Il coronavirus riparte dai mattatoi. In tutto il mondo cresce infatti la preoccupazione per l’alto tasso di contagi negli impianti di macellazione. Negli Stati Uniti, uno dei più grandi focolai di Covid-19 si è manifestato in un mattatoio del South Dakota, dove sono stati registrati all’incirca mille casi. Inoltre, almeno dodici dei venticinque focolai nelle contee americane più colpite hanno avuto origine negli impianti di lavorazione della carne, per un totale di quattromilanovecento addetti infettati. Non c’è da stupirsi, nei mattatoi americani mantenere le distanze è quasi impossibile: i ritmi di produzione sono frenetici – tre polli abbattuti al secondo, mille suini all’ora – e i dipendenti sono spesso migranti che abitano in comunità e appartamenti sovraffollati.
Un discorso analogo vale per la Germania, in cui sono stati riscontrati più di ottocento casi di persone infettate nei macelli. Nella Repubblica federale, dove il virus sembra aver colpito meno rispetto agli altri paesi europei, il contagio è ripreso proprio partendo dai mattatoi. Secondo la rivista Spiegel, un terzo dei novecento addetti dell’impianto di lavorazione della carne “Müller Fleisch” di Pforzheim, nel Baden Württemberg, avrebbe contratto il virus. Di questi la maggioranza sarebbe di origini rumene, impiegata dalla Müller Fleisch attraverso contratti di subappalto, che liberano l’azienda da ogni responsabilità per le condizioni in cui vivono i propri lavoratori.

È allarme anche nel Land del Nord Reno-Vestfalia. A Coesfeld, cittadina tedesca poco a nord di Dortmund, nell’impianto di lavorazione della carne “Westfleisch” sono stati trovati infetti duecentottantatre dipendenti su milleduecento. Anche qui i lavoratori sono di origine straniera, in gran parte dell’Europa sud-orientale, assunti facendo ricorso a un subappalto e neanche quando finiscono il turno riescono a rispettare le regole del distanziamento sociale, perché vivono in quelli che possono essere definiti dei veri e propri dormitori.
In Francia la musica non cambia: in Bretagna, centonove dipendenti del mattatoio “Kermené”, a Saint-Jacut-du-Mené, sono stati trovati positivi al coronavirus; nel dipartimento del Loiret, a Fleury-les-Aubrais, la stessa sorte è toccata a cinquantasei lavoratori dello stabilimento “Tradival” e, in Vandea, undici addetti del mattatoio di pollame “Arrivé” hanno contratto il Covid-19.
Neppure l’Italia è immune: in Puglia, l’azienda di lavorazione della carne “Siciliani Carni SpA”, di Palo del Colle, ha visto settantuno dipendenti contrarre il virus.
Viene da chiedersi: com’è possibile? Nell’industria della carne le regole sanitarie sono stringenti. Maschere, guanti, stivali e lavaggi frequenti fanno parte della quotidianità, anche al di fuori dei periodi di epidemia. Tuttavia, va anche detto che si tratta di un lavoro molto duro, dal punto di vista fisico e psicologico. I lavoratori sono sottoposti a gesti ripetitivi, che li portano a continuo contatto con il sangue degli animali e che prevedono anche il trasporto di carcasse pesanti. E, anche se ognuno porta una maschera, in ambienti così umidi, questa perde rapidamente la sua capacità protettiva.
Quel che è peggio, in certi macelli è difficile rispettare le regole di distanziamento sociale. Questo non vale solo al lavoro ma, ancora di più, per il dopolavoro: molti operai, come accade in Germania, sono migranti e condividono squallidi appartamenti con altre persone.
Il caso tedesco è paradigmatico, perché la crisi da coronavirus ha portato alla luce pratiche ipocrite che pullulavano da anni nell’ombra. Qui, infatti, per mantenere bassi i costi, le aziende di lavorazione della carne subappaltano alcune fasi della produzione – come ad esempio la macellazione – ad aziende straniere, le quali sfruttano operai prevalentemente provenienti dall’Europa dell’est, che si trovano a lavorare e vivere in condizioni molto precarie. Si tratta di uno schema che permette alle aziende tedesche, da un lato, di non essere responsabili per le condizioni in cui vivono e lavorano i propri dipendenti, e dall’altro, di arricchirsi, per di più offrendo ai consumatori prodotti a basso prezzo.
Il coronavirus non ha esasperato solo la situazione di chi lavora nei macelli, ma anche quella degli animali che vi arrivano. Basti pensare che, in aprile, in occasione delle feste pasquali, in Italia il ministero della salute ha introdotto la possibilità di estendere a settantadue ore il tempo di sosta fuori dai mattatoi per agnelli e capretti.
Ma torniamo alla Germania. Nei giorni scorsi il mondo politico tedesco si è improvvisamente svegliato di fronte allo scandalo dell’epidemia che si propaga tra i lavoratori dei mattatoi. La pratica degli appalti ha allora subito un attacco frontale, bipartisan, al punto che
dal primo gennaio 2021, la macellazione e la lavorazione della carne possono essere eseguite solo dai dipendenti dell’azienda,
come ha annunciato il ministro del lavoro, il socialdemocratico Hubertus Heil.
C’è anche chi si è spinto oltre, come Robert Habeck, co-leader dei Verdi, insieme ad Annalena Baerbock, che ha approfittato della situazione per riproporre un’idea, non nuova, ma che fa sempre polemica: l’introduzione di un “prezzo minimo” per la carne. Apriti cielo: la destra ha sfruttato l’uscita del leader verde per dipingerlo avvolto nel mantello rosso del dirigismo statale, il capo dell’associazione dell’industria alimentare tedesca ha gridato addirittura all’eco-populismo.

Habeck, scrittore prestato alla politica, spiega la sua proposta affermando che essa permetterebbe di mettere un freno alla concorrenza al ribasso nell’industria della carne e quindi di migliorare al contempo le condizioni di contadini, lavoratori e animali. Già in febbraio aveva detto qualcosa di simile, rifacendosi al concetto di “Tierschutzcent”, cioè di un “cent per la protezione degli animali”, da applicare su tutti i prodotti di origine animale. Esso permetterebbe di finanziare la creazione di stalle più spaziose e di migliorare così il benessere dei capi da allevamento.
Potrebbe sembrare una proposta che lascia il tempo che trova, ma esce dalla bocca di colui che è dato come uno dei favoriti per il dopo-Merkel. I Verdi sono infatti ormai il secondo partito tedesco e, anche se la risposta convincente della cancelliera alla crisi ha rilanciato i cristiano democratici nei sondaggi, Habeck ha un carisma e una capacità di leadership superiori a tutti gli altri esponenti politici tedeschi.
I tedeschi possono farsi quando vogliono la loro bistecca alla griglia. Però la politica deve sbrigarsi a cambiare il modo in cui gli animali vengono allevati. I maiali non devono soffrire,
sostiene Habeck in un approccio che combina visione e pragmatismo.
I tedeschi sono pronti a seguirlo? Lo sapremo presto. Il regno di Merkel termina tra poco più di un anno e, con i due partiti popolari – Spd e Cdu – da tempo in crisi, i Verdi sembrano essere i meglio piazzati, non solo per essere l’ago della bilancia, ma anche per ambire alle poltrone che contano e diventare così i protagonisti della nuova stagione politica.

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