Dalla Classe alla classe: la retrotopia di Asor Rosa

MICHELE MEZZA
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Nel 1965 un giovanissimo e intemerato Asor Rosa guidava l’assalto all’irriformabilità del Pci, teorizzando sulla rivista Classe Operaia come solo una rappresentanza diretta del movimento operaio potesse aprire un varco nel dibattito politico della sinistra rivoluzionaria, qualche anno dopo virò verso l’idea del partito unico entrando a Botteghe oscure. Oggi la classe torna un paradigma dell’intellettuale romano che con un articolo su Repubblica celebra l’insostituibilità dell’aula come luogo e linguaggio di trasmissione del sapere. L’autore di Scrittori e Popolo parla della scuola come un insostituibile “gettito dall’alto” di informazioni e saperi che deve materialmente realizzarsi in un contatto fisico fra discenti e docenti. Sembra proprio che a suo parere il format che, tanto per fare un esempio, De Amicis raccontò nel suo libro Cuore che ancora oggi è una pietra miliare di quella straordinaria esperienza di alfabetizzazione nazionale che fu la scuola a cavallo dell’inizio del Novecento, rimanga tutt’ancora un paradigma non perfezionabile.

La comunità fisica – scrive Asor Rosa – è un coefficiente indispensabile di una comunità intellettuale funzionante.

Lì dove fisicità è certezza di verticalità. Infatti colpisce nella riflessione del grande critico letterario come s’intenda la scuola tradizionale, con le sue articolazioni fisiche come garante e gestore del primato della cattedra, del punto di discesa del sapere dall’alto verso il basso. Fuoruscire da quel luogo, sfuggire visivamente al controllo del docente significa, di fatto, violare quella gerarchia e, di conseguenza vanificare ogni sforzo didattico. 

Con la lucidità, e l’autorevolezza, che gli si debbono sempre riconoscere, Asor Rosa concentra in queste poche righe il portato di un dibattito che ormai si rigenera da almeno due secoli: cosa si perde e cosa si conquista con la discontinuità storica.

Angelus Novus è una monoprint del 1920 dell’artista svizzero-tedesco Paul Klee, che utilizza il metodo di trasferimento dell’olio che ha inventato. Ora è nella collezione del Museo di Israele a Gerusalemme

Al centro di questo conflitto fra tradizione e innovazione, potremmo collocare a simbolo esplicativo l’Angelus Novus di Paul Klee, dipinto nel 1920. Attorno a quell’opera hanno ballato filosofi e ideologi della modernità, alternando, a volte persino nella stessa persona, a pochi anni di distanza, visioni completamente contrastanti. Walter Benjamin nella sua tesi di filosofia della storia scriveva a proposito del dipinto:

L’angelo della storia ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi lui vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine, e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso che si è impigliata nelle sue ali ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.

Oggi che siamo ancora in una nuova tempesta, in cui un futuro senza controllo e senza governo ci sembra sempre foriero di minacce e incertezze, torniamo a guardare al passato con un senso di malcelata consolazione. Sono gli anni della “retrotopia”, come scriveva nel suo ultimo, omonimo, saggio (Retrotopia, Tempi nuovi, 2017) Zygmunt Bauman, che già aveva avvertito questa tendenza in cui

abbiamo invertito la rotta e navighiamo a ritroso. Il futuro è finito alla gogna, e il passato è stato spostato tra i crediti, rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui le speranze non sono ancora screditate.

La scuola è la sintesi di queste diffidenze crepuscolari. Lo spazio in cui la trasmissione del sapere, nel secolo della conoscenza, diventa motore sociale, processo di riproduzione delle relazioni e delle gerarchie che determinano i poteri. La materialità dell’istituzione, quella che Asor Rosa celebra come “comunità fisica”, è il presidio di quel capitalismo compassionevole che vuole allontanare da sé ogni minaccia di un futuro di “tempesta” tenendo in ostaggio quel residuo di welfare che ha dovuto negoziare con il movimento del lavoro. La scuola di massa come diritto e come ambiente egualitario, si dice, ma soprattutto come stabilizzatore di un meccanismo che vede, istituzionalmente, già dalle prime classi dell’obbligo configurarsi un incolonnamento sociale. Ai primi posti coloro che per censo e relazioni integrano la frequenza scolastica fin dalle elementari con corsi arricchiti – lingue e informatica- e poi con le esperienze all’estero, attraverso le strutture parascolastiche, e infine con master e Phd, che declassano le banali lauree a pura abilitazione professionale. 

Franti, tanto per tornare al nostro libro Cuore, rimane in fondo alla classe, insieme al muratorino e al figlio del carbonaio, mentre il mite Enrico, con la coscienza di chi si permette persino il suo quarto d’ora interclassista, si avvia ad entrare nelle fila dirigenziali.

L’e-learning allunga le distanze? Certo, se rimane affidato alla comunità fisica. Sicuramente, se non è culturalmente negoziato e contrattato, come tutte le tecnologie, come lo fu la stessa scuola di classe, all’inizio del suo percorso. Ma si tratta di intervenire non nella difesa di un mondo che si vuole ritrovare nella nuova dimensione digitale, ma nella progettazione di una nuova idea di scuola che si deve poter realizzare nella smaterializzazione del sistema didattico.

Come per la banca, o l’informazione, o il diritto, la transizione su piattaforma della didattica non può essere una pura riproposizione a distanza degli stessi meccanismi. Il professor Asor Rosa sa bene come a mutare di senso e di valore sia proprio quella concessione dall’alto del sapere, quella distribuzione discrezionale delle conoscenze. La lezione on line è un palinsesto circolare, dove il professore sempre più tende ad essere impresario e non maestro, organizzatore e non selettore, di flussi di competenze ed esperienze. È fatica, come chiunque l’abbia sperimentata in queste settimane sa. 

Fatica e creatività: l’indice di attenzione e di riconoscimento è proporzionale non alla disciplina quanto alla curiosità. È un valore negoziato, in cui l’istituzione si trova a diventare esercente, editore, architetto di soluzioni e di servizi complessi, di cui il contenuto è pretesto e linguaggio per maturare una pretesa di autorganizzazione.

La scuola degli anni ’80 e ’90 è stata un grande illusionista, che ci parlava di formazione, mentre delegava ad altre agenzie le reali attività di preparazione dei profili socio culturali. Oggi, come in quel mitico ’68 di cui il professor Asor Rosa ricorda qualcosa, viene nuovamente investita da un’ondata di insoddisfazione. E come allora non si chiede la rivoluzione ma il successo. Di tutti. Non c’è per questo nulla da rimpiangere per il vecchio odore di gessetti. Come ci dice Svetlana Boym, docente di letteratura a Harvard, nel suo saggio Il futuro della nostalgia: la nostalgia non è altro che una storia d’amore con la propria fantasia.

E per ognuno di noi il primo amore non si scorda mai.

La scuola, esattamente come fu la fabbrica alla fine del secolo scorso, diventa un ambiente schumpeteriano, in cui si procede per disruption, per discontinuità, per distruzione del passato e costruzione di un futuro sempre più parallelo. Il welfare non si realizza nell’accesso al servizio, ma nella capacità di rendere autonomi i singoli soggetti, gli studenti. Connettività e terminali devono essere una commodity. Ma è sulle intelligenze che li muove che si gioca la partita dell’eguaglianza: i software, i linguaggi, le piattaforme, i data base, gli algoritmi. Sono questi i veri libri di testo. E come si disse in quei mitici anni Sessanta all’avvio della scuola media obbligatoria: non voglio i libri gratis se non mi dici cosa c’è scritto.

È davvero singolare che un maestro di libertà come pure è Asor Rosa non abbia trovato il modo per trasmetterci più che la nostalgia del cancellino, la pretesa di controllo dei sistemi digitali che ci stanno catalogando e ordinando, nelle nostre scuole digitali. Oggi si fa scuola nel conflitto con i sistemi digitali, misurandoci e misurandoli nello scenario di un’ambizione di libertà e di controllo diretto di quei sistemi.

Mentre il valore che prende forma è proprio la circolarità, la trasmissibilità, da punto a punto di contenuti che mutano proprio nel muoversi, nel combinarsi tra loro, diventando sempre diversi e rendendo ognuno autore e non più ricettore. 

Già Platone nel Simposio duemilacinquecento anni fa coglieva, pur nelle sue ritrosie verso le eccentriche modernità della scrittura, quale sarebbe stato il tratto rivoluzionario della trasmissione della cultura:

Sarebbe davvero bello Agatone se la sapienza fosse in grado di scorrere dal più pieno al più vuoto di noi, solo che ci mettessimo in contatto l’un con l’altro, come l’acqua che scorre nelle coppe attraverso un filo di lana, da quella più piena a quella più vuota.

Dalla piena alla vuota. E viceversa. Avrebbe aggiunto oggi.

Dalla Classe alla classe: la retrotopia di Asor Rosa ultima modifica: 2020-05-08T20:06:52+02:00 da MICHELE MEZZA
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