Transatlantico chiuso ai cronisti. Opportunità o tragedia?

Malumore tra i giornalisti parlamentari che protestano. Un’occasione per ripensare l’informazione politica.
ALDO GARZIA
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Il Transatlantico di Montecitorio – il mitico “Corridoio dei passi perduti” – chiude pro tempore. Le esigenze sanitarie da Covid-19 impongono di allargare i lavori d’Aula in quel settore attiguo. L’Associazione stampa parlamentare (Asp) protesa per il limite imposto ai cronisti che non potranno parlottare gomito a gomito con i deputati e scambiare opinioni con loro. Il Palazzo reagisce con insofferenza al comunicato dell’Asp, ma la presidenza della Camera – pur interloquendo con i firmatari – preferisce non enfatizzare la questione. Del resto, i rapporti stampa-Palazzo sono da sempre regolati dal bon ton. Filippo Ceccarelli, su la Repubblica di lunedì scorso, coglie l’occasione per tracciare una cronaca dolceamara dei periodi d’oro del Transatlantico. Ognuno dei cronisti più attempati potrebbe aggiungere i propri ricordi. 

Per esempio, le passeggiate fatte sottobraccio a Ciriaco De Mita in cui, con stile Magna Grecia, si volava “alto” o quelle con Giorgio La Malfa o Claudio Signorile. Poi c’erano i divani d’abitudine: quello di Ferdinando Di Giulio e Alessandro Natta, esponenti di spicco del Pci, a cui accedeva Giorgio Frasca Polara, il decano dell’Unità a Montecitorio. Poi quello del cronista Vittorio Orefice, vicino alla Buvette, che con la sua immancabile farfallina al collo confezionava la “velina” del giorno e poi l’apparizione al Tg1. Poi c’era Pasquale Laurito, oggi plurinovantenne (93 anni dopodomani, auguri!) ancora alla Camera, che lavorava per l’Ansa. Insomma, il Transatlantico era il cuore pulsante dell’attività di politici e giornalisti. 

La buvette della Camera

Quando ci ho messo per la prima volta piede nel 1976, era quasi un luogo sacro: c’erano Pietro Nenni, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta, Aldo Moro, Sandro Pertini, Pietro Ingrao, Oscar Luigi Scalfaro, Nilde Iotti, Marco Pannella, Lucio Magri assieme ad altri autorevoli esponenti della Prima repubblica. Ricordo che noi giovani ci muovevamo con molta circospezione in quello spazio. Davamo del “lei” a tutti e non era possibile avere particolare familiarità con i politici. Altri tempi, forse anche un po’ esagerati per la “distanza sociale” tra noi e loro che però serviva a dare autorevolezza alla politica per cui non eravamo – come capita adesso – tutti “compagni di Palazzo”. Ognuno rispettava la propria funzione e la propria autonomia.

Ricordo pure con nostalgia le scorribande di Guido Quaranta, quando con mille stratagemmi carpiva i segreti della politica con il fare da segugio alla 007. O quando Augusto Minzolini, allievo prediletto di Quaranta, riusciva a infilarsi con alcuni stratagemmi in riunioni quasi segrete o ad apprendere notizie finanche origliando nei bagni di Montecitorio. Il cronista parlamentare era in quegli anni un genere giornalistico particolare: doveva inventarsi un modo di farlo per essere originale evitando articoli con la fotocopiatrice o noiosi “pastoni”, che qualche volta erano pur necessari per fare il punto della giornata. Giampaolo Pansa era un maestro per invenzioni del linguaggio.

Erano i tempi in cui la professione giornalistica era ancora prevalentemente maschile e nelle redazioni le donne erano per lo più nella sezione spettacoli e rubriche. La scena cambia con l’arrivo a Montecitorio prima di colleghe come Miriam Mafai, poi come Sandra Bonsanti, Patrizia Rettori, Barbara Palombelli, Paola Sacchi, Maria Teresa Meli, solo per citare alcune di quelle che sarebbero diventate tante firme, influendo positivamente sul modo di raccontare e analizzare la politica.

Attualmente, c’è troppa commistione di generi. Cronisti e parlamentari sembrano appartenere alla stessa casta. Quasi tutti si danno del “tu”, vanno a cena o alle feste insieme. Il che influisce sui reciproci rapporti, che finiscono per essere fin troppo camerateschi. Non c’è reciproco distacco, che dovrebbe essere il sale del giornalismo nell’Italia dove la politica pervade tutto e lottizza. La ricerca delle notizie dovrebbe accompagnarsi con austerità di comportamenti e stile di lavoro.

Con la chiusura pro tempore del Corridoio dei passi perduti siamo di fronte a un’opportunità. E se la distanza sociale che oggi preclude il Transatlantico ai cronisti diventasse l’occasione per ripensare un po’ al proprio mestiere e ai politici per ricercare meno l’effetto media a tutti i costi? L’altra medaglia del drammatico Covid-19 è l’opportunità che ci offre di ripensare abitudini e stili di lavoro consolidati. Pure nel giornalismo.


Copertina: Il Transatlantico, foto di Umberto Battaglia, Camera dei deputati

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Transatlantico chiuso ai cronisti. Opportunità o tragedia? ultima modifica: 2020-05-13T17:06:14+02:00 da ALDO GARZIA
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