D’improvviso quella nube nera mentre qualcuno mangia o apre una finestra

FRANCO MIRACCO
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La fotografia del transito velenoso della nuvola nera su Venezia, “pescata” in cielo da Andrea Merola quando e dove un fotografo sente di doverci essere (oltretutto l’istinto canta meglio se dispone di un grande mestiere), è una bella fotografia e lo è perché è una fotografia che parla, che ci dice più cose. Per esempio, quelle che ha sentito di dover scrivere Gianfranco Bettin:

Stavo prendendo un caffè guardando dalla finestra verso Porto Marghera (…) quando una nera nube si è alzata d’improvviso, inseguita da lampi e lingue di fuoco alte decine di metri, impossessandosi del cielo sopra Venezia.

Come a dire, quel che c’era da vedere Merola lo ha visto e quello che c’era da raccontare Bettin lo ha raccontato, giustamente limitandosi a questioni che a lui interessano da sempre:

La vicenda è piuttosto tipica di un’area in cui il vuoto di una strategia industriale aperto dalla politica, soprattutto a livello nazionale, lascia in abbandono, in una transizione infinita e stanca, comparti produttivi che dovrebbero essere chiusi… o rigenerati.

In realtà, molte le generazioni che tra Venezia e Roma si sono incagliate nel nulla su Porto Marghera e le responsabilità vanno suddivise tra ottusità e miopie dovute a responsabilità politiche (e sindacali?) a livello nazionale e l’imprigionamento del necessario, possibile, indispensabile cambio nell’utilizzo e nel destino dell’enorme area di Porto Marghera attuato per decenni dai politici veneziani. Politici con ruoli e incarichi importanti, per davvero decisivi se fossero stati ricoperti in direzione del “cambio” e rimasti invece “monarchicamente” al potere, decennio dopo decennio, venezievolmente pericolosi per il futuro di Venezia, che è il presente che ci è precipitato addosso e di cui possiamo dire con Auden “nessun contento, ognuno spento”.

È molto sbagliato dire genericamente i politici, infatti è più corretto dire quei politici, quelli cioè che hanno amministrato la città, compreso Porto Marghera, sostanzialmente con il consenso di ciò che un tempo potevi chiamare il popolo della sinistra. Comunque, un insieme politico da distinguere però da coloro che rappresentarono eccezioni positive, validissime da più punti di vista, ma, oimè, inascoltate da un ceto politico senza ambizione e senza passione, un male questo che lo ha spinto a non volere, anzi, a negare e vietare che si potesse avere l’obiettivo di una rifondazione ambientale e culturale e diversamente produttiva di Porto Marghera.

D’altra parte se siamo al tempo dei sindaci del carnevale, degli unti dal dio di coloro che per due mesi di fermo hanno pianto e che fra qualche mese guadagneranno di nuovo a milionate, magari urlando per avere gli aiuti di Stato e dell’Europa, ci sarà pure una ragione pregressa di tanta disgrazia. O no? Allontanandoci dai timori di un virus che per ordinanza non può “più farci del male”, lasciando perdere la rabbia di cui prima, ma non l’attesa per i due feriti di Porto Marghera che devono farcela assolutamente, la fotografia di Merola ci ha consegnato un’icona di una drammaticità visiva unica e senza precedenti nella storia delle immagini del bacino di San Marco, della Riva, del Palazzo, dei Campanili, delle acque, eccetera. Dipinti che hanno fatto la storia del cosiddetto vedutismo o del paesaggio urbano di Venezia. Canaletto? Ma a Canaletto, tranne che in pochissimi e intriganti episodi, nulla interessa di movimenti atmosferici, di cieli per imprese dello spirito e dell’immaginazione.

Canaletto, Bacino di San Marco, 1738/40

Nelle sue opere i cieli non sono attraversati dall’assillo dei sogni, non vi appaiono microclimi dell’animo, né vaporosità sentimentali e sulle sue città, Venezia e Londra, non presiedono i sensi ma la mente. Giambattista Tiepolo invece, che va a spasso per l’intero creato con macchinazioni inarrivabili, fece dire ad Adriano Mariuz che in Tiepolo tutto, dai quattro elementi ai cieli, dalle stagioni alle selve con ninfe e satiri, dai nuovi continenti da poco scoperti ai continenti di monumentalità nuvolose, proprio tutto insomma partecipa di “uno smisurato divertimento pittorico”. E poi a Tiepolo di Venezia interessava soltanto la storia della pittura prima di lui, sapendo benissimo a chi si sarebbe rivolto per avere qualche immagine della sua città.

Giovan Battista Tiepolo, Bellerofonte e Pegaso, 1773

A Canaletto, non ad altri. E lo si capisce osservando alcuni suoi disegni acquarellati dove si “limita” ad annotare la semplicità di scene fatte solo di muri, tetti e camini di case di campagna. Cieli completamente vuoti, senza nuvole. Bisogna andare al Cinquecento se si vuol trovare un cielo minaccioso sì ma fino ad un certo momento, un cielo in ogni caso sempre influente sul destino delle terre e dei mari, sulle minacce della natura, sulla fragilità di un creato che Dio e i suoi Santi sono chiamati dalla fede dei credenti a proteggere, a salvare.

Lorenzo Lotto, San Nicola in gloria tra San Giovanni Battista e Santa Lucia, 1527

È dell’immenso capolavoro di Lorenzo Lotto che si sta dicendo, della pala dipinta per la Chiesa dei Carmini. È lì che appare, sulla destra, al di sotto dei Santi nella gloria di San Nicola, un turbine scuro che rappresenta ciò che realmente vuole essere: una nera tempesta. Tornando a Auden, che scrisse una tra le sue poesie più belle dopo aver visto la “Caduta di Icaro” dipinta da Bruegel, i suoi versi possono valere anche per il nostro Lotto:

Quanto alla sofferenza non si sbagliavano mai, i Vecchi Maestri: come intendevano bene la sua posizione umana; come essa abbia luogo mentre qualcuno mangia o apre una finestra o semplicemente passeggia per proprio conto.

Precisamente quello che la fotografia di Merola ci dirà ogni volta che vedremo quel cielo terribile, nel nero apocalittico di una sofferenza che dobbiamo fare l’impossibile affinché sia evitata a Venezia e a ogni altro luogo del pianeta.

Pieter Bruegel il Vecchio, Caduta di Icaro, 1558

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D’improvviso quella nube nera mentre qualcuno mangia o apre una finestra ultima modifica: 2020-05-17T13:25:36+02:00 da FRANCO MIRACCO
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