Non si può morire così e non è retorica. Non si può morire come capitò al povero Andrea fortunato, promettente terzino sinistro della Juventus, stroncato esattamente venticinque anni fa, a soli ventitré anni, da una maledetta leucemia, con un promettente carriera davanti e tutta la vita ancora da vivere. Nato a Salerno, si era fatto strada con umiltà e determinazione, fino a conquistarsi le simpatie di Boniperti e ad approdare in bianconero per raccogliere la pesante eredità di Antonio Cabrini.
Di Fortunato ci portiamo dentro la dolcezza, il talento che riuscì a esprimere solo per un breve periodo, le contestazioni sconsiderate e malvagie che subì quando il male che se l’e portato via cominciò a palesarsi, l’atavica incapacità di una parte della tifoseria di accettare che anche i campioni siano uomini. Fortunato fu contestato perché considerato indolente, quasi involuto, un giocatore svogliato e non meritevole di indossare la maglia bianconera. Poi si scoprirono i reali motivi del suo calo di rendimento e, per fortuna, la tifoseria organizzata juventina ebbe il coraggio e l’umiltà di chiedergli scusa per le maldicenze che gli erano state scagliate contro.

Torna in mente la cerimonia funebre di questo sventurato ragazzo, la voce rotta dall’emozione di Gianluca Vialli, a sua volta costretto a fare i conti, molti anni dopo, con una malattia tremenda dalla quale, per fortuna, sembra essere uscito vittorioso, e lo sconcerto del resto della squadra al cospetto di un evento, la morte di uno sportivo in attività, reso ancora più tragico dalla sua rarità. Un ragazzo, in un’annata felice per la Juventus, conclusasi con la conquista del ventitreesimo scudetto al termine di un lungo testa a testa col Parma. Un ragazzo strappato alla vita da un male incurabile, travolto dalla follia che talvolta l’esistenza sa esprimere, sconfitto ma mai arreso, mai dimenticato, sempre con noi, nella mente e nel cuore, anche se è trascorso ormai un quarto di secolo.
Di Andrea ricordiamo i sogni infranti, le speranze tradite, il progressivo spegnersi, la sofferenza che ancora genera il suo ricordo, l’incredulità di tutti davanti alla sua bara. E ricordiamo anche che c’è stato un prima e un dopo perché, da quel momento in poi, anche la presunta immortalità degli eroi del calcio ha cominciato a sembrarci ciò che è: una fesseria. Abbiamo iniziato a comprendere che non esistono dei, che anche i miti sono mortali e vulnerabili, che tutto, anche le favole, può svanire all’improvviso, lasciandoci senza parole.
La scomparsa di Andrea Fortunato ha costituito un dramma ma, al contempo, uno spartiacque per tutto l’ambiente. Poi abbiamo continuato, in buona misura, come prima ma qualche certezza è venuta meno, qualche sicurezza è stata scalfita, qualche domanda in più siamo stati costretti a porcela. Andrea Fortunato, i suoi ventitré anni in memoria. E un dolore che ancora oggi non siamo stati in grado di metabolizzare perché è stato, e continua a essere, davvero tutto troppo assurdo.

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