Da Porci con le ali all’azzurro berlusconiano passando per il Vaticano

In ricordo di Giulio Savelli, l’editore sessantottino che fu eletto deputato nelle file della prima Forza Italia.
ALDO GARZIA
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Nei giorni scorsi ci ha lasciato Giulio Savelli. Aveva 78 anni. Nel suo curriculum di ex editore, è stato anche tra i fondatori di Radio Città Futura a Roma nel 1975. Fu una delle sue attività iniziali con la famosa casa editrice Samonà e Savelli. 

Nel collettivo iniziale della radio c’eravamo: Renzo Rossellini, Paola Ottaviani, Vincenzo Vita, Marina Pivetta, Sandro Provvisionato, Carlo Rivolta, Furio Moretti e io (noi ultimi due in rappresentanza del manifesto) insieme ad altri. Fu tra le primissime esperienze di “radio libera” in Italia. Ricordo quando montammo emozionati l’antenna sulla terrazza di un palazzo a Piazza Vittorio – c’era pure Giulio – con la complicità benevola di una compagna di Avanguardia operaia. Le riunioni di redazione e le trasmissioni si svolgevano in via Buonarroti. Eravamo alle prime armi e seguivamo con scrupolo le indicazioni di Carlo Rivolta (sarebbe andato a Repubblica nel 1976) e di Antonio Padellaro (all’epoca al Corriere della sera) che ci davano istruzioni rudimentali di giornalismo.

Giulio ci veniva a trovare spesso. Elegante, sempre propositivo, incuriosito dal nuovo linguaggio che l’uso della radio ci chiamava a fare, autorevole per i successi della sua casa editrice, di simpatie trotzkiste. Una volta mi spiegò che lui poteva concedersi il lusso di fare l’editore della “nuova sinistra” grazie all’industria di famiglia che fabbricava immagini sacre e aveva sede in Vaticano. Era un vezzo di cui di tanto in tanto si vantava.

Ma la sua autorevolezza tra noi gli derivava dal grande successo del libro La strage di Stato (1970) sulle bombe di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, fondamentale per la causa della liberazione dal carcere di Pietro Valpreda, poi da Porci con le ali (1976), scritto dietro pseudonimo da Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice. Inoltre, c’erano nelle sue edizioni la rivista musicale Muzak, la collana di volumi Il pane e le rose diretta da Dino Audino, oltre a tanti libri di una sinistra eterodossa e curiosa delle novità su cui ci siamo formati in quegli anni. Savelli non era certo un settario o un massimalista. Anzi. A differenza dell’inavvicinabile e pur fondamentale casa editrice Feltrinelli, l’editore Savelli era uno di noi. Era un vicino di banco nelle riunioni politiche e di redazione, con lui si discuteva e qualche volta si litigava.

Dopo il movimento del ’77 e le vicende del rapimento e assassinio di Aldo Moro nel 1978, i rapporti con Savelli si sono diradati. L’omonima casa editrice chiuse i battenti nel 1982. Con sorpresa, l’ho rincontrato a Montecitorio nel 1996. Era stato eletto deputato con Forza Italia. Ci siamo abbracciati nella buvette come vecchi amici. Lui si sentì in obbligo di spiegarmi che era diventato “liberal” e che provava una grande ammirazione per Silvio Berlusconi, possibile protagonista della rivoluzione liberale che l’Italia non aveva mai avuto. In Transatlantico faceva spesso coppia con Lucio Coletti, ex filosofo di punta della sinistra marxista, eletto in Forza Italia con la stessa illusione di Giulio. Nel 1997, Savelli passò deluso all’Udeur di Francesco Cossiga e poi nel 1999 al Ccd di Pier Ferdinando Casini. Nel 2001, ha abbandonato definitivamente la politica. 

Giulio Savelli, in definitiva, è stato un ribelle anticonformista in tutte le proprie scelte, di destra e di sinistra. Il suo ultimo saggio s’intitola sconsolatamente Il dolore di essere italiani, dove si legge tra l’altro:

Un aspetto caratteristico dell’identità degli italiani consiste nell’avere le proprie fondamenta in una comunità ristretta, di misura variabile ma comunque più piccola di quella nazionale. Si è settentrionali o meridionali, romani o non-romani, ma anche sardi, veneti, abruzzesi, e soprattutto si è milanesi, napoletani, torinesi, palermitani, si è fiorentini oppure pisani, di quel certo quartiere della città, di quel paesetto, di quella particolare frazione, si è membri di una corporazione professionale, di un’azienda, di una comunità di amici e di una famiglia, si è infine individui chiusi nel proprio perimetro più ristretto, piccolo piccolo come il borghese di Cerami e Comencini. Non a caso interpretato da Alberto Sordi, maschera italiana per eccellenza. 

Copertina: @gregorycorso

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Da Porci con le ali all’azzurro berlusconiano passando per il Vaticano ultima modifica: 2020-05-15T17:47:26+02:00 da ALDO GARZIA
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