Gli anni “forti” sono quelli della generazione post-sessantottina che ha fatto il liceo in piena contestazione, cercando poi di unire coerenti scelte di vita a impegno politico. Paola Martini prova a raccontare proprio quegli anni in un romanzo dal sapore autobiografico nel quale possono riconoscersi in tanti (Gli anni forti, Manni editore, pp. 190, 14 euro). La generazione citata è stata infatti rincalzo dei protagonisti di prima fila del Sessantotto e continuatrice con alterne fortune dello scossone che ha cambiato l’Italia e il mondo.
La narrazione, di conseguenza, abbraccia un arco di tempo che va dal dopoguerra alla tragedia dell’assassinio di Aldo Moro nel 1978, che segna non solo un prima e un dopo nella vita politica italiana. Ma anche in quella della protagonista che decide di sposarsi e di fare un figlio compiendo l’atto di fiducia verso il futuro e la vita che continua.

Quello che del romanzo resta più impresso a fine lettura è la descrizione particolarmente efficace del periodo di passaggio di fine decennio Sessanta. L’Italia – in queste pagine è descritta quella di provincia, poi di Firenze – era bacchettona, tradizionalista, conservatrice, intimamente reazionaria. Parlare di diritti delle donne, di sessualità, di divorzio, di metodi contraccettivi, di estensione della partecipazione sui luoghi di lavoro e studio era assai scandaloso prima del Sessantotto. Il conflitto genitori-figli era nell’ordine delle cose.
Paola Martini ci racconta con piccoli episodi come gli stili di vita si siano sciolti in quel periodo e poi via via cambiando in meglio. Tra le molte delusioni seguite agli anni Settanta non si può annoverare perciò la mancata modernizzazione dell’Italia che invece passa da paese prevalentemente agricolo a paese industriale (il boom economico) e si laicizza nei comportamenti. Sono gli anni delle prime lavatrici, dei frigoriferi Rex, delle cucine di formica e delle Seicento Fiat.
La stagione delle grandi riforme è quella che alla fine resta come frutto duraturo (sanità, statuto dei lavoratori, divorzio, aborto), nonostante i tentativi di bloccare il vento del rinnovamento. Come ricorda il libro: a iniziare dalle bombe di Piazza Fontana del 1969, quando si tentò di incolpare l’anarchico Mario Valpreda e Pino Pinelli “cadde” da un piano della questura di Milano durante un interrogatorio. Poi, però, il processo di mutamento s’ingarbuglierà definitivamente negli anni di piombo del terrorismo e dell’assassinio di Moro che travolgeranno pure la strategia del “compromesso storico” del Pci di Enrico Berlinguer (il romanzo ne accenna).
L’avvio del racconto di Paola Martini, per tornare all’inizio, prende le mosse dalle vicende di Villa Gina, acquisita dal nonno materno della protagonista nel 1948, situata a San Romano in Provincia di Pisa, e chiamata così in ricordo della moglie Gina, morta a ventisei anni di polmonite. La famiglia appartiene alla media borghesia agiata. Il capofamiglia è farmacista. Lia, la figlia del proprietario e mamma di chi si racconta, diventerà proprietaria della farmacia abbandonando il suo ruolo di casalinga.
È in questa villa che crescono bambini felici accanto a una Tata di nome e di fatto che è inseparabile dalle vicende del nucleo famigliare ed è la vera confidente nei passaggi delicati verso la maturità di una adolescenza che diventerà giorno dopo giorno consapevolezza della realtà esterna a Villa Gina. Contraddizioni e diseguaglianze dominano oltre quel perimetro.

La bambina/protagonista scruta in particolare cosa le accade intorno denotando particolari sensibilità, che poi si accentuano con la scoperta del mondo attraverso la scuola. Ragazzi poveri e ricchi, figli di emigrati dal sud, insegnanti aperti al nuovo e altri meno. La svolta nella testa della protagonista di questo libro avverrà con la lettura di Lettere a una professoressa di Don Milani, testo rivelatore a tanti di noi delle ingiustizie sociali e culturali del pianeta scuola. In seguito, contribuiranno alcuni suoi insegnanti a renderla più consapevole e meno protetta. Vita sentimentale e di relazione faranno il resto.
L’incontro con la politica sarà una naturale conseguenza di questo itinerario di vita uguale a quella di tanti altri. In particolare, con il gruppo del manifesto che attrae la protagonista per le sue critiche all’Unione Sovietica e per l’idea di un rinnovamento politico e ideale della sinistra. Nel romanzo, si citano la sfortunata campagna elettorale del 1972 (quando il manifesto non raggiunse il quorum), un comizio di Luciana Castellina, una sede del gruppo scalcinata e polverosa a Empoli.
Anni “forti”, dunque, vissuti intensamente e che vale la pena – come ha fatto Paola Martini – di essere raccontati con passione per essere letti.

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