Mentre la grande maggioranza dei passeggeri delle crociere ha potuto tornare a casa, per gli equipaggi non sembra esserci una fine al confinamento. Secondo The Miami Herald, in tutto il mondo sarebbero centomila le persone che lavorano nelle crociere e che sono rimaste “intrappolate”. E molti, secondo il quotidiano statunitense, hanno visto il loro salario ridotto.
Negli Stati Uniti le crociere sono ferme dal 13 marzo, ma nel frattempo il personale di bordo non ha ricevuto alcuna informazione sul loro possibile ritorno a casa. Durante l’isolamento, mentre le navi fanno avanti e indietro tra il porto per il rifornimento e il largo, il Covid-19 ha peraltro continuato a diffondersi. In alcuni casi, vi sono stati anche suicidi:
Almeno due membri dell’equipaggio si sono gettati in mare in quelli che sembrano suicidi. Il 10 maggio un trentanovenne ucraino che lavorava sulla nave Regal Princess si è gettato fuori dall’imbarcazione, mentre questa era ancorata al porto di Rotterdam. Qualche tempo prima era toccato a un membro dell’equipaggio della Royal Caribbean’s Jewel of the Seas, in Grecia. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Le compagnie di crociera pensavano che il blocco delle attività potesse durare soltanto un mese. Tuttavia il Centers for Disease Control, la massima autorità sanitaria statunitense, ha bandito le crociere almeno fino a fine luglio.

Anche The Guardian conferma i dati del Miami Herald, partendo da una stima della US Coast Guard, che ad aprile parlava di novantatré mila membri degli equipaggi bloccati. The Guardian aggiunge che vi sarebbero almeno cinquanta navi con casi di Covid-19:
Molti di questi membri dell’equipaggio passano la quarantena in minuscole cabine e alcuni hanno visto i loro salari ridotti. In effetti sono diventati una nazione di naufraghi galleggianti, abbandonati su navi dalle Isole Galapagos al porto di Dubai.
E le comunicazioni col mondo esterno sono al minimo. Secondo la BBC, una situazione che ha fatto esplodere anche delle proteste, come sulla Majesty of the Seas, che ha ritardato e cambiato più volte i piani di rimpatrio. Un membro rumeno dell’equipaggio ha anche iniziato un digiuno di protesta.
Il portavoce di MSC crociere, intervistato dal Guardian, ha dichiarato che:
[…] la società sta lavorando per identificare e pagare i biglietti aerei per ognuno per tornare in sicurezza a casa per la durata della sospensione temporanea delle operazioni delle navi […] Offriamo a tutti coloro che sono rimasti a bordo la pensione completa e l’alloggio gratuito, in una cabina ospiti ad uso individuale. Abbiamo aggiornato i nostri menu e stiamo fornendo internet gratuito.
La situazione è complicata anche dai paesi di provenienza e di transito. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno imposto nuove regole severe sul rimpatrio limitato degli equipaggi, che deve effettuarsi attraverso le compagnie di crociera. Queste ultime se ne devono assumere i costi e il rispetto di tutte le norme di sicurezza sanitaria. Secondo la BBC, considerati i numeri delle persona da rimpatriare, l’operazione è davvero una sfida per le compagnie di crociera.
Alcuni paesi – come Filippine e Haiti – secondo il Miami Herald chiedono che gli equipaggi siano sottoposti a dei test di tracciamento del virus prima di ritornare nei loro paesi di provenienza. Altri paesi chiedono che siano le compagnie di crociere a pagare per la quarantena degli equipaggi una volta ritornanti in patria.

John Hickey, un esperto di diritto marittimo intervistato dal Guardian ha detto che
I membri dell’equipaggio sono in una terra di nessuno. Non hanno accesso ai diritti legati alla cittadinanza dei loro paesi d’origine e spesso sono fuori dalla giurisdizione dei paesi dove le loro navi stanno viaggiando.
Secondo i dati forniti dalle compagnie, attualmente la Carnival Corporation ha rimpatriato via mare e via aria il 37 per cento dei loro equipaggi. MSC crociere il 76 per cento e Disney Cruise Line il 33 per cento. Royal Caribbean Cruises e Norwegian Cruise Line Holdings non hanno rilasciato dati.

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