Ansa. Uno sciopero che non riguarda solo il suo destino

Il quadro del mondo dell’informazione e dell’editoria in genere di questi tempi si fa sempre più fosco. Nel comparto delle agenzie di stampa c’è una crisi nella crisi di cui la vicenda della principale agenzia nazionale è emblematica.
ALBERTO FERRIGOLO
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Il coronavirus rischia di mietere altre trecento vittime. Sono i giornalisti della storica Agenzia di stampa Ansa scesi improvvisamente in sciopero venerdì 15 maggio per 48 ore consecutive (più altri dieci giorni da gestire). La protesta riguarda la decisione dell’editore di voler mettere in cassaintegrazione l’intera redazione con una turnazione che riguarda ciascuno per quattro giorni al mese. Il motivo? Che la pandemia, che ha creato il blocco dei consumi, quindi della pubblicità mettendo in crisi inserzionisti e operatori commerciali, ha procurato la disdetta di una serie di contratti commerciali con l’Agenzia, una perdita di clienti che ha costretto l’Ansa a ridimensionare il proprio raggio d’azione. 

Per l’Agenzia si tratta della terza ondata di crisi, tra prepensionamenti e accordi di solidarietà interna, che si succede ormai da dieci anni. Una lenta ma inesorabile ristrutturazione che ha portato a una progressiva riduzione di organico e di servizi, a cominciare dalla rete degli uffici di corrispondenza, in particolare dall’estero, dove i corrispondenti sono quasi degli interlocutori di carattere diplomatico, ma anche in Italia nelle sedi regionali. 

Cooperativa editoriale con 49 testate che la costituiscono e alimentano, l’Ansa – come tutte le altre agenzie di stampa (Agi, AdnKronos, AskaNews, Dire, Italpress, 9colonne) usufruiscono di una serie di convenzioni per i servizi resi con Palazzo Chigi, la Farnesina, le Regioni e altre amministrazioni e apparati dello Stato che consentono loro di ammortizzare in parte i costi per servizi resi sulla base di una legge del 1954, quando l’Ansa – già Agenzia Stefani, eredità del fascismo – operava in regime di assoluto monopolio (la seconda Agenzia, l’Agi, nasce nel 1950). Nel tempo gli importi complessivi delle convenzioni si sono ridotti e sono stati suddivisi anche tra i tanti concorrenti che si sono aggiunti nel corso degli anni e, con l’allargamento dei confini e la nascita dell’Unione Europea, per la fornitura dei servizi richiesti di fatto le Agenzie di stampa sono state selezionate mediante gare europee. Le convenzioni, in quanto tali, sono sempre state materia di equivoco e polemica perché nel corso degli anni Cinquanta, e anche successivamente, il potere esecutivo le ha ritenute una ragione sufficiente per considerare e far considerare l’Agenzia come un organo ufficiale o, quantomeno, “ufficioso”. Ma, in ogni caso, sospetta di fungere da ufficio stampa del governo.

A queste osservazioni ha sempre ribattuto con una certa puntigliosità lo storico direttore dell’Ansa, Sergio Lepri, cent’anni da poco compiuti, che nel suo libro Dentro le notizie (Le Monnier, 1997), ha sempre precisato che i fondi dello Stato non si presentano come contributi o sovvenzioni, ma come pagamenti di effettivi servizi informativi resi dall’agenzia soprattutto all’estero; che la struttura sociale di cooperativa fra giornali di differente collocazione politica impedisce, anche volendolo, di farsi portavoce del governo; e, da ultimo, che i redattori dei giornali, e fra essi anche i giornali di opposizione, fungono in permanenza da giudici severi, come fossero mille occhi diversi a fare da controllori. Il patto integrativo aziendale, inoltre, porta con sé un preambolo in cui è detto che direzione generale, direzione giornalistica e comitato di redazione

sono solidamente impegnati a salvaguardare l’indipendenza dell’Ansa e l’obiettività e l’imparzialità del suo notiziario come fondamento della sua autorità e del suo prestigio e come insostituibile garanzia di quella completezza dell’informazione che è presupposto del pluralismo della stampa e della dialettica democratica. 

A tale proposito lo stesso Cdr dell’Agenzia, pur riconoscendo che

quello delle convenzioni è un tema scottante, nella misura in cui esso può condizionare i contenuti delle notizie e la completezza dell’informazione,

ha tuttavia anche ricordato il significato che la nascita dell’agenzia ha avuto: ovvero, quello della riappropriazione da parte dei quotidiani italiani della funzione di informazione primaria, a garanzia dell’indipendenza dell’agenzia.

Telescrivente Olivetti

Ma tornando all’attualità,

le misure annunciate sembrano sproporzionate rispetto alle pur innegabili criticità create dalla crisi degli ultimi due mesi,

ha commentato a caldo il segretario della Federazione della Stampa Raffaele Lorusso, mentre l’assemblea dei giornalisti denuncia che

ancora una volta si intende raggiungere il pareggio dei conti scaricando i costi sui redattori e ancor peggio sui collaboratori e sui precari dell’agenzia.

L’azienda riconsideri le proprie decisioni,

ha sollecitato il sottosegretario con delega all’Editoria Andrea Martella.

Il quadro del mondo dell’informazione e dell’editoria in genere di questi tempi si fa sempre più fosco. Sono di pochi giorni fa i dati assai negativi sull’andamento delle vendite dei giornali. E quelli ancor più drammatici riguardano il crollo della pubblicità. Lo spazio dell’informazione si restringe sempre di più. E appare all’orizzonte, inevitabile, un ridimensionamento dei mezzi e anche una progressiva quanto naturale selezione del numero degli stessi: testate, donne e uomini, mezzi.

A pagarne le conseguenze per primi sono i giornalisti, come si vede anche nel caso ultimo dell’Ansa. O come in quello della Gazzetta del Mezzogiorno, per la quale è stato dichiarato il fallimento. Seguirà poi a breve anche il caso la Repubblica per la quale si parla di una ristrutturazione che coinvolge 150 giornalisti in varie forme. Negli ultimi cinque anni sono stati oltre tremila i posti di lavoro andati perduti complessivamente nella categoria dei giornalisti. Tanto che, in queste condizioni, c’è da chiedersi se vi sia ancora un mercato editoriale degno di questo nome, insidiato com’è anche dalla concorrenza sfrenata dei nuovi media, dalla televisione a internet ai social network e alle tante forme di digitalizzazione della diffusione delle informazioni e delle news.

In questo campo l’Ansa è sempre stata un modello professionale in continua evoluzione anche sul piano tecnologico, con investimenti di rilievo per stare al passo con il progredire del sistema nel suo complesso, per permettere alla notizia di battere le concorrenza e di viaggiare alla velocità della luce per poter irradiare il proprio messaggio, le sue informazioni. La principale agenzia di stampa nazionale è anche l’unica tra quelle presenti che lavori a livello internazionale con una sua struttura diffusa e radicata nei singoli stati, anche se via via ridimensionata negli anni. Tanto che, al di là del meccanismo delle convenzioni statali, che sono una sua non secondaria fonte di sostentamento, l’Ansa dovrebbe oggi avere o poter vedere – a propria salvaguardia – nel suo capitale azionario anche una partecipazione pubblica, magari attraverso la ricca Cassa Depositi e Prestiti, senza per questo dover abdicare alla propria autonomia e imparzialità informativa come di fatto avvenuto nella sua lunga storia. Si tratta di una condizione o di un contributo, nella logica dello Statuto dell’impresa e anche dell’industria editoriale, al pluralismo che di fatto esula dalle logiche vere e proprie di mercato e delle limitazioni alla libertà d’impresa, da mettere però in relazione alla peculiarità del prodotto e all’esistenza proprie di un intervento dello Stato stesso.

E con le altre tante agenzie presenti nel settore, come fare? Potrebbe continuare il meccanismo delle convenzioni ad hoc, a seconda degli obiettivi e dei servizi forniti dentro un quadro mercantile interno che via via si fa però anche sempre più ristretto, asfittico ma al tempo stesso fortemente competitivo e dove – ormai è chiaro – non sembra davvero essercene per tutti. In questo quadro, però, la funzione dell’Ansa andrebbe salvaguardata, come un caso a sé, essendo l’Agenzia delle agenzie. Specifica, peculiare e centrale nel sistema dell’informazione. 

Ma come si fa, in generale, a uscire da questa trincea nella quale siamo precipitati? Probabilmente ciascun medium dovrà trovare un proprio profilo, una propria vocazione, approfondire una propria tematica e inseguire una qualche specializzazione per non perire. E diventare nel proprio settore un unicum che ne giustifichi anche la ragion d’essere, collocandosi così in una particolare e ben precisa fetta di mercato. Più specialismo e meno generalismo. Più tematiche e pubblici settoriali, meno genericità. Non può che esser questa la scommessa sul futuro per non dover soccombere. Individualmente e tutti insieme.

Copertina: da Site.it


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Ansa. Uno sciopero che non riguarda solo il suo destino ultima modifica: 2020-05-17T18:43:26+02:00 da ALBERTO FERRIGOLO
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