Sono trascorsi centodieci anni dalla prima partita della Nazionale. Era il 15 maggio 1910 e l’avversaria, neanche a farlo apposta, era la Francia, sconfitta per 6 a 2 all’Arena Civica di Milano. Centodieci anni, quattro titoli mondiali, un Europeo, tante vittorie e alcune amare sconfitte, due mondiali saltati per colpe proprie e un terzo, il primo della storia, perché la trasferta in Uruguay, nel 1930, non era propriamente agevole, lunghi periodi d’assenza dall’Olimpo del calcio e portentosi ritorni grazie alla forza dei suoi campioni: al di là della nostra tendenza a svalutare tutto ciò che ha a che fare col nostro paese, è un bilancio alquanto significativo.

Non avrebbe senso star qui a elencare i campioni che hanno vestito la maglia azzurra: ogni epoca ha avuto i suoi e diciamo che questa è una delle stagioni più avare dal punto di vista del talento, anche se qualche fiore sta tornando a sbocciare e la saggia guida di Roberto Mancini potrebbe donarci soddisfazioni insperate.
Quando pensiamo all’Italia, ci viene in mente un romanzo popolare, un grande racconto collettivo in cui l’epica e la vita quotidiana si fondono, con partite indimenticabili come quella contro la Germania del ’70 e quella col Brasile dell’82, per non parlare poi dell’impresa titanica del 2006, nel bel mezzo dello scandalo di Calciopoli e con una Nazionale imperniata sul blocco dell’ultracoinvolta Juventus.
Eppure, e questa è una costante della compagine azzurra, è proprio quando tutto ci è contro che i giocatori più insospettabili si esaltano all’improvviso, regalandoci emozioni indescrivibili. Basti pensare all’ostinazione di Bearzot nel puntare su Paolo Rossi, reduce da una squalifica di due anni per via del Calcioscommesse. Basti pensare al carneade Grosso che, in Germania, visse un Mondiale da assoluto protagonista. Basti pensare alle notti magiche di Totò Schillaci, al Vieri di Francia ’98, alla mitica staffetta fra Mazzola e Rivera sulle alture messicane, a uno dei pochissimi gol messi a segno in carriera da Tarcisio Burgnich, proprio nei supplementari contro la Germania Ovest, e a mille altri momenti d’incanto che hanno segnato intere generazioni e scandito il ritmo della nostra esistenza.

Se è rimasto ancora qualcosa di autentico, in questo calcio troppo ricco e troppo legato a sponsor e capricci di divi e televisioni varie, quel momento è senz’altro la Nazionale, quando la maglia azzurra compie il miracolo che nessun altro riesce a compiere in questo paese sfibrato, unendo la destra e la sinistra, il Nord e il Sud, tutti stretti in un unico abbraccio e avvolti in un’unica bandiera, per poi tornare a litigare poche ore dopo su tutto.
Del resto, come sosteneva Aldo Moro, l’Italia è una nazione “dalla passionalità intensa e dalle istituzioni fragili”. Tuttavia, quando il pallone inizia a rotolare, i sogni si accendono. Baggio tira tutti giù dall’aereo in una rovente estate del ’94, Grosso e Del Piero giocano alla Germania, che aveva già pronta la festa in casa, il più mancino dei tiri e sempre Grosso ha la meglio sull’insopportabile Barthez, dopo che l’orfano Materazzi aveva dedicato a sua madre un gol che mai avrebbe immaginato di segnare. Quando accade tutto questo, si può solo assistere in silenzio alla gioia e all’entusiasmo spontaneo che dilaga ovunque.
Poi, come detto, la notte finisce e si torna alla normalità, agli scontri, agli odi, ai rancori ma, se ancora ci batte il cuore per qualcosa, uno dei segreti va cercato in quelle notti d’estate, in quegli attimi di pura adrenalina, quando non ci sono ragionamenti, non ci sono calcoli, non c’è nulla di razionale, com’è giusto che sia quando si è in preda a un’estasi irrazionale e anche un po’ folle.

Non sappiamo quando potremo tornare ad assistere a una partita della nostra Italia, come sarà il futuro, quali conseguenze avrà la tragedia che stiamo vivendo sul nostro calcio e sulla società in generale. Sappiamo solo che ci basterà rivedere in campo i nostri ragazzi vestiti d’azzurro e, magari, vivere una di quelle notti che sogniamo da anni per lasciarci momentaneamente alle spalle tutte le brutture con cui dovremo fare i conti ancora a lungo. E allora, in quel preciso istante, comprenderemo il senso della parola magia.

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