Come cambiano le strategie militari, le priorità, le alleanze, il concetto stesso di “nemico” alla luce della crisi pandemia globale? ytali ne discute con il generale Vincenzo Camporini, già Capo di stato maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali), tra i più autorevoli analisti militari europei.

Generale, vorrei iniziare la nostra conversazione, partendo da una vicenda che ha fatto molto discutere in America e che ha avuto un certo rimbalzo anche qui da noi. Mi riferisco alla vicenda che ha avuto protagonista il capitano della portaerei nucleare, Theodore Roosevelt, Brett Crozier, rimosso dall’incarico all’inizio di aprile dopo che una sua lettera di richiesta d’aiuto, dopo lo scoppio di una grave l’epidemia a bordo della nave, era giunta ai media statunitensi. La sua decisione di cambiare la pianificazione prevista e di dirigere in porto la nave ha salvato molte vite di giovani militari.
La sua rimozione ha suscitato molto clamore. E ha messo a nudo problemi che prima di Covid non erano stati rilevati. Una pandemia come quella innescata da Covid può mettere ko un sistema complesso come quello che governa la navigazione e l’operatività di una portaerei.
Ma lo stesso vale per qualsiasi natante. Per un’intera flotta. La portaerei francese Charles de Gaulle ha registrato un’emergenza analoga a quelle della Roosevelt. I marinai vivono in spazi molto angusti. Anche sui mezzi di trasporto terrestri, aerei, sui carri armati abbiamo lo stesso problema. Nelle caserme. Tutto sembra concepito per ogni tipo di nemico tranne che per un nemico come un virus.
Non crede che quanto avviene metta in evidenza un sistema concepito per fronteggiare ogni tipo di attacco eppure incredibilmente vulnerabile a quello non deciso dall’uomo?
Le forze armate si preparano da decenni, almeno dalla Prima guerra mondiale, a una varietà di minacce, tra cui quelle chimiche, batteriologiche e nucleari. Prepararsi non vuol dire essere invulnerabili ma significa avere tutte quelle cautele e precauzioni necessarie per poter operare in un ambiente contaminato. Ciò detto, è chiaro che una situazione come quella della pandemia Covid-19, per la quale non s’è ancora trovata una cura totalmente efficace, può mettere in difficoltà qualsiasi organizzazione. Per quanto concerne la possibilità di contagio in ambienti ristretti, esistono delle protezioni, come quelle che abbiamo visto in vari filmati sui laboratori dove trattano i virus, ma certo è che si tratta di protezioni che rendono difficoltosi i movimenti e i gesti. Per quanto riguarda le forze armate, ne può derivare una ridotta operatività. Una noterella storica: nel passato, anche remoto, ci sono stati eserciti annientati da malattie o agenti chimici. Ricordo una legione romana annientata dall’uso per cucinare di legno di oleandro.


Europe Defender 20, la maggior esercitazione militare della NATO da venticinque anni a questa parte, è saltata. Covid s’è presentato come il nemico vero da battere, costringendo i vertici atlantici alla rinuncia a manovre basate sull’immaginazione di un nemico che forse non c’è più – la Russia – o che comunque, anch’esso, preso di sorpresa da coronavirus, non è un nemico particolarmente temibile… Questo fatto senza precedenti – la cancellazione di importanti esercitazioni militari – suggerisce forse che l’impiego massiccio di forze terrestri, l’idea stessa di strategie basate su quel modello militare, è destinato a finire nei libri di storia?
No, assolutamente no. I numeri contano ancora. È chiaro che le strategie oggi sono molto più complesse, ma la disponibilità di strumenti non classici, come appunto l’arma cyber o agenti chimici vari, anche da parte di attori non statuali, non può sostituire le capacità militari tradizionali. Che cosa potrebbe accadere se rinunciassimo a forze armate come le conosciamo, e improvvisamente un attore esterno avviasse una operazione d’invasione? Lo potremmo sconfiggere con gli smartphone?
A proposito di Nemico. Oggi continua ad essere a est oppure in Estremo Oriente?
Proviamo a definire il “Nemico”. Le nostre società si reggono su una serie di principi: il sistema democratico; il rispetto dei diritti umani; la primazia della legge. Chiunque metta in discussione questi principi è un avversario e se ha mire espansionistiche diventa un nemico. Da questo punto di vista, alcune culture dominanti in Estremo Oriente e non solo, possono realmente costituire una minaccia; minaccia che si può manifestare in molti modi: con l’aggressività economica e finanziaria, e anche con uno strumento militare classico. È il caso di osservare che da tempo le forze armate cinesi si stanno trasformando in fattori di proiezione di potenza: basti guardare, ad esempio, la poderosa base navale stabilita dalla Cina a Gibuti.

A proposito di nemici, di minacce e di attori non statuali. Dov’è finito il pericolo terrorista? Perché in terroristi non hanno approfittato di questa finestra di vulnerabilità da Covid?
La situazione sanitaria globale riguarda tutti, il che può anche aiutare a spiegare questa apparente riduzione del rischio. Vorrei però far notare che nel mondo le cose continuano ad accadere anche se i nostri media non ne parlano. Ad esempio, le attività terroristiche in Afghanistan nelle ultime settimane si sono moltiplicate e la situazione della sicurezza in India appare peggiorata. Il terrorismo è un nemico dalle cento teste e gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione di chiunque, rende purtroppo possibili sorprese improvvise. Sarebbe quindi un grave errore abbassare la guardia.
Ultimamente, con l’amministrazione Obama e anche con quella attuale, s’è assistito a un ripensamento del modus operandi della forza militare. In sintesi, c’è stato un crescente investimento nella robotica, nei droni, nelle nuove tecnologie, nell’intelligence, e nell’impiego di reparti speciali molto addestrati per operazioni mirate, in particolare nei confronti delle organizzazioni terroristiche. Pensa che quel “modello” si sviluppi ulteriormente? Pensa che anche l’Italia e, in generale, le forze armate dei paesi europei debbano andare in quella direzione?
L’evoluzione dottrinaria americana, nella direzione che lei ha indicato, non è affatto una novità. Le difficoltà riscontrate nelle recenti operazioni come in Afghanistan, hanno indotto a un ripensamento, bene espresso dall’ex segretario alla Difesa americano, Robert Gates, che ebbe a dichiarare che il futuro delle operazioni militari americane sarebbe stato indirizzato alla capacità di strike micidiali, a qualsiasi distanza, a protezione degli interessi nazionali, ma senza schierare imponenti forze di terra. Se vogliamo, è un modo di proteggere i propri interessi pur in presenza di politiche isolazionistiche. È un’evoluzione che ci deve far riflettere non solo sulla strutturazione delle nostre forze ma anche per stimolare una più stretta collaborazione tra i paesi europei, che deve necessariamente andare verso forme federaliste, pena la futura irrilevanza dei nostri paesi nello scenario globale.
La NATO è messa a dura prova dall’attuale amministrazione. Trump ha chiesto ripetutamente un maggiore impegno, finanziario e sul campo, agli alleati. Crede che l’alleanza stia reggendo bene a queste pressioni o vede incrinature?
Le richieste americane di un maggiore impegno dei paesi europei risalgono agli anni Sessanta del secolo scorso: le polemiche sul concetto di burden sharing non sono quindi una novità, semmai lo sono i toni di Trump. È in ogni caso un dato di fatto che i paesi europei hanno costruito il proprio benessere confidando sull’ombrello militare americano.
Parallelamente, la crisi dell’Europa, dovesse malauguratamente aggravarsi, potrebbe avere come riflesso anche una crisi dell’alleanza atlantica? Potrebbe anche far evaporare ogni idea di difesa comune europea?
Se questo dovesse accadere, io credo che sarebbe a rischio il nostro modello di civiltà, che è certamente perfettibile ma di cui non riesco ad immaginare uno migliore. Saremmo veramente esposti a modelli culturali difficilmente condivisibili, in cui il valore assoluto dell’individuo verrebbe schiacciato da ideologie totalitarie.
Nei giorni scorsi, la portaerei Cavour, fiore all’occhiello della Marina militare italiana, ha lasciato la rada del mar Piccolo di Taranto dopo una lunga sosta di manutenzioni all’Arsenale militare durata oltre un anno, per tornare al suo posto di ormeggio nella stazione navale nel Mar Grande. La portaerei sarà presto pronta per affrontare un periodo di addestramento propedeutico alla successiva partenza per gli Stati Uniti, dove condurrà alcuni test con gli F-35B a bordo. Le immagini della Cavour in uscita dal mar Piccolo marcavano un forte contrasto con l’emergenza che vive il paese. Quello degli F-35 è un tema molto sensibile, con diversi aspetti, sia di merito – l’effettiva funzionalità degli stessi e la loro utilità – sia riguardanti i costi in un periodo terribilmente difficile per l’economia nazionale. Qual è il suo punto di vista?
Fermo restando che i costi di questo sistema sono già ora inferiori a quelli di sistemi precedenti, è doveroso osservare che le spese militari sono una forma di assicurazione che non ci fa piacere pagare ma che quando succede un incidente evita conseguenze drammatiche. Il problema diventa comunque politico, perché si tratta di definire priorità e di identificare il rapporto ottimale, tra le varie forme di spesa, che consenta di minimizzare il rischio globale. Vorrei anche osservare che lo stesso discorso vale per il Servizio sanitario: scopriamo ora che abbiamo bisogno di capacità e strutture che sarebbero largamente ridondanti in tempi normali; infatti, negli anni passati proprio perché ci sentivamo al sicuro sono stati effettuati tagli pesanti sia dal punto di vista delle strutture sia degli organici, che ora rimpiangiamo amaramente.
I militari hanno avuto e hanno una parte molto importante nel fronteggiare l’emergenza nazionale provocata dal coronavirus, in diversi ambiti – sanità, logistica, sostegno alle forze dell’ordine. Che cosa lascia quest’esperienza nelle nostre forze armate?
Lascia la piena consapevolezza che il paese ha a disposizione una organizzazione e delle capacità su cui può contare con immediatezza, in qualsiasi circostanza. È uno strumento sicuramente perfettibile, che bisogna curare con attenzione, in modo che quando serve possa rispondere con piena efficacia.
Copertina: due marinai della portaerei statunitense USS Theodore Roosevelt, US Navy credit

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