Il premier Conte domenica sera ha deluso i due estremi: chi voleva più aperture; chi voleva una ferrea strategia con tamponi, uso delle tecnologie per mappare ed eventualmente isolare i portatori di virus. La “fase 2” si apre dunque nell’incertezza e nella sperimentazione dei suoi effetti, con virologi e tecnici che avrebbero preferito proseguire nelle misure restrittive per tutto il mese di maggio sulla scorta dei buoni risultati raggiunti finora. A questo punto, la strategia non è netta. Si procederà a tentoni. Il che rende molto rischiosa la riapertura delle principali attività economiche e della mobilità, pur regolate, fissate dal prossimo 4 maggio.
Bisogna rischiare e provare perché l’economia e gli italiani non ce la fanno più, è l’obiezione a chi dubita. Molto di quello che accadrà sarà perciò affidato ai comportamenti individuali e collettivi, oltre che alle normative. Il binomio sicurezza/libertà è particolarmente bruciante, oltre che da ripensare con modestia di approccio sapendo che in questa fase “libertà” vuol dire “meno sicurezza”. E forse sarebbe meglio parlare di “diritto alla vita” tout court. Non si scappa.
Dovremo abituarci a convivere perciò con il Covid-19 e con questa contraddizione. E dovremo fare i conti pure con il nuovo rapporto individuo/collettività, dove il secondo polo volente o nolente deve avere il sopravvento sul primo. Anche sui diritti dovremo cambiare ottica. Meglio il vento di ordine e strategia che viene da Berlino rispetto a quello di Washington, dove ci sono state addirittura manifestazioni filo-Trump in nome dell’assoluta libertà individuale?
C’è tuttavia da fare i conti con la diffusa insofferenza verso le norme che da due mesi prevedono il divieto di assembramento, limitazioni alla libertà di movimento, distanziamento sociale, quarantena obbligatoria. Si tratta di misure eccezionali motivate dal Covid-19 e dalla ricerca di un difficile equilibrio tra diritti individuali e di diritto alla salute. Massimo Cacciari, ad esempio, si è scagliato più volte in tv contro le misure di reclusione eventualmente protratte. Pierluigi Battista, sul Corriere del 13 aprile, ha avvertito:
Stiamo vivendo un atroce esperimento di segregazione sociale su vasta scala: anche questo è un inedito di cui avere paura. Ma per governare la paura occorrono anche messaggi chiari, indicazioni di tappe, di scadenze che non hanno il compito di rassicurare ma almeno di identificare un percorso con una meta.

Gli ultrasessantenni si sentono inoltre penalizzati dai troppi consigli di rimanere a casa. L’elenco potrebbe continuare, tralasciando le posizioni alla Vittorio Sgarbi o quelle dei complottisti a oltranza che sottovalutano gli effetti del coronavirus.
Alcune componenti della sinistra e dell’opinione pubblica sono particolarmente sensibili al tema sollevando legittimi problemi di costituzionalità e trasparenza temendo una restrizione permanente delle libertà in nome dell’emergenza sanitaria.
Michelle Bachelet, Alta commissaria delle Nazioni unite per i diritti umani, ha da parte sua esortato ad approvare “soltanto misure proporzionate e temporanee volte a garantire il diritto alla salute a tutte e tutti, incluse le persone più vulnerabili e marginalizzate” per non fare la fine dell’Ungheria di Viktor Orbán o del Brasile di Jair Bolsonaro. Noi siamo per fortuna lontani da questi cattivi esempi. Anzi, il premier Conte e il suo governo si sono dimostrati molto meglio in questa situazione drammatica di quanto si potesse realisticamente attendere.
Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, si è espresso nettamente:
Alcuni temono il protrarsi dei divieti, anche oltre lo stato d’emergenza attuale, quasi che questa fosse una prova generale di repressione globale, ma non è così.
Giusto chiedersi però quando potremo rivendicare la restituzione del libero movimento, se il contagio raggiungerà una certa soglia o solo se arriverà il vaccino? Ogni passo sarà decisivo, sapendo che potrebbero essere prese altre misure come vaccinazioni obbligatorie o come applicazioni da registrare sui telefonini, eventualità quest’ultima particolarmente discussa come se non fossimo già schedati in ogni movimento. Per alcune di queste misure si tratterà di “consigli” e non di obblighi.
In conclusione, servono disciplina individuale e collettiva, accanto a norme efficaci da discutere in parlamento e a un ripensamento culturale di fondo sul rapporto individuo/libertà/diritti. Compiti assai difficili da mettere in pratica.

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