamente, la Bundesbank, la banca centrale tedesca, ne risulta condizionata.

Andreas Voßkuhle, Präsident des Bundesverfassungsgerichts (presidente della Corte costituzionale)

Sotto questo profilo, se consideriamo i dispositivi delle sentenze della Corte costituzionale tedesca “come decisioni strategiche in quiescenza” (Giuseppe Di Gaspare, Teoria e critica della globalizzazione finanziaria), ossia come potenziali strade politico-giuridiche per tenere aperta a Berlino l’eventualità di un exit dall’Euroarea, il ruolo potenziale di Karlsruhe nella vicenda s’inquadra meglio. Comunque, pur senza andare alle ipotesi più radicali di dissoluzione per via giudiziaria dell’Euroarea, di certo la Corte sostiene con forza che la cessione della sovranità monetaria da parte di Berlino è vincolata al rispetto dei valori statuiti (stabilità) dalla Legge fondamentale tedesca. Anche perché per la Corte medesima l’Unione europea è “solo” una somma di Stati sovrani.

Solo poco tempo fa, quando pareva vi fosse accordo sul progressivo rientro di Francoforte dalla politica monetaria non-convenzionale stabilita dall’ex presidente della BCE Draghi, il giudizio di costituzionalità sulla sua conformità con i principi costituzionali della Repubblica Federale sarebbe potuto apparire meno drammatico di oggi. Sempre comunque un giudizio oggettivamente di peso sul sostegno tedesco alle politiche economiche europee. Tuttavia, ora il quadro entro cui collocare la decisione cambia. Difatti, se la Corte presieduta da Andreas Voßkuhle sentenzierà negativamente sulle passate decisioni di Draghi, queste decisioni a catena ricadranno anche sul Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) contro il Covid-19 della presidente Lagarde.

Un possibile appiglio per negare la costituzionalità dell’azione della BCE questa volta ci sarebbe pure: lo scostamento di Francoforte da quegli stessi paletti che la CGE aveva posto nelle sue sentenze per ammettere la legittimità degli acquisti di debito sovrano: che questi fossero, come detto, non-preferenziali e neutrali rispetto a specifici emittenti. In altre parole, che fosse salvo il principio giuridico statuito dai Trattati della separazione tra politica monetaria e politica fiscale. Il fatto è che oggi la corte potrebbe ritenere che lo scostamento dalla regola, per il vero già derogata da Draghi nel giugno 2017, del capital key (gli acquisti di bond dei Membri dell’UME sono vincolati alla loro partecipazione al capitale della BCE stessa) sia tale, pur ammettendone una dose possibile di flessibilità, da essere lesivo dei principi sulla moneta dell’ordinamento tedesco.

Il punto è che la capital key resta come criterio di principio; però l’applicazione godrà, dato la stato di obiettiva emergenza pandemica, di flessibilità operativa. Tutto dipende dal “quanto” di essa Karlsruhe riconduca entro gli ambiti di discrezionalità tecnica propri all’Istituto di Francoforte senza vedervi per ciò stesso una violazione dei Trattati. Comunque vada, resta che in tutto ciò parte dell’opinione pubblica tedesca vi vede una minaccia ai propri diritti di contribuente.

Che paventa di dover mettere mano pesantemente al portafogli. La paura che temono possa concretizzarsi e vogliono esorcizzare è che, se uno Stato membro dell’UME facesse default, allora i titoli sovrani di questo in BCE perderebbero valore causandole gravi perdite. Francoforte, allora, potrebbe fallire? No; ma potrebbe avere bisogno di una seria ricapitalizzazione da parte dei paesi che ne detengono le quote.

L’opinione pubblica d’oltralpe sa bene che la Repubblica Federale è il primo azionista (18 per cento) della BCE e che, necessariamente, gran parte degli oneri peserebbero su se stessa. E ne ha zero voglia. Cosa possa significare una “banca centrale con capitale negativo” è oggetto di riflessione di Teoria economica; politicamente, però, ora pesa la preoccupazione in materia dell’opinione pubblica tedesca. Che pure di fronte all’ipotesi che tutto ciò si possa tradurre in inflazione non mostra, com’è noto, nessun entusiasmo.

Basta tutto ciò a ipotizzare il risultato dell’ormai prossima sentenza della Corte di Karlsruhe? Probabilmente no. Ad esempio, in termini giuridici, a favore del riconoscimento della legittimità dell’azione della BCE potrebbe esserci il precedente via libera alla politica monetaria non-convenzionale da parte delle sentenze della CGE; ma anche l’accettazione da parte della stessa Corte di Karlsruhe delle OMT.

Poi è difficile che un organo giudiziario, per quanto del peso della Bundesverfassungsgericht, accetti di risolvere, assumendosene la pesante responsabilità, la “questione Eurozona” che è di prima spettanza della politica. D’altronde, pur nell’ambito delle precedenti considerazioni sulle sentenze di Karlsruhe, la Corte non ha mai deciso esplicitamente contro il processo di integrazione europeo. Piuttosto, interpretando così il suo ruolo di custode della costituzione invece che di camera politica, ha sempre preferito condizionare in tale ambito l’azione del governo tedesco.

Resta che Karlsruhe ha dubbi sulle prerogative attribuite alla BCE. Vale, come visto, per la politica monetaria; ma analoghe inquietudini la Corte le dimostra in materia di Unione bancaria europea e delle conseguenti estensioni dei poteri di vigilanza di Francoforte (sentenza 30/07/2019).

A ben vedere la preoccupazione è sempre la stessa: conferimento di competenze al di là dei Trattati e contrarietà a principi indifferibili della Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca. Probabilmente quindi la decisione della Corte seguirà il modello “sentenza si però”: cioè via libera alla BCE ma con paletti.

Naturalmente, sia i problemi di UE e UME permarranno ma, com’è logico, rinviati ad altra sede più propriamente politica. Viceversa, se Karlsruhe decidesse per l’illegittimità dell’azione della BCE allora la Bundesbank dovrebbe staccarsi dal “convoglio BCE-SEBC (Sistema europeo delle Banche centrali) che deraglierebbe e l’Europa politica si troverebbe dentro una tempesta perfetta. Sicuramente a Karlsruhe (detta la “città del diritto tedesca) il 5 maggio le “toghe rosse” decideranno sedute su “poltrone di fuoco”.

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Il destino dell’eurozona e il verdetto delle toghe rosse tedesche ultima modifica: 2020-04-23T20:43:13+02:00 da FRANCESCO MOROSINI
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1 commento

carlo 28 Aprile 2020 a 11:51

quando si cammina nella nebbia sull’orlo del burrone, è bene conservare la lucidità per non scivolare e la forza d’animo per non rinunciare a cercare la salvezza . confusione e scoramento portano subito in giù

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