Mentre nelle acque deserte del Bosforo tornano i delfini, in Turchia la lotta contro il Covid-19 è entrata nel vivo. Con 2900 morti e 112.261 casi, il paese è il settimo più colpito al mondo, il primo al di fuori di Europa e Stati Uniti. Secondo il ministro della sanità Fahrettin Koca, i test compiuti quotidianamente sono quasi 40.000, mentre ad oggi sono oltre 33.000 i guariti. Stime, queste, ritenute non totalmente attendibili dall’Associazione dei Medici Turchi (TTB).
L’Associazione sostiene infatti che, data la mancanza di statistiche su base geografica e di spiegazioni da parte del ministro sulle misure adottate nei confronti di quanti sono stati a contatto con persone malate, il numero di casi effettivi possa essere potenzialmente molto superiore. La TTB ha quindi iniziato a raccogliere le proprie stime su base regionale contattando direttamente ospedali e operatori sul territorio.
Nonostante appelli di esperti per imporre una stringente quarantena per ridurre il diffondersi del contagio, il governo è riluttante. La preoccupazione principale è l’economia, già in difficoltà prima della pandemia. Con il diffondersi del virus sono dieci milioni i turchi rimasti senza lavoro, dei quali soltanto due milioni hanno accesso alla cassa integrazione. Per evitare di aggravare la situazione, il governo ha optato per misure parziali, un approccio di dubbia efficacia e oggetto di accese discussioni.

Già da inizio aprile sono stati vietati gli spostamenti interurbani, mentre i voli internazionali sono stati sospesi fino a fine maggio. Un divieto di uscire è stato imposto per minorenni e ultrasessantenni. A queste misure si è aggiunto, a partire dall’11 aprile, un coprifuoco di quarantotto ore ogni fine settimana a partire dalla mezzanotte di sabato (che nel caso del 25-26 aprile ha riguardato anche la festività di giovedì 23 – la Festa dei Bambini e della Sovranità Nazionale – e venerdì 24). Gli unici esenti dal coprifuoco, che riguarda solo le trentuno città principali, dove risiedono i tre quarti della popolazione turca, sono fornai e farmacie di turno, che però devono rifornire i clienti a domicilio.
Proprio il primo fine settimana è stato particolarmente controverso: annunciata a sorpresa alle 22 di venerdì, soltanto a due ore dall’entrata in vigore, la notizia ha causato il panico, facendo scendere in strada migliaia di persone all£affannosa ricerca di alimentari e altri generi di prima necessità prima che i negozi chiudessero. Il ministro dell’interno Süleyman Soylu si è assunto la responsabilità dell’accaduto e ha rassegnato le dimissioni due giorni dopo. Il presidente Recep Tayyip Erdoğan le ha però rifiutate, non volendo rinunciare a uno dei suoi fedelissimi.
Lo stesso Erdoğan, per fare fronte all’epidemia senza chiedere l’aiuto del Fondo monetario internazionale, il 31 marzo ha dato il via ad una raccolta fondi nazionale, donando egli stesso sette mesi del proprio stipendio. Il giorno prima erano state bloccate iniziative analoghe dei sindaci di Istanbul e Ankara, controllate dall’opposizione, che in pochi giorni avevano raccolto donazioni per circa centotrenta milioni di dollari.
A partire dal 14 aprile, cure, medicine e dispositivi per fronteggiare il Covid-19 sono stati resi gratuiti per tutti i malati, inclusi coloro privi di assicurazione sanitaria. Tuttavia a preoccupare di più è la questione delle mascherine, ormai diventate obbligatorie. La vendita di mascherine è vietata dal 9 aprile; ogni cittadino, ricevendo un codice per sms dal ministero della sanità, può ritirare gratuitamente cinque mascherine in farmacia. I messaggi inviati con questo sistema sono però solo qualche decina di migliaia al giorno, chiaramente insufficiente per una popolazione di ottantadue milioni di abitanti.
E mentre il virus rallenta le operazioni militari in Siria e posticipa la leva – obbligatoria in Turchia – per cinquantamila reclute, il suo diffondersi nelle prigioni del paese – almeno tre i morti – ha spinto il parlamento ad approvare un decreto “svuotacarceri”. Circa un terzo dei trecentomila detenuti nelle sovraffollate carceri turche verrà rilasciato provvisoriamente almeno fino a fine maggio. Di questi, circa la metà verrà posta agli arresti domiciliari – con precedenza a detenuti anziani o malati e a detenute con bambini. Dal provvedimento sono però esclusi giornalisti, attivisti e prigionieri politici, che affollano le carceri grazie a draconiane leggi anti-terrorismo.

Nonostante la situazione interna tutt’altro che rosea, la Turchia continua a inviare aiuti ad altri paesi. Recentemente, Regno Unito, Israele e Palestina si sono aggiunti all’elenco dei beneficiari, tra cui figurano anche Italia e Spagna, ma anche alcuni paesi balcanici e la stessa Armenia, paese, quest’ultimo, notoriamente ostile alla Turchia.
L’avvento del mese di Ramadan, cominciato venerdì 24 aprile, quest’anno è stato privo di cerimonie e celebrazioni pubbliche. Secondo Erdoğan, il paese sarà pronto a tornare alla normalità verso la fine di maggio, periodo che coincide anche con la fine del mese sacro. Le speranze di quanti vogliono celebrare in famiglia la fine del digiuno e i successivi giorni di vacanze sembrano però destinate a rimanere disattese.

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